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Numero 4(68)
I motivi di una guerra

   
I motivi della fretta
    La mattina del 20 marzo, ad un’ora e mezzo dalla scadenza dell’ estremo ultimatum presentato all’ Iraq dal “trio” statunitense, britannico e spagnolo, le forze aeree americane hanno attaccato Baghdad, mentre il Presidente degli USA George Bush è intervenuto con un breve appello alla nazione, nel quale ha proclamato l’inzio dell’operazione militare in Iraq, mirata a “liberare il suo popolo e difendere il mondo da un grave pericolo”. Tale fretta probabilmente era dovuta ad alcuni motivi. Nell’ONU, gli USA non sono riusciti a riunire una maggioranza adeguata per far passare la risoluzione che serviva. E la stagione calda che comincia fra un po’ non lasciava agli americani nessuna chance di realizzare con successo l’operazione militare a + 50°. Dopo aver ricevuto da Bill Clinton un Paese fiorente, con un proficit di 5 mila miliardi di dollari, Bush in due anni, l’ha condotto ad un deficit di 300 miliardi ed ad una stagnazione economica. Su questo sfondo, una piccola guerra vittoriosa ed il petrolio iracheno a basso costo dovevano, secondo il Presidente americano ed il suo entourage, consolidare notevolmente le sue posizioni all’interno del Paese, e contribuire al prolungamento dell’ incarico presidenziale.

I primi risultati
    I risultati dei primi giorni di guerra si sono rivelati poco consolanti per gli USA. Gli americani, dopo un assalto accanito, sono riusciti ad occupare solo una parte del porto di Umm-Kasr e di avvicinarsi a Bassora. In conformità’ ai bollettini ottimistici dei comandi statunitensi, una divisione americana sarebbe riuscita a spingersi a 150 chilometri entro il territorio iracheno (attraverso il deserto inospitale).
    E la mattina del 22 marzo si è arenato l’assalto a Bassora, che secondo quanto assicuravano i comandi americani doveva cadere già la sera prima. E’ successo, in gran parte, perché i soldati iracheni non si sono dispersi o arresi a sciami, come aspettavano gli alleati. L’attacco è stato trattenuto anche dai pozzi petroliferi accesi dagli iracheni nella zona di Bassora. E possono arrivare anche altre “sorprese”: la difesa della città’ doveva essere organizzata dal generale Ali Hasan al-Magid, soprannominato “il chimico”, a causa della sua passione per svariate armi chimiche. Per ora è passata in modo abbastanza sereno solo l’occupazione della cittadina di Sawfan: pare però che gli iracheni non avessero intenzione di difenderla. Secondo alcune informazioni, ritirandosi gli iracheni incendiano i campi petroliferi, togliendo in questo modo agli americani la speranza di poter rientrare almeno in parte dalle spese militari.
    Le armi ad alta precisione di tiro, alle quali si attribuivano tante speranze, per ora non sembrano giustificarle più di tanto. Contro l’Iraq sono già stati lanciati più di 1000 missili “Tomahawk”, piu’ di tre volte il numero di missili lanciati nel 1991, ma non si osserva alcun danno notevole. Sempre più spesso si comunica che un altro missile “intelligente” è precipitato in un posto assai diverso da quello prestabilito. E gli USA hanno veramento poco tempo. La temperatura in Iraq è già salita fino a +30°, e fra alcuni giorni inizierà la stagione delle tempeste di polvere, che bloccheranno il funzionamento delle sofisticate tecniche americane. Sembra che i dirigenti supremi degli USA abbiano capito di aver esagerato nel dichiarare a tutti che la guerra sarebbe finita in un giorno o due. Ora si dice invece che la guerra sarà lunga e dura. Non si sentono più neanche le affermazioni ottimistiche secondo le quali Baghdad doveva essere occupata dopo 3 o 4 giorni dall’inizio dell’intervento.
    I primi giorni della guerra hanno dimostrato che i piani di guerra rapida approntati a Washington erano stati preparati da analisti ed esperti che non avevano una minima idea del teatro di operazioni militari, né della natura dei regimi totalitari. I soldati e la popolazione irachena, invece di accogliere i loro liberatori d’oltreoceano con fiori e sorrisi, hanno preferito unirsi attorno al loro capo (come avevano fatto i russi nel 1941, nei confronti di Stalin) e opporsi con ogni mezzo agli attacchi americani. I bombardamenti di massa e l’utilizzo di armi ad elevata precisione di tiro, che peraltro sbagliano, come abbiamo già’ evidenziato non hanno avuto l’ effetto sperato. La paura di subire grosse perdite non ha permesso agli alleati di prendere punti abitati importanti. Anche Umm-Kasr, una città portuale vicina alla frontiera, la cui occupazione era stata annunciata già’ il 20 marzo, nella mattinata del 25 marzo non è ancora completamente controllata dalle truppe alleate. E le tempeste di sabbia, che ormai sono iniziate, hanno ostacolato molto l’avanzata delle truppe americane verso Baghdad. Diventa sempre più probabile lo scenario di una guerra prolungata con perdite enormi da parte degli americani nei combattimenti e negli agguati in città. Per spiegare i successi degli iracheni, il dipartimento di Stato non ha trovato niente di meglio che non trovare, come ai “bei vecchi tempi”, la “mano di Mosca”: la Russia avrebbe fornito all’Iraq le attezzature speciali che impediscono alle “armi miracolose” americane di raggiungere Hussein. Vladimir Putin, in risposta, non solo ha smentito le accuse americane, ma ha anche ricordato che erano stati proprio gli USA a fornire all’Iraq, negli anni 80, diversi ordigni batteriologici e chimici.

Il terzo fronte
    Pare che, a parte il regime di Saddam, gli USA dovranno affontare la resistenza anche dei ribelli curdi nel nord dell’Iraq. Nonostante le disperate proteste degli USA, la Turchia, che dopottutto ha permesso agli americani di usare il suo territorio per entrare nell’Iraq da nord, ha proclamato il 21 marzo l’inizio del proprio intervento militare in Kurdistan. Tale intervento è dovuto alla preoccupazione di Ankara, suscitata dall’intensificazione dell’attività militare dei curdi turchi alla frontiera con l’Iraq.
    La Turchia teme che dopo la fine della guerra in Iraq i curdi, come alleati attivi della coalizione antiirachena, possano chiedere il permesso di creare un proprio Stato, che riuniscà la parte settentrionale dell’Iraq e il sud della Turchia. Va notato che anche gli USA non accolgono poi, con tanto entusiasmo i propositi dei leader curdi. I territori settentrionali dell’Iraq, ambiti dai curdi che hanno già’ dichiarato di non voler sopportare una presenza duratura americana, sono ricchi di petrolio e sono di grande importanza per Washington.
    I leader curdi affermano poi di essere disposti a scacciare l’esercito turco a viva forza. In ogni caso, indipendentemente da quanto verosimile sarà’ la minaccia dell’intervento turco, i partiti curdi ottengono cosi’ un pretesto comodissimo per lasciare americani attaccare Baghdad da Nord da soli, senza l’ impiego di reparti curdi. Gli stessi capi dei partiti curdi, Massud Barzani e Gialal Talabani, preferiranno intanto accparrarsi una fetta grossa del patrimonio di Hussein: i giacimenti petroliferi Kirkuka e Mosul.

Una battaglia persa
    Almeno in una guerra il dittatore iracheno ha già sconfitto gli USA: in quella propagandistica, anche se inizialmente niente lo faceva presagire. Gli USA disponevano dei migliori image makers e di esperti di tecnologia politica di tutto il mondo, e potevano anche contare sulla solidarieta’ internazionale, in seguito agli attentati dell’ 11 settembre 2001. Ma tutti questi vantaggi di partenza sono stati sprecati, e ora la macchina propagandistica americana funziona per lo piu’ a vuoto. Gli americani sono costretti a smentire le loro stesse notizie una dopo l’altra. Così ad esempio si è annunciata ormai circa 10 volte l’occupazione del porto Umm-Kasr, e ogni volta, dopo qualche ora, gli americani hanno dovuto smentire sé stessi. Anche le sequenze televisive che facevano vedere la resa in massa dei soldati iracheni avevano scuscitato una certa diffidenza: i mass media internazionali hanno unanimemente notato una certa “teatralità’” di questa capitolazione; molti hanno sospettato che a passare davanti alle telecamere fossero stati dei civili rivestiti, anche perché dopo qualche ora le televisioni americane non sapevano più dire con esattezza chi si era arreso: i soldati, o solo gli ufficiali delle due divisioni. Sembra che a dirigere la copertura informativa dell’operazione siano gli stessi funzionari e censori che avevano cercato di organizzare “in chiave adeguata” la copertura della prima campagna di guerre russa in Cecenia, ma avevano fatto fallire la cosa. Gli iracheni al contrario sono riusciti a trarre il massimo vantaggio dalle goffe mosse di Bush, cercando di astenersi da bugie troppo inverosimili e dimostrando regolarmente ai giornalisti le rovine degli antichi palazzi, degli ospedali ecc rasi al suolo dalle bombe alleate.
    E’ fallito anche il tentativo degli USA di costringere la comunità’ internazionale a rompere le relazioni diplomatiche con l’Iraq e a porre sotto arresti i depositi bancari iracheni. Quest’invito è stato esaudito solo dall’Australia e dalla Romania. Quanto alla Russia, essa si è limitata a domandare agli Stati Uniti a quale titolo chiedessero cio’. Gli altri Paesi hanno visto in questa richiesta un vero e proprio attentato contro la loro stessa sovranità’. Quindi, a rimanere isolati sono stati piuttosto gli stessi USA. L’elenco famigerato dei 44 Stati che si schierano con gli USA fa abbastanza ridere: o si tratta dei Paesi poverissimi del “terzo mondo” (come Eritrea ed Etiopia), o sono ex Paesi comunisti che sperano in questo modo di meritarsi la benevolenza degli Stati Uniti. Intanto però hanno già’ perso l’atteggiamento favorevole dell’Unione Europea, alla quale invece anelavano. Inoltre il supporto di alcuni è stato comprato con i soldi del budget americano: 15 miliardi di dollari alla Turchia, 3 miliardi all’Egitto, ecc.

L’immagine degli Stati uniti nel mondo
    E’ possibile parlare dell’inizio di una nuova ondata di atteggiamenti antiamericani, la più potente in tutta la storia degli USA. Queste tendenze sono più forti naturalmente nei Paesi arabi. Si sono dovute sgombrare con urgenza alcune rappresentanze diplomatiche degli USA, altre ambasciate sono state assediate dalle manifestazioni di folle infuriate (per disperderle la polizia è stata costretta ad usare le armi da fuoco).
    Gli indici di fiducia della popolazione di diversi Paesi nei confronti degli USA sono crollati fino a livelli mai visti in precedenza: intorno al 15%-20%. L’antiamercanismo poi non ha toccato solo “la piazza”, ma anche l’élite di quei Paesi che tradizionalmente si ritenevano alleati degli USA. In particolare i dirigenti del Pakistan, in segno di protesta contro le azioni statunitensi, hanno disdetto la visita negli USA, Gran Bretagna e Francia di Mir Zafarullah Han Giamali, il primo ministro del Paese.
    Il Presidente di Francia Jacques Chirac ha accusato George Bush di aver violato il diritto internazionale. Il leader francese ha dichiarato di schierarsi contro la guerra “a favore della legalita’”. La Cina ha chiesto agli USA di cessare immediatamente le azioni di guerra.
    La Russia ha un atteggiamento nettamente negativo nei confronti di questo conflitto. Il Presidente Vladimir Putin ha detto che la crisi irachena ha oltrepassato i limiti di un conflitto locale, ed è una fonte potenziale d’instabilità’ per altre regioni del mondo, compresa la CSI. Ha pure rilevato che la Russia insiste sulla cessazione urgente delle azioni di guerra in Iraq. “Non è possibile ammettere che al diritto internazionale sia succeduto il diritto del pugno di ferro, secondo cui chi è forte ha sempre ragione e ha diritto di fare ciò che vuole”, ha sottolineato il Presidente russo. Vladimir Putin ha fatto notare che l’ operazione militare degli USA contro l’ Iraq, definita da lui “un grosso errore politico”, non può essere giustificata, dato che sin dall’ inizio Baghdad non rappresentava alcun pericolo. Il Ministro degli esteri della Federazione Russa, Igor Ivanov, ha detto che “le azioni degli USA contro l’Iraq non godono del supporto internazionale”, mentre l’occupazione dell’Iraq senza la relativa mozione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU sarà’ illegale. La Russia, insieme agli Stati che non sono d’accordo con le azioni attuale di Washington, ha interpellato i servizi legali dell’ONU, chiedendo di dare una definizione giuridica alle azioni svolte dagli USA e dalla Gran Bretagna in Iraq. Quindi è possibile che assisteremo all’istituzione di un tribunale per l’Iraq, che però non avrà niente a che vedere con quello voluto dagli stessi americani. Non si tratta, comunque di una rottura dei rapporti diplomatici russo-americani: antrambe parti dichiarano che le divergenze saranno superate.
    Già’ ora gli USA devono fare sforzi enormi perche’ non si arrivi ad una convocazione dell’Assemblea Generale dell’ONU, alla quale si prevede che verrebbe approvata una risoluzione antimilitarista. La Russia e la Francia hanno già’ annunciato che non permetteranno l’approvazione di una risoluzione dell’ONU che giustifichi le azioni degli USA.
    Si riduce anche il sostegno alle azioni di Bush da parte dei cittadini americani. Già’ adesso, secondo il sondaggio svolto dal New York Times e da CBS News, l’operazione militare in Iraq avrebbe il sostegno solo del 62% degli intervistati (nel 1991 questa percentuale ammontava al 79%), mentre il 35% degli americani (il 16% nel 1991) ritiene che occorrerebbe continuare con le ispezioni. E quanto più lontana sarà’ la guerra dallo scenario iniziale di una piccola guerra vittoriosa, tanto minore sarà’ il sostegno e tanto minori sranno le chances di Bush di essere rieletto.
    In molte città statunitensi si svolgono dimostrazioni antimilitariste. A San Francisco migliaia di abitanti della città’, per lo piu’ studenti, hanno bloccato completamente il centro cittàdino. Si è arrivati a scontri con la polizia. Per la prima volta dopo molti decenni in una sola città’ ed in un solo giorno sono state fermate più di mille persone. “Se non finiranno la guerra in Iraq, li costringeremo a introdurre lo stato d’assedio qui negli USA”, ha detto uno dei manifestanti. Gli organizzatori della cerimonia di conferimento dei premi “Oscar” sono stati costretti a ridurla notevolmente, annullando il defile’ solenne delle star del cinema sul tappeto rosso, e limitando il tempo in cui potevano parlare al microfono, visto che la maggior parte dei “nominati” voleva fare dei discorsi di tono antimilitaristico (e qualcuno non è per niente venuto, in segno di protesta).

Ma ora, cosa succederà?
    Per ora, gli esperti presentano tre scenari di possibile sviluppo della crisi irachena. Diventa sempre meno realisticao lo scenario che vede gli americani occupare rapidamente il Paese, subendo perdite minime e mantendendo intatta tutte le infratrutture petrolifere dell’Iraq. Secondo questa ipotesi, le truppe e i servizi segreti iracheni dovrebbero sfasciarsi, e al posto di Saddam apparirebbe un governatore militare americano, a capo del governo iracheno fantoccio. L’ondata di atteggiamenti antiamericani viene meno, e gli USA tornano ad occupare il loro posto di indiscusso leader mondiale.
    Gli altri due scenari appaiono più realistici. Secondo uno di essi, gli americani riescono a superare la resistenza degli iracheni nelle settimane che mancano all’arrivo del caldo estivo, ma a costo di perdite gravi. Gli Usa finiscono semiisolati ed affrontano la necessità’ di pagare di tasca propria la ricostruzione dell’Iraq. E’ probabile peraltro anche la terza ipotesi: dopo l’inizio delle tempeste di sabbia, l’esercito americano si arresta o va via dall’Iraq senza conseguire la vittoria. Seguirebbe uno scoppio di atteggiamenti estremisti islamici nel mondo musulmano e la perdita totale del controllo della situazione da parte degli USA. Gli effetti dell’ultimo scenario potrebbero essere fatali per gli States e per Bush in persona: l’America per un certo periodo perderebbe lo status di superpotenza, e Bush la possibilità’ di restare alla Casa Bianca, per la quale, secondo alcune malelingue, si sarebbe avventurato in tutta questa faccenda.
    Un effetto la campagna irachena l’avrà’ di sicuro, comunque finisca: nel mondo inizierà’ una nuova corsa agli armamenti, visto che solo la presenza di armi nucleari può garantire la lealtà’ e il rispetto degli USA. L’Iran ha già’ dichiarato ostentatamente di voler proseguire nello sviluppo del proprio programma nucleare, mentre la Corea del Nord ha rinunciato un’altra volta alle trattative con i proprii vicini del sud sulla normalizzazione dei rapporti, spronando, nel contempo, secondo alcuni dati, lo sviluppo di un missile capace di colpire obiettivi in territorio statunitense.

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