Numero 6(105)
Ad un passo dal ghetto
Il governo russo fa uscire il genio del nazionalismo dalla bottiglia
Le relazioni russo-georgiane degli ultimi anni erano tese come una molla. Pare che di recente per qualche motivo la molla sia infine scattata, e il contraccolpo non abbia tardato a farsi sentire.
La crisi è insorta in seguito all’arresto del 27 settembre a Tbilisi di un gruppo di militari russi accusati di spionaggio, e all’accerchiamento da parte di poliziotti georgiani della sede dello Stato Maggiore del Gruppo dell’esercito russo in Transcaucasia ai fini dell’estradizione di un’altra “spia” nascosta – secondo i georgiani - nell’edificio suddetto.
Con questi gesti Mikhail Saakasvili, presidente della Georgia, tentava di perseguire più di un obiettivo: innanzitutto consolidare la sua immagine di partigiano dell’indipendenza georgiana; secondariamente, additare un’altra volta all’Occidente la parzialità dell’intermediazione russa nella soluzione dei conflitti in Abkhazia e nell’Ossezia del Nord (intermediazione antigeorgiana), e soprattutto radicare nell’opinione pubblica la fobia delle spie, argomento sul quale far leva poi per vincere le elezioni amministrative del 5 ottobre. Quanto alla reazione della Russia, Saakasvili forse credeva di cavarsela come sempre solo con un po’ di polverone: commenti, dichiarazioni clamorose etc.
Ma questa volta il governo russo ha deciso di passare veramente al contrattacco. In Russia infatti si può già considerare aperta la stagione preelettorale; è giunto quindi il momento di rinnovare la propria immagine e diventare ferventi paladini della patria, impegnandosi nella lotta a qualche capro espiatorio da additare alla popolazione come grande nemico della nazione, da combattere tutti uniti. In quest’ottica, Saakasvili “il temerario” è capitato proprio a fagiuolo. Via all’intransigenza: la Russia ha voluto anzitutto dimostrare di non voler cedere sulla liberazione degli ufficiali. È stato sospeso il rilascio dei visti russi ai cittadini della Georgia, il personale dell’Ambasciata è stato fatto evacuare e i cittadini russi trovantisi in Georgia invitati a lasciare il paese, e queste sono misure che si adottano solitamente prima di una guerra. Sergej Ivanov, il vice premier, ministro della difesa, ha dichiarato il 29 settembre che la Russia stava esaminando la possibilità di inviare al confine con la Georgia un contingente militare suppletivo per “provvedere alla sicurezza della Russia qualora la Georgia entri nella Nato”. Il Ministero dei Trasporti della Federazione Russa ha sospeso le connessioni ferroviarie, aeree ed automobilistiche con la Georgia. Le poste russe hanno sospeso la consegna delle lettere e dei vaglia in Georgia. In contemporanea, è stata presa la decisione di accelerare il ritiro delle ultime basi militari dalla Georgia, il personale delle quali, in sostanza, viene considerato praticamente in ostaggio.
Di conseguenza, probabilmente sotto le pressioni degli USA che non vogliono un conflitto nel Caucaso, e che anche fisicamente non potrebbero dare una mano a Saakasvili qualora scoppi una guerra, la Georgia già il 2 ottobre ha estradato gli ufficiali russi con la mediazione dell’OSCE.
Ma la campagna antigeorgiana dopo l’estradizione degli ufficiali russi non si è fermata. Questo perché, secondo i tecnologi politici, in Russia non è stata ancora raggiunta la “temperatura” psico-sociologica necessaria a consolidare il potere e l’influenza di Vladimir Putin e i suoi possibili successori presso la popolazione. È stato deciso di dar prova del patriottismo dei leader, nonché di assimilare alcuni slogan dei nazionalisti del tipo “basta allo sfruttamento dei russi da parte degli stranieri”. La diaspora in Russia sulla quale è risultato più conveniente accanirsi a tali scopi è quella georgiana. Sono da sempre infatti amichevoli i rapporti della Russia con Armenia, Azerbaigian, Asia Centrale, cioè con i Paesi di provenienza della grande massa di lavoratori impegnati nel commercio al dettaglio (mercati) oppure operanti nei settori “sommersi” dell’economia russa. E non si potevano demonizzare nemmeno i lavoratori provenienti dalle ex-repubbliche sovietiche slave, perchè ciò non avrebbe incontrato il favore del popolo.
Come si comporteranno le autorità, l’ha fatto capire lo stesso Putin. Il 4 ottobre, intervenendo all’incontro con i leader dei gruppi parlamentari, egli ha dichiarato che “la Russia non raccomanda a nessuno di adottare il linguaggio delle provocazioni e dei ricatti”. Ha anche dichiarato necessario “esaminare attentamente” le leggi relative all’immigrazione, affinché i cittadini russi “non si sentano sacrificati in alcuni settori economici dal punto di vista della loro partecipazione al mercato del lavoro, e in alcuni altri comparti”. Di fatto, qui il presidente, in forma abbastanza mite, ha ripetuto la tesi dei nazionalisti sulla presunta “occupazione dei mercati” da parte degli immigrati. Il giorno dopo, il 5 ottobre, il Presidente ha espresso la stessa idea in modo assai più duro. Alla riunione del Governo ha detto che “a comandare nei mercati al dettaglio sono dei gruppi semi-criminali”. Tutto questo susciterebbe “il giusto sdegno dei cittadini”. Putin ha quindi affidato al Governo la “regolamentazione della presenza di lavoratori stranieri nei mercati” (più tardi la formula è stata precisata: “la determinazione delle quote parti ammissibili di lavoratori stranieri”), intimando “maggiore severità e scrupolosità nel rilascio dei visti ai cittadini stranieri che contravvengano alla legislazione russa”. Al termine del discorso, il presidente ha esortato i governatori delle regioni russe ad “adottare delle nuove misure di perfezionamento del commercio nei mercati all’ingrosso e al dettaglio al fine di proteggere l’interesse dei produttori di merci russe e della popolazione russa”.
Quasi subito dopo le dure dichiarazioni di Putin, alcuni politici e funzionari altolocati a caccia di qualche punto in più si sono affrettati a far eco alle affermazioni del presidente. V. Volodin, il Segretario della presidenza del consiglio generale di “Russia unita” il 5 ottobre si è parimenti espresso: - Molti mercati di generi al dettaglio, non solo a Mosca, ma anche in altre città russe sono controllati da stranieri di alcuni Paesi limitrofi; tali mercati devono essere urgentemente liberati da “elementi semi-delinquenti”, da innumerevoli mediatori e da immigrati clandestini”.
Il direttore dell’FSB Nikolaj Patrušev ha definito l’immigrazione clandestina un problema gravissimo per la Russia e ha invitato a risolverlo anche tramite la reclusione. Il vice premier Sergej Ivanov, ha dichiarato, a sua volta, che gli immigrati in cerca di lavoro che arrivano nel nostro Paese non devono andare “dove vogliono, ma dove vuole il Governo russo”. E la Duma di Stato ha iniziato ad esaminare un disegno di legge che permetterebbe di vietare i vaglia postali verso la Georgia (vaglia che sono per molte famiglie georgiane fonte di sopravvivenza).
Di conseguenza, gli organi tutori della legge si sono scagliati come mastini sugli immigrati georgiani, il cui numero, secondo le stime, ammonta a 300-400 mila persone. Più degli altri si è impegnato nella campagna antigeorgiana il Servizio federale per l’immigrazione. “All’improvviso” risultano proprio i georgiani, quelli a trasgredire sistematicamente alle leggi della FR sull’immigrazione e sul lavoro. Il fatto che tali violazioni vengano in essere proprio a causa della caoticità delle leggi in questione naturalmente non viene preso in considerazione. E Mikhail Tjurkin, il vice direttore del Servizio federale per le migrazioni, quasi quasi diventato in Russia il newsmaker n. 1 riguardo alla “questione georgiana”, ha annunciato: - Le regioni russe non hanno bisogno di specialisti provenienti dalla Georgia”. Questi ultimi infatti sono stati esclusi dalle nuove quote relative ai flussi d’immigrazione della manodopera straniera. Inoltre sempre Tjurkin ha promesso di ridurre il tempo di permanenza in Russia dei detentori dei visti multipli da 180 a 90 giorni”. Sono stati anche pubblicati i dati e le cifre relativi alla delinquenza di matrice georgiana in Russia, che sarebbe troppo diffusa. Effettuato peraltro il confronto con le statistiche del Ministero degli Interni, è venuto fuori che il livello generale della criminalità tra i georgiani, reso noto dai portavoce del Servizio federale per l’immigrazione corrisponde approssimativamente al livello medio della criminalità in Russia. Sono cominciate le deportazioni di massa dei georgiani dalla Russia, compresi quelli in possesso di visto e permesso di lavoro assolutamente in regola. Addirittura si è vociferato (poi più tardi è arrivata la smentita) della creazione all’interno del Servizio federale per l’immigrazione di uno speciale reparto “georgiano”.
Gli altri dicasteri polizieschi e di sicurezza hanno interpretato le parole di Putin come un nulla osta alla “caccia ai georgiani”. Come dalla cornucopia dell’abbondanza hanno iniziato a fioccare a valanga i bollettini sulle perquisizioni operate nei negozi, nei casinò, negli alberghi di appartenenza (effettiva o presunta) dei georgiani, sul sequestro di partite di vino georgiano, sull’arresto di bande criminali georgiane (peraltro la notizia più clamorosa, quella sulla “banda di killer georgiani” è stata tolta molto presto dai notiziari: si è appurato, infatti, che dei 20 componenti della banda, i georgiani erano solo due). In seguito a questo “lavaggio del cervello” generale, la Georgia è diventata prima nella classifica dei Paesi “nemici della Russia”. Così almeno veniva definita da un terzo degli intervistati in un sondaggio del 10 ottobre condotto dalla fondazione “Obšestvennoe mnenije” (Opinione pubblica).
È ovvio che tale campagna all’autentico ripristino dell’ordine nei mercati sia poco utile. Al massimo, potrebbe portare ad un “rimpasto” della delinquenza, tramite la sostituzione dei criminali “irregolari” con quelli con i documenti in regola.
La campagna antigeorgiana ha cominciato ben presto ad assomigliare al teatro dell’assurdo. Sono stati annullati i visti ad una compagnia di balletto georgiano e agli sportivi georgiani che dovevano arrivare a Mosca per partecipare a un campionato di sambo. La società “Rossijskie železnye dorogi” (Ferrovie russe S.p.A.) ha dichiarato di avere interrotto i rapporti commerciali con la Fabbrica di locomotive elettriche di Tbilisi. Hanno cominciato a girare voci sugli indici relativi al numero di georgiani da fermare pervenuti “dall’alto” ai rappresentanti delle forze dell’ordine. Il famoso scrittore russo Grigorij Ckhartisvili, più noto come Boris Akunin, è stato convocato in procura per un’evasione fiscale. Controlli alla Corte dei Conti anche sull’operato dell’Accademia russa di Belle Arti, diretta dallo scultore Zurab Tsereteli.
Alcune scuole di Mosca, di Nižnij Novgorod e di Ivanovo hanno ricevuto telefonate da parte delle Direzioni degli Interni con la richiesta di fornire la lista di tutti gli alunni georgiani. E a Tbilisi, dalla scuola del Gruppo delle truppe russe nella Transcaucasia sono stati espulsi tutti gli allievi di nazionalità georgiana. A San Pietroburgo la polizia si è messa a fermare pulmini di linea guidati da cittadini della Georgia, cosa he ha rischiato di fare collassare il traffico cittadino. L’azienda di servizi internet di Ekaterinburg “GarantHost.Ru” ha rifiutato di fornire i suoi servizi ai cittadini della Georgia, dichiarando il provvedimento adottato una risposta alla “politica nettamente antirussa” condotta dalla Georgia.
Si è parlato tanto anche delle somme ingenti di danaro he i georgiani esporterebbero dalla Russia (fino a 2 miliardi di dollari all’anno). Anche se qui, potrebbe trattarsi di un tentativo da parte dei pubblici ufficiali più altolocati di instaurare un controllo sui grossi flussi finanziari. In parallelo ad esmpio, con il pretesto he alcuni casinò vengono controllati da bande criminali georgiane, Putin ha presentato alla Duma di Stato un disegno di legge sul business del gioco d’azzardo he limita a sole quattro zone in Russia il territorio in cui a partire dal 2009 potranno trovarsi i locali da gioco. È ovvio he il business concentrato in queste “Las Vegas” possa essere controllato dalle autorità assai più di oggi. Già oggi peraltro (dopo la chiusura di alcuni casinò “georgiani”) è lecito parlare di un certa ripartizione della proprietà nel mercato dei servizi, e non solo nel settore dei giochi d’azzardo; anche nel settore industriale, fra i mediatori commerciali per il carbone del Kuzbass (dal gruppo è stata esclusa una società i cui dirigenti erano sospettati di aver trasferito denaro in Georgia). Tra chi trae vantaggio dalla situazione c’è anche la “Elektromašina” S.p.A. di Celiabinsk, he ha dichiarato di essere disponibile a subentrare alla Fabbrica di locomotive elettriche di Tbilisi.
I nazionalisti radicali, da parte loro, hanno accolto con grande entusiasmo le dichiarazioni antigeorgiane del governo, vedendoci anzitutto la possibilità di ottenere la propria legittimazione ed incrementare il loro peso politico. Nei loro siti internet sono comparse addirittura esortazioni ad “aiutare gli organi del Servizio federale per l’immigrazione e del Ministero degli Interni a combattere l’immigrazione clandestina”. Le autorità locali comunque hanno accolto l’iniziativa con diffidenza, facendo capire di non aver bisogno di “assistenti”.
Tra gli obiettivi politici di questa campagna potevano esserci anche le dimissioni di Mikhail Saakasvili in conseguenza al peggioramento della situazione economica in Georgia (sospensione dei vaglia, decine o addirittura di centinaia di migliaia di nuovi disoccupati, ecc.), o come minimo l’opposizione degli immigrati georgiani in Russia al regime attuale di Tbilisi. È noto come l’intellighenzia georgiana he vive in Russia sia stata spinta con insistenza a pronunciarsi contro Saakasvili. Tuttavia, tutto quello che il governo ha ottenuto con queste manovre è stata una lettera, firmata dalla diaspora georgiana di Saratov che si dichiara contraria alla politica di Saakasvili.
Per ora comunque il primo risultato ottenuto è stato quello della vittoria riportata il 5 ottobre alle elezioni locali dal partito di Mikhail Saakasvili e il consolidamento dell’opposizione georgiana in senso antirusso. E successivamente Mikhail Saakasvili il 9 ottobre ha invitato tutti i georgiani russi a “tornare nella loro patria storica”. Il Parlamento georgiano ha approvato una dichiarazione che accusava la Russia di xenofobia, ottenendo peraltro il sostegno dei Parlamenti di Gran Bretagna, Germania, Polonia, Lituania, Rep. Ceca, Francia, Bulgaria e Grecia.
Avendo capito (o avendo fatto finta di capire) di avere esagerato e he in realtà l’azione tornava a vantaggio di Saakasvili e degli ultranazionalisti russi, la leadership russa ha fatto rapidamente marcia indietro. Inizialmente, a pronunciarsi in tono conciliatore sono stati alcuni funzionari della provincia (come il presidente della uvaša e il vice governatore della regione di Krasnojarsk), i quali hanno negato che il governo russo intenda rendersi promotore di una persecuzione etnica, ed hanno assicurato che i georgiani detentori di documenti in regola non hanno nulla da temere. Il 10 ottobre, Sergej Ivanov ha dichiarato he la Russia non ha intenzione di annettere l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Alla fine, anche lo stesso Vladimir Putin, alla riunione di governo del 16 ottobre ha appoggiato le proposte di German Gref e Mikhail Zurabov (i ministri che di solito vengono annoverati tra i liberali dell’esecutivo), relative all’indizione di una sanatoria per gli immigrati irregolari, alla regolamentazione delle leggi sull’immigrazione, sul commercio e sulla concessione della cittadinanza. E questo senza altre dichiarazioni he avrebbero potuto essere interpretate come ultranazionalistiche.
Le disposizioni più assurde (come l’esclusione dei ragazzi georgiani dalle scuole) sono state revocate.
È interessante notare come proprio nei giorni in cui Putin dichiarava l’impossibilità di comunicare con Stati he usano esclusivamente “il linguaggio della villania e dei ricatti”, il “boss” della Bielorussia Aleksandr Lukašenko abbia di nuovo sparato a zero contro la leadership russa, osservando per altro che, facendo alzare i prezzi del gas per il suo Paese, la Russia rischia di perdere un alleato ad occidente dal suo confine. Ma in realtà qui non si tratta più di politica, quanto di economia: la Russia è ormai stufa di sovvenzionare la Bielorussia senza ottenere niente in cambio, mentre Lukašenko cerca di mantenere intatte le condizioni favorevoli sulle quali, tutto sommato, si basa il suo regime, ricorrendo a quella stessa logica del ricatto biasimata da Vladimir Putin (come le proposte di vendere alla Gazprom il “tubo” bielorusso, cioè il gruppo “Beltransgas” a un prezzo gonfiato). Ma a differenza che con la Georgia, in questo caso Mosca ha preferito limitarsi alle proteste ufficiose. Il motivo? Semplice: un conflitto con Lukašenko, abbastanza popolare presso i circoli “patriottici” russi sarebbe politicamente poco proficuo, anzi potrebbe dare diverse noie.
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