Numero 3(48)
Opere liriche italiane sui palcoscenici russi
Il Teatro da camera musicale di Mosca ha festeggiato un doppio anniversario: 90 anni dalla nascita di Boris Pokrovskij, il grande Maestro lirico, fondatore e dirigente permanente del Teatro, e i 30 anni della sua creatura.
Nelle interviste date in occasione dell’anniversario, Boris Aleksandrovich non si stancava di ripetere: “Sono convinto che proprio la cultura e non l’economia sia la base dell’esistenza di una nazione. Proprio la cultura dev’essere sviluppata dal governo, se esso vuole che si sviluppi l’economia. Proprio la cultura dev’essere salvata, perché senza la cultura una nazione non può esistere”.
Il maestro dell’arte lirica si impegna nello sviluppo della cultura per tutta la sua vita, essendo pioniere dei capolavori mondiali sul palcoscenico russo. L’anniversario è stato segnato da messinscene di opere ad un atto del grande italiano Giacomo Puccini, di cui capolavori, “La Bohème”, “Tosca”, “Cio-cio-san” vantano i cartelloni lirici di tutto il mondo. In confronto ad essi, la sorte scenica del trittico “Il mantello”, “Suor Angelica” e “Gianni Schicchi” è assai più modesta.
Il teatro di Pokrovskij presenta le opere del tardo Puccini per la prima volta. Come succede spesso nel teatro da camera, esse si presentano in lingua originale, cioè, in questo caso, in italiano. Il Teatro ha scelto due opere contrastanti: una drammatica, “Il mantello” (diretta da I. Merkulov) e l’altra espressamente comica, “Gianni Schicchi” (diretta da V. Fedorenko). “Il mantello” parla di tre sorti infelici di persone in gamba, buone e semplici. Giorgetta (T. Iatsenko) ha cessato di amare Michele, suo marito, padrone di una chiatta (V. Scimarov), dando il suo cuore al giovane scaricatore Luigi (L. Kazachkov). Nella finale il marito uccide il rivale, coprendo il suo corpo con il mantello fatale. Un minuto dopo lo solleverà, per offrire alla consorte di coprirsi con esso, e Giorgetta stordita vedrà l’amoroso esanime.
Gli interpreti inculcano in ogni personaggio l’esperienza emotiva, una passione quasi da confessione, la maestria vocale, e ci riescono così bene che dietro il suono delle voci e delle peripezie drammatiche sorge un’immagine del mondo. Si sente come batte il cuore di una grande città da mille facce, “appassionata” dei propri ritmi e problemi, senza accorgersi di un dramma dei suoi abitanti. La città (nel progetto di Puccini e nell’originale testo letterario era Parigi), del resto, non è mai mostrata sul palcoscenico. Ma ciò non vuol dire che non sia presente. La sua indifferenza affaccendata nasce dalla solitudine struggente e dall’emarginazione che avvolgono i suoi figli.
E’ sorprendente, come il Teatro (direttore d’orchestra V. Agronskij) sia riuscito a trasporre la partitura di Puccini, scritta per una grande orchestra, in una modesta orchestra da camera, senza perdere niente della ricchezza musicale e della sonorità melodica. Nel “Mantello” i punti di partenza della filosofia e della poetica del Teatro sono sempre quelli: la musica e i caratteri umani, sui quali è “innalzato” il contenuto tragico dell’opera.
“Gianni Schicchi” è un’opera allegra e scintillante. La fantasia di Puccini prende lo spunto da un pezzo della “Divina commedia” di Dante. Gianni Schicchi è abitante dell’ottavo cerchio dell’inferno, dove sono puniti menzogneri, ingannatori e falsificatori. Il personaggio dantesco grattava “il ventre al fondo sodo”. Il dritto birbone è punito per essersi messo nel letto di un moribondo dettando al notaio il testamento, in base al quale ha ereditato tutto il patrimonio del vecchio.
Il personaggio letterario negativo è diventato nell’opera quello, se non positivo, sicuramente simpatico: ingegnoso, abile, intraprendente, spiritoso. Queste carine caratteristiche truffatrici di Gianni contrastano quelle dei nobili fiorentini, cupidi e boriosi, che non badano che al proprio vantaggio.
L’energia allegra e l’entusiasmo giovanile degli artisti si sfogano nelle maschere stilizzate della famosa commedia dell’arte: l’eroe grottesco, pieno d’inventiva (A. Iatsenko), il duetto degli innamorati (Iu. Moisseeva e S. Ostroumov), vecchi ottusi (V. Borovkov, A. Utenova), il dottore furbo (V. Fedorenko)… La commedia brillante e sbarazzina è interpretata con una lieve ironia carnevalesca dagli artisti che, a quanto pare, abbiano un enorme piacere di trovarsi sul palcoscenico, e noi, il pubblico, di vederli.
E’ bella e piena di stile la scenografia: il bravissimo scenografo Stanislav Benediktov rimane fedele a sé stesso, creando un’atmosfera con i dettagli esatti e laconici.
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