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Numero 8(53)
La “Leggenda d’amore” al Bolshoi

    Circa tre stagioni fa dal cartellone del teatro Bolshoi è scomparso il balletto di Juri Grigorovich “Leggenda d’amore”, un “capolavoro insuperato” del Maestro”, secondo i critici di balletto russi.
    Fino allora lo spettacolo faceva onore al palcoscenico del Bolshoi per poco meno di tre decenni. Vi si sono educate alcune generazioni di ballerini bravissimi. Per gli interpreti, la “Leggenda” era una specie di scuola in cui imparavano l’arte. Quando al posto del direttore artistico del Bolshoi era stato nominato Ghennadi Rozhdestvenskij, Juri Grigorovich ha avuto la proposta di ricostruire i suoi balletti che per diversi motivi erano scomparsi dal repertorio. Il primo ad essere presentato al pubblico è stato il “Lago dei cigni”, “risuscitato” in primavera dell’anno scorso. Sempre in quel periodo è stata progettata la “Leggenda d’amore”. Il progetto è stato realizzato in tempo, nonostante gli ennesimi spostamenti fra i dirigenti del teatro nazionale Numero Uno.
    Juri Grigorovich ha lavorato sulla restituzione dello spettacolo per circa due mesi, insieme alla sua assistente abituale, Natalia Bessmertnova, una grande ballerina, la prima interprete moscovita di Scirin, una delle due parti femminili principali. Va detto subito che nonostante tutto l’impegno usato, i bravi artisti di oggi non sono riusciti ad avvicinarsi a quella tensione di passioni che coinvolgeva e conquistava la sala negli anni sessanta. Ma i motivi sono storici e non professionali.
    Una volta la “Leggenda d’amore” rappresentava una specie di inno alla fraternità multinazionale, sinonimo di una solidarietà di tutti gli uomini della terra: il balletto è ispirato al poema di Nazym Khikmet, comunista turco, la musica è stata scritta da Arif Melikov, giovane compositore azerbaigiano, la messa in scena è stata realizzata dal coreografo e da artisti russi. Oggi quel patos si è storicamente offuscato. Ha perso, certamente, la sua attualità anche l’idea della lotta fra il sentimento personale e il dovere sociale: il protagonista, il simpatico pittore Ferhad rinuncia alla propria felicità per rendere felice il popolo, operando prodezze degne di Prometeo. Ferhad procura per i concittadini, tormentati dalla sete, l’acqua, scavandola in una roccia. Questo tema ha acquistato un senso schematico, da cartellone. Anche il tema del sacrificio si è offuscato nei nostri giorni difficili: la zarina Mehmene Banu sacrifica la sua bellezza per salvare la vita alla sua sorella minore.
    Tutte le novazioni coreografiche di Juri Grigorovich, introdotte dalla “Leggenda”, sono state perfezionate da lui stesso nei suoi spettacoli ulteriori, come lo “Spartacus”, l’“Ivan il Terribile”, l’“Angara”, “Romeo e Giulietta”. Si tratta del sinfonismo da ballo, della stilizzazione plastica, di elementi acrobatici, della regia netta. Troppo laconiche e modeste appaiono oggi le scenografie: un grosso volume antico, creato da Simon Virsaladze, artista eminente, coautore costante del coreografo.
    I solisti e il corpo da ballo che li “sostiene”, ballano, certamente, bene. I cortigiani, le guardie, i soldati, il popolo eseguono diligentemente e nettamente tutti i movimenti, arrestandosi in posizioni ricercate durante il ballo dei solisti. Una volta gli storici del balletto hanno dato a questa innovazione il nome dei “primissimi piani” e delle “metafore liriche”. Le squadre di artisti, che sono i migliori ballerini del Bolshoi (Nikolai Tsiskaridze, Dmitri Belogolovtsev, Anna Antoniceva, Marianna Ryzhkina, Nadezhda Graciova, Maria Allas, Mark Peretokin, Aleksei Popovcenko), “vivono” onestamente l’azione, cercano di coinvolgere il pubblico nelle passioni non ancora sperimentate da loro stessi, che non sono ancora diventate oggetto di generalizzazioni filosofiche, come succede nei balletti classici di programma.
    Il patos innovatore e rivoluzionario è ormai scomparso, mentre i tempi in cui questo balletto diventerà ( secondo noi, è indubbio) un’opera classica, non sono ancora maturi. Ma è comunque veramente bello che lo spettacolo è tornato sulla scena del Bolshoi, perché sicuramente ha il suo pubblico. Coloro che non vi credono, possono andare a vedere la “Leggenda d’amore”, per avere un’idea sull’entusiasmo con cui il pubblico accoglie lo spettacolo. Che il pubblico può essere severo, l’ha dimostrato la sera dopo, alla manifestazione, dedicata al conferimento del premio internazionale “Benois de la dance”, fischiando le interpretazioni che non hanno diritto di far parte dell’arte. Il pubblico, quindi, vota: a favore della “Leggenda d’amore”. Ed esso, come si sa, ha sempre ragione.

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