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Numero 15(79)
Zakaev: no all’estradizione

    Il 13 novembre, alle 10 di mattina (ora di Londra), il tribunale della magistratura di Londra, sito in Bow street, ha negato alla Federazione Russa l’estradizione di Akhmed Zakaev.
    Il giudice Timothy Workman ha detto che far tornare Zakaev in Russia sarebbe stato “crudele e ingiusto”. In questo modo, nonostante tutti gli sforzi della Procura generale della Federazione Russa e (Dio mio!) gli accenni un po’ vaghi di Vladimir Putin in persona, il quale, durante la sua visita ufficiale in Gran Bretagna, aveva fatto capire indirettamente di essere interessato dell’estradizione, le autorità russe un’altra volta non sono riuscite ad allungare le mani al di là dei confini della nostra grande patria.
    Il fallimento del tentativo precedente della Procura generale di ottenere l’estradizione di Zakaev si poteva attribuire anche alla scarsa competenza dei giudici istruttori russi. Quando, il 3 dicembre 2002, la Danimarca aveva negato alla Russia l’estradizione dell’ex portavoce di Aslan Maskhadov, la Procura aveva sostenuto che ciò fosse stato dovuto prevalentemente a scorrettezze nell’espletamento delle formalità nei documenti e nelle deposizioni dei testimoni, nonché al fatto che i verbali degli interrogatori erano stati firmati già dopo l’arresto di Zakaev in Danimarca.
    Quando invece Zakaev era stato fermato il 5 dicembre 2002, a Londra, la Procura russa aveva avuto una bella occasione di non ripetere i propri errori. I giudici istruttori hanno avuto sei mesi di tempo per portare i materiali della causa ad una condizione che sia in grado di soddisfare un Tribunale europeo, evitando tutte le gaffes. E in realtà, durante le udienze di sostanza, iniziatesi a Londra il 9 giugno 2003, una sola volta, il 1 luglio, è stata sollevata la questione delle imprecisioni nei documenti prodotti dalla parte russa. La Pcorura Generale quindi ha meritato una prima dose di applausi, seppur flebili.
    Ma è venuto fuori che per ottenere la possibilità di “commissionare” all’estero i presunti criminali, non basta imparare a compilare correttemente le carte. Il dibattimento alla seduta conclusiva del 21 ottobre ha implicato dei problemi tutt’ altro che procedurali. Il tribunale doveva risolvere una questione inerente alla stessa sostanza delle azioni di guerra in Cecenia, decidere cioe’ quanto è predisposta la giustizia russa alla manipolazione politica, e se i diritti umani sono rispettati nei luoghi di reclusione.
    Nella sua sentenza di negare alla Russia l’estradizione di Akhmed Zakaev, il giudice Timothy Workman si e’ basato su alcuni fatti, appurati durante l’udienza delle deposizioni dei testimoni. L’opinione della corte è dovuta anzittutto alle conclusioni dei testimoni esperti che hanno definito le azioni di guerra non come una semplice operazione antiterroristica, ma come un conflitto politico. Fra le altre, era stata tenuta in considerazione anche l’opinione di Yulij Rybakov, il quale ha riferito alla corte che “durante tutto il conflitto militare Akhmed Zakaev è stato ed è un sostenitore attivo di trattative tese ad ottenere la cessazione delle azioni di guerra”.
    Quando, poi, si decide se estradare o no l’imputato, la sentenza è spesso determinata da ciò che lo aspetta in patria. Nella corte di Londra, Ivan Rybkin, l’ex Segretario del Consiglio di Sicurezza, ed alcuni esperti britannici hanno dichiarato all’unanimità che difficilmente è possibile un processo imparziale a carico di Zakaev in Russia, mentre in prigione, con molta probabailità, lo aspetta la morte. Nel corso della seduta, i testimoni hanno parlato del destino di altri comandanti della guerriglia, Turpal-Ali Atgheriev, morto in una prigione russa, e Salman Raduev, deceduto, secondo le affermazioni delle autorità russe, in ospedale a causa di un’emorragia, e secondo i difensori dei diritti imani, in cella, in conseguenza di un colpo sulle reni.
    E infine, la questione più importante per ogni corte occidentale concerne la dimostrabilità delle accuse avanzate a carico dell’imputato. Per negare l’estradizione di Zakaev sarebbero forse sufficienti anche diverse discordanze nelle deposizioni delle presunte vittime, il padre Filippo (il quale non è sicuro se fosse stato Zakaev a partecipare alla sua rapina) ed Ivan Soloviev (il quale avrebbe dei motivi validi per supporre che sia stato Zakaev a sparargli via le dita). Ma dopo che nella sala era apparso Duk-Vakha Dascuev, per annunciare che le sue deposizioni contro Zakaev, in aggiunta al fascicolo penale dai giudici istruttori russi, erano state da lui rese sotto l’effetto delle torture operate dai servizi segreti russi, ed a questo punto la stessa possibilità di un esame delle deposizioni dei testimoni ottenute in Russia è stata messa in forse.
    Nel suo discorso conclusivo, Edward Fitzgerald, l’avvocato di Zakaev, ha anche espresso una perplessità a proposito della “condanna pregiudiziale di Zakaev negli interventi di numerosi pubblici ufficiali” e “la presentazione televisiva delle prove a carico di Zakaev”. In questo modo, il legale britannico ha deciso di ricordare in modo delicato agli organi tutori della legge russi dell’esistenza di un principio giuridico che si chiama “presunzione di non colpevolezza”. Questo principio, segnalato espressamente dalle leggi russe, non sembra essere stato bene assimilato dai nostri funzionari.
    Quindi, la procura che ha accusato la corte britannica di avere un “concetto selettivo della giustizia”, ha perfettamente ragione. Dal punto di vista del diritto europeo, la giustizia può funzionare solo dove esiste un sistema adeguato. La sentenza relativa al caso Zakaev ha dimostrato un’altra volta che sia le prigioni russe, sia i giudici istruttori russi, sia i metodi usati dai nostri organi tutori della legge non possono adeguarsi ai requisiti di uno Stato di diritto.
    E’ facile indovinare che non ne sono danneggiati solo separatisti ceceni e oligarchi caduti in disgrazia.

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