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Numero 9(89)
Una guerra lunga un giorno

    Nonostante che i dirigenti della Georgia e dell’Ossezia del Sud abbiano cercato di rassicurare tutti del proprio spirito pacifico, e che siano state prese più volte decisioni sulla cessazione delle ostilità, quasi ogni notte nella regione scoppiavano sparatorie.
    Venivano bombardate regolarmente le case dei civili, abitanti di Tskhinvali e dei villaggi georgiani. Il numero dei morti e dei disastrati ammonta ormai a decine di persone. Ci si è messi a parlare di una certa “terza forza” interessata a fomentare il conflitto nella zona. La parte georgiana faceva capire che quella “terza forza” fossero i cosacchi, o addirittura le teste di cuoio russe. Da sua parte, i dirigenti dell’Ossezia del Sud accusavano delle provocazioni i georgiani. A finire sotto pallottole e bombe (che partivano, a quanto pare, dal lato georgiano) sono già stati alcuni ministri (della difesa, degli interni) della Georgia e dell’Ossezia del Sud che andavano alla riunione congiunta, e i cortei di Andrei Kokoscin, il deputato della Duma di Stato, e di Zurab Zhvania, il premier della Georgia.
    Alla fine, i militari georgiani, subordinati al ministro degli interni Iraklij Okruasvili, nella notte fra il 18 e il 19 agosto, hanno preso d’assalto i monti che circondano Tskhinvali, la capitale dell’Ossezia del Sud, nei pressi del villaggio Eredvi. La parte georgiana ha dichiarato di aver battuto ed eliminato un grosso reparto di cosacchi che avrebbero sparato contro le posizioni georgiane. Più tardi peraltro il numero dei “cosacchi” uccisi si è ridotto da 40 a 8, e la parte georgiana non è riuscita a presentare un solo corpo di “mercenari” e neanche una blindato o fiale di morfina che sarebbero state prese sui colli. A proposito, se si trattava di cosacchi in carne ed ossa, essi potevano essere arrivati nell’Ossezia del Sud senza metterne al corrente le strutture ufficiali.
    La colonna delle forze russe di pace, che cercava di occupare la zona contestata, è stata fermata dalla minaccia di bombardarla.In parallelo, i reparti dell’esercito georgiano hanno cercato di occupare le alture nel distretto Giavskij, che permettono di controllare collegamenti stradali con la Russia. Si trattava di fatto di un tentativo di prendere Tskhinvali sfacciatamente, occupando un pezzo maggiore possibile del territorio dell’Ossezia del Sud. Iraklij Okruasvili, nell’intervista rilasciata alla TV georgiana, ha detto addirittura che ai georgiani “serve un solo passo per occupare completamente l’Ossezia del Sud”.
    Ma il primo successo del signor Okruasvili è stato anche l’ultimo. I militari georgiani non sono riusciti ad entrare nel capoluogo dell’Ossezia del Sud. La Russia ha chiesto di ritirare immediatamente le truppe georgiane dai territori occupati e di passarle sotto il controllo delle forze di pace. E’ venuto fuori subito che gli USA non avevano nessuna intenzione di sostenere le azioni dei leaders georgiani. Anzi, quando l’esercito georgiano era stato costretto a ritirarsi dalle alture nel distretto Giavskij e dai dintorni di Tskhinvali, gli USA, per bocca di Adam Erley, il sostituto portavoce ufficiale, hanno espresso la loro soddisfazione per il ritiro. E’ sintomatico che i funzionari americani abbiano smesso di insistere sul fatto che Mosca doveva ritirare al più presto le basi militari russe dalla Georgia. Alla vigilia delle prossime elezioni presidenziali gli americani non hanno nessun interesse a farsi coinvolgere in un altro conflitto militare, già avendo sui piedi dei pesi come l’Iraq e l’Afganistan.
    Di conseguenza, i comandanti georgiani offesi hanno dovuto far tornare i loro subordinati, circa 1500 uomini, a Gori. Sono subito subentrate le forze di pace. Le truppe georgiane rimanenti sono state collocate come guarnigioni nei villaggi dell’Ossezia del Sud. Le autorità dell’Ossezia del Sud hanno allora consegnato alla parte georgiana tre poliziotti georgiani che erano rimasti prigionieri dai primi di luglio.
    Pare che il premier georgiano Mikhail Saakasvili abbia deciso di aprire, come se non bastasse quello osseta, anche il fronte dell’Abkhazia. Ai primi di agosto Saakasvili ha dichiarato di essere pronto a far affondare qualsiasi nave che vada in Abkhazia. Siccome ha menzionato concretamente i battelli con i turisti russi come oggetto di tali attacchi, il Ministero degli interni di Russia ha emesso una dichiarazione dura, avvisando che eventuali aggressioni contro i villeggianti “incontrerarnno la resistenza dovuta”. La Duma di Stato ha approvato la Dichiarazione “Sulla situazione nel Caucaso”, in cui invitava il Presidente e il Governo della Federazione Russa ad “intraprendere tutte le misure necessarie ed adeguate per normalizzare la situazione nella zona dei conflitti, per coadiuvare al dialogo politico tra le parti del conflitto e per garantire la sicurezza dei cittadini russi, dei mezzi di trasporto e di altri beni”.
    E Serghei Ivanov, il ministro della difesa di Russia, ha definito eventuali azioni georgiane “una pirateria”. Tenendo conto del fatto che la marina da guerra russa , volenti o nolenti, è più forte di quella georgiana, il sig. Saakasvili non ha insistito sulla sua nuova idea, e il suo tentativo di intimidire i turisti russi che arrivano in Abkhazia, è fallito e non ha fatto che scemare il desiderio già poco visibile degli abkhazi di tornare alla Georgia. E per dimostrare un supporto concreto all’Abkhazia da parte della Russia, in agosto la repubblica non riconosciuta è stata visitata dal sindaco di Mosca Yuri Luzhkov e dal vice presidente della Duma di Stato Vladimir Zhrinovskij. Mentre la visita di Luzhkov è stata dedicata prevalentemente agli affari, trattandosi degli investimenti russi nell’economia dell’Abkhazia, Zhirinovskij ha detto direttamente di essere venuto a far vacanza a dispetto di Saakasvili.
    Nella stessa Abkhazia tutti sono per ora impegnati soprattutto nella preparazione alle elezioni presidenziali, fissate per il 3 ottobre, in seguito alle quali al leader pluriennale Vladimir Ardzinba deve succedere il suo primo ministro Raul Hadgimba. Dopo che le azioni da guerra erano fallite, come del resto le minacce, la Georgia ha intenzione di risolvere il problema dell’Osssezia Sud e dell’Abkhazia mediante l’internazionalizzazione del conflitto. In parole povere, Mikhail Saakasvili minaccia di trovare un nuovo mediatore, invece della Russia: l’OSCE. Ma c’è un “ma”: tale sostituzione è prevista solo dietro l’assenso di entrambe le parti del conflitto, ed è difficile che i dirigenti delle ex repubbliche georgiane accettino di sostituire mediatori russi con europei ed americani, sospettati da osseti e abkhazi di avere simpatia per i georgiani. E poi, anche la stessa OSCE difficilmente accetterà di portare un peso così.
    Intanto, la Georgia continua a svolgere la propria campagna propagandistica, incentrata sull’eventualità della guerra tra la Georgia e la Russia. Saakasvili ha già detto che il Presidente russo Vladimir Putin avrebbe “uno spazio limitato di manovra”, sebbene per ora lo spazio per la manovra si riduce sempre di più per il leader georgiano. I deputati del parlamento georgiano, che sanno peggio tenere la lingua a freno, parlano apertamente della disponibilità dell’esercito georgiano a “rispondere in modo degno all’aggressione russa sul territorio della Gerogia” e fanno vedere un video che presenta veicoli corazzati russi che si preparerebbero ad attaccare la Georgia. Tuttavia, l’esercito georgiano difficilmente sarà capace di contrastare la Russia, se non ce la fa a combattere gli osseti.
    Lo stesso Putin, il 18 agosto, ha pubblicato una dichiarazione durissima nei confronti delle autorità georgiane. Parlando ai giornalisti dopo l’ incontro con Leonid Kuchma, il Presidente ha detto di ritenere l’inasprimento della situazione in Georgia una recidiva degli anni 90. “Il conflitto è sorto dopo che la Georgia si era dichiarata indipendente, ed avere affermato di voler far cessare lo status autonomo dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia. Da questa decisione sciocca sono nati conflitti interetnici. Oggi si affronta una recidiva di quanto succedeva nei primi anni 90”, ha detto il leader russo.
    Ha anche osservato di non aver intenzione di recarsi in Georgia nei prossimi tempi. “Abbiamo discusso tale possibilità con i colleghi georgiani, ma tenendo conto della situazione che vi sta creando, non credo che il mio viaggio sia conveniente”, ha sottolineato Putin, rilevando tuttavia che la Russia fosse disponibile a dare un contributo, nei limiti del possibile, alla regolamentazione e alla ricostruzione dell’integrità territoriale della Georgia, ma non ha intenzione di assumersi funzioni improprie, schierandosi con una parte”.
    Il Ministero degli esteri della Russia, da parte sua, ha emesso il 18 agosto una dura dichiarazione nei confronti di Tbilissi, chiedendo di “applicare misure dure nei confronti di coloro che hanno imboccato coscientemente la strada della violazione degli accordi e trattati esistenti”, relativi all’Ossezia del Sud, e di “tornare nel campo del diritto”. Mosca ha accusato la parte georgiana del “nuovo scatenamento di azioni di guerra, questa volta anche più imponenti e sanguinose”.
    Il contrasto propagandistico si è fatto sentire anche nella sfera religiosa. Subito dopo che il Patriarca della Chiesa ortodossa russa Alessio II aveva pubblicato un messaggio in cui invitava le parti del conflitto a cessare tutte le azioni di guerra e di tornare al dialogo responsabile, Abramo, il metropolita per l’Europa Occidentale della Chiesa ortodossa georgiana, ha emesso un messaggio contrario in cui accusava il Patriarca di ipocrisia, di doppiezza e del tentativo di ingerire negli affari del “territorio canonico” altrui.

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