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Numero 3(94)
Giochi di bilancio
Ancora tre anni alle elezioni del 2008, ma lo scontro politico è già aperto


    Nel corso degli ultimi mesi al Governo le discussioni su qualsiasi questione economica sanno tanto di lotta elettorale. E neanche fossimo a un anno dalle nuove elezioni presidenziali.
    Il Governo tecnico, come tutti definiscono l’esecutivo di Mikhail Fradkov, è di fatto diventato teatro di battaglie politiche tra funzionari per cercare di guadagnare “punti”, o meglio, di non perderli.
    Sin dal momento della sua nomina, era chiaro che il Governo avrebbe avuto, fra gli altri obiettivi anche quello di “fare da parafulmini”, ovvero di assumersi quelle responsabilità che avrebbero danneggiato l’immagine e la credibilità del Presidente, ripercuotendosi negativamente sul suo rating. Proprio questa sua funzione si è resa necessaria dopo l’entrata in vigore della tanto contestata legge sulla monetizzazione delle agevolazioni sociali non monetarie. Secondo i dati dei sondaggi condotti dal centro Levada, dopo l’infelice riforma il rating di Vladimir Putin si sarebbe ridotto del 3%, dal 69% del dicembre 2004 al 66% del marzo 2005, mentre il rating di Mikhail Fradkov si sarebbe ridotto sempre nello stesso periodo del 7% (si veda la tabella). Nello stesso tempo, mentre in dicembre il 33% degli interrogati approvava l’operato del Governo, a marzo l’operato dell’esecutivo è stato approvato solo dal 25% dei rispondenti.
    Mentre a Mikhail Fradkov, più che il suo rating politico preme la necessità di raddoppiare il PIL della Russia nei prossimi due anni, lo stesso non si può dire degli altri membri del Governo. E’ evidente che né Gherman Gref, né Aleksej Kudrin hanno intenzione di andare in pensione fra qualche anno, quando in forza di motivi politici il presente esecutivo tecnico non sarà più necessario. Entrambi pertanto cercano di prendere le distanze dal premier e dal rating calante del Governo. Ciò permette loro da una parte di evitare responsabilità riguardanti decisioni più o meno serie. Dall’altra tuttavia, li mette in condizione di dover delineare la propria posizione in merito alla riforma economica, posizione che dev’essere necessariamente diversa da quella degli altri membri del Governo. In altre parole, invece di sviluppare una nuova linea d’azione per quanto riguarda l’economia, i funzionari sono impegnati in discussioni a sfondo politico sulle sorti della Russia.
    Nell’ultimo mese, in particolare, le discussioni sono risultate ancora più accese per il disegno di Legge finanziaria 2006. Anche se la sua versione definitiva dev’essere presentata alla Duma solo in agosto, l’elaborazione e la discussione pubblica di questo documento sono cominciate prima del previsto, con ognuno dei summenzionati membri dell’esecutivo che già riteneva di doversi esprimere negativamente in proposito. Mentre a Mikhail Fradkov della nuova legge non piace la voce riguardante il “bilancio” (perché i tassi di crescita economica non corrispondono all’obiettivo prefissato di raddoppio del PIL), sia Gref che Kudrin, da parte loro, non si sono lasciati sfuggire l’occasione di avanzare critiche “strategiche”. Per quanto riguarda il Ministero per lo Sviluppo economico, Gherman Gref ha lamentato l’impossibilità di attuare riforme strategiche strutturali o di aumentare il coinvolgimento dello Stato nel finanziamento degli investimenti, azioni che permetterebbero di incrementare le previsioni di crescita del PIL. Aleksej Kudrin invece ha insistito sulla necessità di portare avanti una politica di bilancio prudente e di controllare le spese, al fine di ridurre i rischi di deficit. È evidente che le posizioni dei ministri si escludono a vicenda, e di conseguenza il contrasto ha preso una piega addirittura ridicola: di fronte alla proposta del Ministero delle Finanze di finanziare il programma di investimenti solo per la somma di 330 miliardi di rubli (cifra inferiore a quella dell’anno corrente), i rappresentanti del Ministero per lo Sviluppo economico hanno dichiarato la necessità di ridurre i tassi di crescita previsti; il che, a sua volta, costringerebbe il Ministero delle Finanze a ridurre le previsioni per i profitti di bilancio. Pare che si tratti non tanto di valori economici, quanto del principio del do ut des, cioè “dammi gli investimenti ed io ti do in cambio la crescita economica”. Parlare in tale situazione di sviluppo di formule economiche è palesemente inappropriato: si tratta infatti di confronto politico, che non è destinato a finire prima del 2008.

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