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Numero 5(85)
Gli etruschi nella terza Roma

    Al Museo di belle arti “Puskin” si è aperta la mostra “Il mondo degli etruschi”. Per dare spazio alla nuova esposizione il museo ha fatto una mossa inedita, spostando le copie delle statue greche, le quali sembravano essere una parte inalienabile dello stesso edificio del museo. La sala greca al primo piano, stabile come il retaggio della cultura greca, si è “ristretta” per fare posto a un pezzo di un’altra grande cultura, quella etrusca. Questa mostra poteva far parte di una lunga schiera di simili esposizioni, diluendosi nell’anonimato della narrazione museale, da crestomazia storicamente vera com’ e’, ma pur sempre noiosa. Ma è diversa perché è bellissima.
    I curatori italiani sono stati veramente bravi: in una sala semibuia sono state illuminate le nicchie con gli oggetti esposti che sono riuniti a seconda del luogo in cui sono stati trovati dagli archeologi. Il culto della vita dell’al di là è stato molto importante per gli etruschi: è una di quelle poche cose che di loro si sa con certezza. L’esposizione, costruita con maestria, fa credere ad un visitatore di trovarsi in un’area sacrale, e infatti lui finisce all’interno di una specie di necropoli antica. Le urne cinerarie con le salme fatte di alabastro, vasi da rito di creta, statuine di bronzo che avevano un determinato significato rituale: per gli etruschi non esistevano cose di poca importanza, quando si trattava di cerimonie funebri, e quindi ogni dettaglio è presentato al pubblico di oggi con la massima cura. E anche se per i nostri antenati, fossero essi etruschi, assiri od egizi, una simile presentazione pubblica di oggetti funebri sarebbe stata considerata sacrilega, per noi è l’unico modo di toccare con mano un mistero nascosto nei secoli.
    Circa cinquecento oggetti sono arrivati da depositi italiani: quelli del Museo archeologico di Firenze, del Museo nazionale archeologico di Siena, del Museo Guarnacci di Volterra ed altri. Quasi tutti gli oggetti esposti sono stati scavati dagli archeologi da sepolture antiche. Essi sono testimoni di un mondo di cui sappiamo pochissime cose. La scrittura etrusca, tuttora non decifrata, menzioni scarse e fantastiche degli etruschi fatte da autori antichi, più questi ed altri oggetti rappresentano ciò che è rimasto del mito, un tempo dissipato dai romani. Anche il nome di questa cultura era diverso. I romani li definivano “tusci”, concedendo, in tal modo, la radice al nome della Toscana, sul territorio della quale abitavano una volta creatori misteriosi degli specchi di bronzo, della ceramica che competeva con quella greca e dei gioielli che erano ammirati dai contemporanei. I greci li chiamavano “tirreni”, mentre loro stessi si definivano “raseni”.
    La civiltà misteriosa, esistita dal IX al I secolo a.C., svela malvolentieri i suoi misteri, riscaldando in tal modo l’interesse a quelle poche cose che ne sono rimaste. Nel 1990 il museo in via Volkhonka aveva già ospitato una mostra di antichità etrusche. Ora a Mosca è venuta una mostra nuova e ben riuscita, che viaggia con successo per i musei di tutto il mondo. Rimarrà nel Museo di belle arti Puskin fino al 27 giugno.

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