Numero 3(94)
Le ragioni del conflitto tra Vaticano e Patriarcato russo
La ruggine in realtà è di vecchia data. La Russia ortodossa non ha ancora digerito innanzitutto la cosiddetta “Ostpolitik”, la politica di conciliazione e negoziato intrattenuta a partire dagli anni ‘60 dal Vaticano con i regimi comunisti allo scopo di salvaguardare ciò che rimaneva della Chiesa cattolica in territorio sovietico, ovvero strappare al regime con la diplomazia clemenza nei confronti di sacerdoti e strutture ecclesiastiche cattoliche nell’Est europeo. E pare senza peraltro sostenere ed aiutare concretamente anche le altre chiese cristiane perseguitate, fra tutte quella ortodossa, peraltro maggiormente bisognosa di aiuto perché operante negli stessi paesi del blocco sovietico. La “Ostpolitik” avrebbe portato ad una serie di accordi tra la Santa Sede e i regimi comunisti dell’Est, accordi che sarebbero stati di riflesso svantaggiosi per l’Ortodossia.
Però i problemi fondamentali che hanno guastato le relazioni tra Vaticano e Patriarcato russo sono altri: in sostanza, la questione della Chiesa greco-cattolica in Ucraina e quello del “proselitismo cattolico” nell’ambito del cosiddetto “territorio canonico” della Chiesa ortodossa. Il primo problema ha radici storicamente molto profonde, ed è forse per questo più difficile da risolvere. Nel 1596 in Ucraina una parte dell’episcopato si staccò dalla Chiesa tradizionale (ortodossa), riconoscendo l’autorità del Papa di Roma e di quella della Chiesa cattolica, entrandone quindi a far parte (la cosiddetta Unione di Brest). Quella minoranza religiosa, che da tale momento venne sempre osteggiata sia dalla Chiesa madre che dallo zar (fedele alla Chiesa ortodossa), dopo la fine della Guerra nel 1945, su pressioni del partito comunista e di Stalin venne formalmente riaccorpata alla Chiesa ortodossa, e venne espropriata dei propri luoghi di culto, che tornarono in mano agli ortodossi. Nel 1991, con la fine del comunismo e la riacquisizione della libertà, i cosiddetti “greco-cattolici” (o “uniati”) si sono riappropriati con la forza delle chiese che erano state loro sottratte, suscitando lo sdegno e le proteste degli ortodossi che le utilizzavano già da più di cinquant’anni. E soprattutto rivendicano ora lo status di Patriarcato cattolico, sede ufficiale del quale sembra essere stata eletta Kiev. Paradossalmente, su quest’ultimo punto non è il Vaticano ad opporsi, ma proprio il Patriarcato ortodosso di Kiev, che si appoggia al Patriarcato di Mosca. Infatti, se Giovanni Paolo II era favorevole alla cosa, avendo personalmente sempre riconosciuto alla Chiesa cattolica ucraina una propria dignità storica, e avendone già ufficializzato l’indipendenza, il Patriarcato di Mosca ritiene che un nuovo Patriarcato – anche se cattolico - andrebbe a sovrapporsi dal punto di vista istituzionale al Patriarcato ortodosso. Situazione che per gli ortodossi risulterebbe particolarmente offensiva, considerandosi essi l’unica, tradizionale (e quindi in un certo senso legittima) Chiesa operante su territorio ucraino, e costituendo i cattolici a loro avviso solo un’esigua minoranza religiosa.
Stesso discorso vale per la recente creazione – e questo è il secondo problema insorto - di quattro nuove diocesi cattoliche su territorio russo, con automatica trasformazione formale della Russia in “provincia ecclesiastica” del Vaticano, o “metropolia”, che dir si voglia. È un’azione che gli ortodossi interpretano alla luce di un piano di espansione su larga scala del Cattolicesimo in Russia, come si apprende da quanto riporta Vsevolod Chaplin, Vice-Presidente del Dipartimento per le Relazioni Ecclesiastiche con l’Estero del Patriarcato di Mosca: “L’attiva opera missionaria della Chiesa cattolica nel nostro paese non ha nulla a che fare con la cura pastorale per il gregge (cattolico) già esistente. Il buon senso suggerisce che un certo numero di parrocchie cattoliche sarebbe sufficiente per questo scopo. Ma quale proposito se non il proselitismo può spiegare la presenza di ordini missionari in Russia?”. La creazione delle diocesi quindi fungerebbe da base d’appoggio per una vasta opera di evangelizzazione cattolica in Russia. Un’evangelizzazione che è secondo gli ortodossi sbagliata di principio, perché il popolo russo è per tradizione ortodosso, o comunque di cultura ortodossa. Ma che è sbagliata a voler guardare anche nei mezzi, poiché avverrebbe tramite una serie di stratagemmi ed iniziative sleali, oltre che molto poco trasparenti (alle quali viene dato il nome di “proselitismo”). Citiamo ancora Chaplin: “Ci rifiutiamo completamente di accettare per esempio la missione cattolica tra i bambini russi, specialmente gli orfani e quelli che sono cresciuti in famiglie a rischio. Per la maggior parte sono battezzati nella Chiesa ortodossa, e pertanto ne sono membri a pieno titolo. I missionari cattolici, per lo più suore di vari ordini, vanno nelle scuole e negli orfanotrofi e sotto il pretesto della carità predicano lì i loro insegnamenti. Istituiscono pure orfanotrofi per i bambini senza casa che sono così numerosi per le strade delle città russe di oggi. In queste istituzioni, i piccoli russi, che spesso vengono da famiglie russe a basso reddito, sono convertiti al cattolicesimo. Naturalmente, nessuno chiede ai bambini russi se vogliono essere cattolici. Non suggeriamo in alcun modo che i bambini senza casa dovrebbero essere lasciati soli nelle strade. La nostra Chiesa ha fatto grandi sforzi per restaurare le proprie opere sociali e caritative, proibite sotto il regime totalitario. E qui la cooperazione con la Chiesa cattolica sarebbe proprio la cosa giusta da fare. Un lavoro caritativo congiunto diventerebbe un’eccellente forma pratica per la nostra cooperazione.”
Il problema ha radici teologiche ed ecclesiologiche. Ecco come viene presentato dal cardinale Walter Kasper, responsabile vaticano dei rapporti tra le Chiese: “Un argomento che la Chiesa ortodossa russa adduce continuamente è quello della rivendicazione del proprio “territorio canonico”. Ma questo concetto rende già evidente una differenza fondamentale. La Chiesa cattolica, infatti, non conosce un concetto di territorio canonico. La Chiesa cattolica è una Chiesa universale. Anche la Chiesa ortodossa designa se stessa come Chiesa una, santa, cattolica e apostolica. Ma per la Chiesa ortodossa, “la Chiesa universale vive nel mondo suddivisa in diverse Chiese particolari”. Nella Carta fondamentale sulla dottrina sociale della Chiesa ortodossa russa, approvata dal medesimo Sinodo del 2000, il concetto di “Chiesa particolare” viene ulteriormente precisato nel senso di “Chiese nazionali autocefale” (n. II. 2). Queste Chiese nazionali autocefale posseggono un loro territorio, che resta circoscritto entro i confini della nazione… Le Chiese ortodosse autocefale sono legate tra loro da vincoli di comunione spirituale e sacramentale. Perciò una Chiesa autocefala non avverte la necessità di esercitare una qualche attività nell´ambito di un´altra Chiesa e di istituire all´interno di quest´ultima una gerarchia propria. Ogni Chiesa autocefala ha anzi il dovere di rispettare l´integrità territoriale delle altre. In questo senso presso le Chiese ortodosse trova applicazione il principio della Chiesa antica, secondo cui in una città ci dev´essere un solo vescovo”. In sostanza quindi la Chiesa russa riconosce la Chiesa cristiana universale come unica, ma suddivisa in tante Chiese minori, profondamente radicate in un territoro e legate ad un popolo, elementi il primo e il secondo, che ne caratterizzano letteralmente l’identità ecclesiastica. In base a questa interpretazione della struttura della cristianità, la Chiesa ortodossa non riesce a comprendere, ed anzi, trova profondamente offensiva l’espansione della Chiesa cattolica verso un territorio che non è per tradizione il suo. È un’offesa, oltre che un’assurdità per gli ortodossi il fatto di portare la parola di Cristo presso un popolo che l’ha già udita, o comunque laddove c’è già chi se ne occupa, anche se tramite liturgie diverse. Il fatto di creare un’istituzione ufficiale (la “metropolia” in Russia, o il “Patriarcato” in Ucraina) che legittimi implicitamente quest’espansione è in sostanza volere disconoscere lo status della Chiesa ortodossa come Chiesa “sorella”, togliendole ogni dignità di Chiesa cristiana in quanto tale. Tradotto: la “Rus’” ha già la sua Chiesa cristiana particolare. Perché crearne un’altra, se non allo scopo di soppiantare chi si ritiene non appartenente o non degno di appartenere alla grande Chiesa universale? La Chiesa cattolica invece, non ritiene per nulla di avere ricevuto in giurisdizione solo l’Europa, nel piano della della Chiesa cristiana universale. Si sente, ed è per statuto essa stessa universale (“cattolica” è proprio la traduzione di questo termine), internazionale, e non comprende quindi le rivendicazioni dell’ortodossa. I cattolici, di fronte alla reazione degli ortodossi ne lamentano il “territorialismo” – passato e presente -, e ritengono l’atteggiamento dei “fratelli” orientali anacronistico rispetto alle esigenze moderne della cristianità, oltre che fondamentalmente anticostituzionale, poiché lede la libertà religiosa dei cittadini russi.
Situazione controversa, quindi. Si fa in fretta ad accusare gli ortodossi di oscurantismo. C’è in realtà da essere franchi, e ricordare che la Chiesa cattolica vanta nella lunga storia della sua opera evangelica una serie altrettanto lunga di vere e proprie “avanzate militaresche” verso “l’obiettivo”, coniugate a insufficiente attenzione e rispetto per il background socio-culturale e religioso delle popolazioni interlocutrici (missionari storici e/o moderni in America Latina, Africa etc. etc.). Inoltre bisogna considerare il fatto che la Russia si trova in un momento delicato della propria storia. Viene investita dalla globalizzazione economica, finanziaria, culturale, informativa che ha interessato un po’ tutti i paesi della terra, e di fronte alla quale si trova più di altri paesi impreparata. Il disorientamento che ne deriva fa nascere desiderio di sicurezza, di certezze. È più che comprensibile quindi il rinnovato attaccamento della popolazione alle vecchie tradizioni, agli antichi costumi, allo spirito patriottico. E putroppo, anche il rinfocolarsi degli estremismi nazionalisti. Ma il nazionalismo non è l’unico volto della Russia. E la molteplicità degli atteggiamenti ingenerati dai rivolgimenti politico-sociali si riflette anche nell’Ortodossia russa, che è compatta contro il Vaticano e l’Occidente solo in apparenza. Virtualmente al suo interno esistono secondo esperti tre correnti ideologiche; quella integralista, che ritiene ogni deviazione dai precetti della religione ortodossa un’aberrazione, e che non accetterà mai, in linea di principio di trattare con l’Occidente. C’è quella ecumenista, ovvero quella al contrario più che aperta al dialogo e allo scambio di esperienze, ed infine la principale, la tradizionalista, che ricalca passiva le orme dei padri, che non sente nessun particolare desiderio di comunione con l’Occidente, ma neanche lo rifiuta a priori.
Considerati tutti questi aspetti, quindi, forse lo sforzo maggiore per risolvere la situazione in questo momento dovrebbe partire proprio l’Occidente, che si auspica agisca con sensibilità, rispetto e lungimiranza.
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