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Numero 7(87)
Euro-2004: aspettative e realtà

    Poco prima dell’Euro-2004, un amico mi spiegava: “Sa, perché tra i club stranieri tifo per la “Manchester United”? Perché vi gioca il mio calciatore prediletto, Cristiano Ronaldo”.
    Per la stessa ragione, il mio interlocutore ora dovrebbe fare il tifo per la nazionale portoghese, la padrona del Campionato. Quest’erudito e tifoso appassionato di sei anni ha un motivo per essere contento: il suo beniamino, alle Europee, ha dato prova di essere veramente bravo.
    Davvero, l’amore per il calcio conquista tutte le età. E il torneo di un mese a cui partecipano le migliori squadre europee è una grande festa che era attesa da lungo, anche perché tra queste squadre c’era la nazionale russa. Secondo una tradizione ormai antica, gli appassionati qualsiasi e gli esperti erano d’accordo che non avevamo molte probabilità di una buona prestazione, e che nessuno sa come avrebbe giocato la squadra, ma in fondo in fondo molti nutrivano una segreta speranza: forse in qualche modo ce la facciamo ad uscire dal gruppo. Ecco infatti anche il presidente dell’Unione russa del calcio dichiara che davanti alla nostra nazionale è stato posto l’obiettivo di arrivare alla finale; una certa azienda promette ai giocatori, per il raggiungimento di questo scopo, un milione di dollari, mentre il centrocampista Radimov scopre ai giornalisti il suo presentimento: faremo delle sorprese in Portogallo!... Sono state forse simili sensazioni irrazionali, accompagnate dal benessere aumentato e dal desiderio di far vacanza sull’oceano, ad aver portato in questo Paese un numero record di tifosi russi: circa 15 mila.
    Perché allora nonostante tale sostegno caloroso di tutto il popolo e le promesse generose siamo alle solite? E perché dopo due squallide sconfitte (0-1 e 0-2 rispettivamente) nelle partite con gli spagnoli e i portoghesi abbiamo battuto i greci (2-1), arrivati, come ora si vede, primi? Temo che un tentativo di dare risposta dettagliata a queste domande possa portarci troppo lontano dal semplice resoconto su di un evento sportivo, costringendo ad immergerci nelle profondità della psicologia, della storia, della filosofia e dell’economia. Ma cerchiamo, per quanto sia possibile, di rispondere brevemente, senza lasciare il nostro argomento. Nelle prime due partite, dal risultato delle quali dipendeva, in realtà, la sorte della nazionale russa, l’allenatore Yartsev ha scelto una tattica palesemente difensiva, con una grande punta, Bulykin, fino a cui la palla arrivava di rado (perché i centrocampisti giocavano male), e quando gli arrivava, quasi sempre rimbalzava come su di una parete. Il comportamento dell’allenatore, tutto sommato, è comprensibile: gli spagnoli e i portoghesi sono obiettivamente più forti della nostra squadra, e sarebbe stato da suicidio aprirsi troppo di fronte ad essi, ma per giocare con efficienza da numero due, ci vuole affiatamento nelle mosse dei calciatori, che debbono conoscere benissimo la propria manovra ed eseguirla perfettamente. Ma non si è vista neanche una traccia di affiatamento o di esattezza nell’esecuzione delle manovre da parte di ciascun giocatore. Troppi errori in situazioni elementari, una confusione su tutte le linee, tranne forse la difesa (la quale alla vigilia del torneo si riteneva come l’elemento più problematico), impaccio psicologico e, per quanto possa sembrare strano, legnosità nei movimenti. E’ difficile capire come mai la nazionale russa abbia ceduto agli spagnoli e ai portoghesi proprio nella preparazione fisica: da noi il campionato nazionale è alla metà, da loro l’anno sportivo pesantissimo è finito da poco, e i calciatori sarebbero dovuti stancarsi di più...
    Per quanto riguardo il successo, avuto nella partita con la squadra greca, lo dobbiamo, evidentemente, a una combinazione felice di alcuni fattori. Anzitutto, Yartsev finalmente ha rischiato di far giocare due attaccanti, ognuno dei quali, a proposito, ha segnato, e alcuni calciatori giovani, per i quali in precedenza non si trovava un posto sul terreno. Come era ormai successo più volte, poi, i nostri ragazzi si sono sentiti tranquilli e liberi nella situazione in cui dal risultato del match non dipendeva più niente (tutte le chances di essere promossi erano state perse dopo due sconfitte). E finalmente, i greci, in questa partita, potevano forse anche permettersi di essere anche sotto di un goal, una cosa accertata alla metà del secondo tempo, quando i russi vincevano 2-1, e quindi i nostri avversari non si sono fatti in quattro per ottenere il pareggio, e dopo la fine della partita sono stati felici come dei bambini, insieme ai loro tifosi. Allo stadio cioè regnava il buon umore di tutti: ai tifosi russi e greci, ma anche ai calciatori, non restava altro che abbracciarsi e baciarsi tre volte, secondo l’uso ortodosso, e recarsi in qualche locale accogliente per festeggiare l’esito fortunato dell’eliminatoria.
    Motivi ancor più validi per una fraternizzazione di massa, li avevano, dopo un paio di giorni, i danesi e gli svedesi. Come si sa, avendo fatto un pareggio che ci voleva (2-2), questo duo scandinavo è stato promosso in modo affiatato ai quarti di finale, abbindolando gli italiani. Prima di dire la nostra sul comportamento degli scandinavi, se cioè si fossero “messi d’accordo” o meno, gettiamo uno sguardo sulla prestazione dell’Italia, la quale alla vigilia dell’Euro-2004 era considerata quasi all’unanimità nel novero dei campioni più probabili. “Se non lo faremo noi, chi altro lo potrà fare?”, si è espresso più o meno così un noto procuratore italiano, nella sua intervista all’allegato “Exclusive” al quotidiano “Izvestia”, verbalizzando le aspettative dei più.
    Tutti sono ormai abituati al fatto che la nazionale italiana comincia tutti i tornei innternazionali più importanti così così, pochi pertanto si sono sorpresi per lo zero a zero nella prima gara contro la Danimarca. A sorprendere peraltro sono state altre cose: l’impotenza dell’attacco italiano e il nervosismo eccessivo di alcuni calciatori, manifestatosi in modo più clamoroso nella sortita villana di Francesco Totti, il capitano e, come si usa dire ultimamente, “il leader carismatico” della squadra. Avendo sputato contro un calciatore danese, Totti ha avuto una squalifica di tre partite e – così ha voluto il destino – ha guardato le gare restanti della sua nazionale dalla tribuna, neanche dalla panca delle riserve.
    Nel secondo match gli italiani si sono presentati in tutto lo splendore: per un tempo e mezzo hanno dominato gli svedesi, conducendo 1-0 e giocando benissimo, forse meglio di tutti alla fase preliminare del torneo. Loro sì che avevano l’armonia e l’esattezza di azioni sia collettive che individuali su tutte le linee. Ma dopo ha funzionato un certo meccanismo che si trasmette quasi a livello genetico da una generazione di calciatori italiani all’altra, e che poi è stato valorizzato dall’allenatore Trapattoni: 1-0 è sufficiente, hai segnato? va’ indietro, abbiamo una difesa solida, la migliore del mondo, respingeremo tutti gli attacchi, anzi forse segniamo ancora... Trapattoni e i suoi ragazzi probabilmente non hanno considerato, o forse hanno creduto poco importante, il fatto che gli svedesi avevano due attaccanti bravissimi, Larsson e Ibrahimovic. Sì, è vero che la rete di Ibrahimovic è stata inaudita, e’ stata una vera magia, al modo di “Hottabych il vecchio” (un vecchio mago, personaggio di una famosa fiaba russa, che fra l’altro secondo la tradizione s’intromise in una partita di calcio – ndr), ma c’era in essa anche una certa logica: questo goal è diventato per gli italiani un castigo per l’ arrocco in difesa, “geneticamente” condizionato.
    Allora, 1-1, e quindi, non tutto dipende dalla stessa nazionale Italiana: deve vincere nell’ultima gara dell’eliminatoria contro i bulgari, preferibilmente 2-0 o di più, mentre gli svedesi e i danesi non devono pareggiare 2-2, 3-3, ecc. Un po’ più sopra abbiamo ricordato, com’era finita. I mass media italiani, interrompendosi a vicenda, accusavano gli scandinavi di collusione, ma ogni osservatore imparziale poteva vedere nella partita Svezia-Danimarca un duello onesto, forse eccetto l’ultimo minuto in cui gli svedesi hanno segnato in modo un po’ strano, raggiungendo il 2-2 finale. Gli stessi azzurri, a proposito, solo a costo di sforzi enormi, anche loro alla fine della propria gara con i bulgari, sono riusciti a fare il goal della vittoria (il 2-1 con la Bulgaria sarebbe convenuto alla squadra dello stivale qualora avessero vinto i danesi, ma questi “hanno piantato in asso”. E ha ragione chi, anche in Italia, dà la colpa per tale risultato agli stessi nazionali italiani e al loro allenatore. Non a caso al ritorno in patria i calciatori italiani hanno dovuto affrontare un’accoglienza tutt’ altro che compassionevole da parte dei tifosi: all’aeroporto i poliziotti sono riusciti con difficoltà a far passare gli atleti in mezzo ad una folla irritata che gridava: “Andate a lavorare!”.
    Gli altri atleti che con ogni probabilità oggi giocano meglio al calcio rispetto a coloro che sono tornati a casa dopo la fase preliminare, sono diventati autori ed interpreti di quattro spettacoli dei quarti di finale.
    La partita dei quarti di finale tra il Portogallo e l’Inghilterra è stata riconosciuta come la più bella, la più drammatica e piena di contenuti. Qualcuno anzi come Vassilij Utkin, il bravissimo cronista televisivo, definisce quella gara “epica”: per entità e qualità di eventi e veemenza di emozioni. E infatti qui c’era di tutto: la perdita forse fatale da parte dell’Inghilterra del suo capocanonniere Rooney al 20-mo minuto del primo tempo, a causa dell’infortunio, quattro belle reti (con il risultato finale 2-2), mosse sagge e audaci degli allenatori, soprattutto del mister dei portoghesi Scolari, due tempi supplementari (uno dei quali è stato abbellito da una rete nella porta di ciascuno degli avversari) ed infine, l’apoteosi: la serie finale dei calci di punizione, che ha escluso dal torneo gli inglesi e ha dato semaforo verde ai portoghesi. Per l’ennesima volta ha mancato il tiro dagli undici metri David Beckham, capitano degli inglesi e detentore del titolo ufficioso “l’uomo più chic del mondo”. Questa gara, a proposito, è diventata, secondo quanto ha osservato il giornale “Izvestia”, una delle più “care” nella storia del calcio, perché il costo complessivo dei giocatori che si trovavano in quel giorno sul terreno è ammontato, secondo i calcoli del quotidiano a 400-420 milioni di euro...
    Due giornate successive dell’Euro-2004 hanno ridotto notevolmente il grado di agitazione dei tifosi. Prima la Francia ha finito di soffrire, perdendo 0-1 ai greci, senza mostrare una traccia di quel gioco che da lei si aspettavano tutti. L’ordine greco, costruito da una mano di ferro di Otto Rehagel, l’allenatore tedesco, ha battuto la classe francese: i maestri eminenti e famosi della nazionale Francese, anche nella fase preliminare, ma soprattutto in questa gara dei quarti di finale, ricordavano tutti, eccetto forse il portiere Bartez, un cavallo sfinito o un pesce mezzo morto...
    Mentre in questa partita i dilettanti e gli esperti di calcio definivano la Francia un’ovvia favorita, quasi nessuno osava predire l’esito della prossima gara, Olanda-Svezia: secondo la maggior parte degli osservatori, quelle due squadre erano ugualmente forti. Questa volta, i preconizzatori hanno indovinato: la gara tesa, un po’ noiosa e lunghissima (due tempi normali più due tempi supplementari) è finita 0-0, mentre a battere i calci di punizione sono stati più bravi gli olandesi che dovevano, quindi, affrontare l’incontro con i padroni di casa.
    Infine, l’ultima partita dei quarti di finale è stata più allegra rispetto alle due precedenti. La Rep. Ceca ha schiacciato i danesi 3-0, giocando in modo, secondo l’opinione di tutti, degno almeno di un finalista, se non del vincitore del torneo. I cechi, fino alle semifinali, rimanevano l’unica squadra che non ha perso neanche un punto, anche se giocavano nel cosiddetto “gruppo della morte”, insieme ai Paesi Bassi, alla Germania e alla Lettonia. La squadra ceca pareva presentarsi in Portogallo come un gigante delle favole, dalle forze e dalle capacità inesauribili: basta ricordare la vittoria sull’Olanda 3-2, in cui hanno fatto una rimonta dallo 0-2, oppure il 2-1 con la Germania, ottenuto dalla seconda squadra nel momento in cui il gruppo di Nedved si è già assicurato matematicamente la prima posizione nel proprio gruppo...
    Per mancanza di tempo e di spazio, ci tocca parlare brevissimamente di tre partite decisive. Nelle semifinali il Portogallo ha battuto a buon diritto l’Olanda (2-1), mentre i greci hanno stupito un’altra volta il mondo del calcio, elimindando i cechi (1-0 nei supplementari). E, infine, la sensazione maggiore, incredibile: i greci sono diventati campioni d’Europa, avendo superato nella finale i favoriti evidenti, i padroni di casa, che hanno finito nello stesso lacciolo, il quale in precedenza era stato usato con successo per prendere le “stelle” francesi e ceche.
    Ora che il torneo è terminato, è possibile parlare di alcune tendenze manifestatesi nel suo corso. Molti rilevano che, senza arrivare alle semifinali, sono state eliminate le nazionali dei Paesi che hanno i campionati nazionali più forti: la Spagna, l’Italia, l’Inghilterra, la Francia (il campione d‘Europa 2000), nonché la sempre temuta Germania. Di nuovo, come al Mundial coreano-giaponnese del 2002, si fa notare la stanchezza estrema delle stars, dei giocatori più importanti delle proprie società e squadre nazionali. Lo spagnolo Raul, i francesi Zidane, Henri, Piresse, Treseguet, gli italiani Vieri e Totti, gli inglesi Beckhem ed Owen apparivano estenuati: a qualcuno letteralmente non reggevano le gambe, che rifiutavano di ubbidire ai comandi del cervello. In certi casi le grandi squadre potevano essere svantaggiate dagli errori degli allenatori: i trainer dei francesi, degli italiani, degli spagnoli non si fidavano dei giovani di talento, oppure non volevano rinunciare ad uno schema tattico preferito, che si rivelava distruttivo in una partita concreta. Per quanto riguarda i tedeschi, loro ora hanno semplicemente una squadra mediocre, fatta di calciatori bravini, tradizionalmente combattivi, ma non eminenti, che potrebbero ricordare almeno un po’ i loro predecessori della generazione di Rudi Voeller, il quale dopo la sconfitta, subìta dalla Rep. Ceca, si è dimesso dalla carica dell’allenatore della Germania. Pare che il successo sia stato ottenuto dalle squadre che non solo, anzi non tanto (il caso della Grecia) sono fatte da giocatori bravissimi, quanto da quelle che sono in grado di prepararasi a ogni gara concreta con l’avversario concreto. Quindi, ovviamente, un ruolo di grande importanza lo hanno in quest’attività gli allenatori, la cui abilità in tal modo diventa quasi determinante per l’ottenimento della vittoria in qualsiasi gara, come in tutto il torneo. Ma gli stessi calciatori devono essere abilissimi, e, se serve, saper riorganizzare la maniera di gioco durante la partita e, come un’ochestra perfettamente organizzata, reagire ai comandi dell’allenatore-direttore. Ne viene forse un’altra lezione che sarebbe utile assimilare, forse soprattutto per gli amministratori, allenatori e calciatori russi: non esistono più le squadre notoriamente scarse. Basta vedere l’esempio della Grecia, i cui giocatori su di piano individuale forse sono più deboli dei nostri, ma hanno conseguito un successo mai visto. E tutte le giustificazioni che sentiamo dal presidente dell’Unione russa del calcio e dagli allenatori della nostra nazionale, in merito alla bassa qualità dei calciatori e dei terreni di gioco, degli intrighi da parte degli arbitri e degli infortuni dei principali difensori, appaiono proprio buffi, quando vedi con quale puntualità salgono in alto, ai tornei internazionali più importanti, le squadre simili all’umilissima nazionale greca (Bulgaria, Croazia, Turchia, Corea del Sud...).
    Va rilevata anche una caratteristica piacevole che distingue l’Euro-2004 dagli Europei precedenti e dall’ultimo Mundial: gli arbitri per ora non rovinano la festa. Vestitisi di nero come una volta, essi sembrano essere diventati più seri e se si sbagliano, qualche volta, non si tratta di errori grossolani, non “ammazzano” certe squadre e non “aiutano” le altre.
    Com’è bello quando tutto è onesto. Ed è per questo che le Europee sono già diventate uno sfogo anche per quei nostri connazionali, uomini e donne, che solitamente non s’interessano di calcio, ma ora ne vengono contaggiati, stanchi di bugie e di omissioni che hanno imprigionato lo spazio televisivo. E ha vinto il più degno!

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