Numero 2(47)
Afganistan: ancora guerra
Le azioni di guerra con i talebani e con i guerriglieri di Osama bin Laden si sono trasferire definitivamente nella
periferia del Paese.
Del resto, non si è riusciti a catturare il mullah Omar, capo del “Taleban”, né bin Laden, mentre le ipotesi circa la loro
sorte variano dalla morte in una delle aree fortificate alla fuga in Somalia.
Del resto, l’amministrazione attuale afgana ha un sacco di altri problemi da risolvere. I 25 anni di guerra e la dittatura
dei talebani hanno portato il Paese ad un crollo totale. La tesoreria dello Stato è vuota, dato che i talebani, nel retrocedere,
hanno preso con loro tutti i contanti, mentre gli fondi esteri sono congelati. Solo l’arrivo della prima tranche di aiuti
economici, per l’ammontare di otto milioni di dollari USA, ha salvato l’Afganistan da una sommossa dei funzionari di Stato,
compresi i poliziotti, che non ricevono stipendi da sei mesi. In tutto, secondo le stime più modeste, per ricostruire l’economia
afgana ci vorranno non meno di 20 miliardi di dollari, dei quali i Paesi donatori sono d’accordo di rilasciare solo un quarto.
Non ci sono motivi per sperare in ulteriori investimenti futuri, anche perché l’economia mondiale è tutt’altro che in salita.
Anche i giocatori geopolitici più importanti sicuramente porranno molte condizioni per il rilascio di ogni tranche, cercando di
far sì che la parte del leone di ciascun dollaro comunque non abbandoni il campo economico di un Paese donatore. Lo stesso
Khamid Karzai, il premier appena sfornato, cercando di fare una bella figura con i leader dei Paesi donatori, ha promesso di
ricostruire le statue di Buddha demolite dai talebani, ciò che, per prima cosa è impossibile, e poi difficilmente piacerà più
di tanto ai musulmani afgani.
I vertici della politica afgana, non appena resisi conto che i talebani, in quanto forza politica reale, sono spariti per sempre
dal Paese, si sono messi subito a lottare uno contro l’altro. Le truppe del ministro della difesa, Fahim, e del suo vice, il
leader degli uzbeki afgani, Dustum, si sono dati alla rissa per l’ultimo baluardo settentrionale dei talebani, Kunduz. Le tribù
pastune del Sud hanno iniziato l’offensiva su Gerat, per destituire il suo governatore tagico attuale che avrebbe assecondato
le rapine delle carovane commerciali.
In contemporanea, le discordie hanno toccato anche i partecipanti “esterni” della coalizione antitalebana. Per loro, la questione
cruciale riguarda l’assistenza nella formazione di un unico esercito afgano che deve sostituire reparti eterogenei dei
comandanti partigiani. La puntata politica in questo caso è chiara: colui che forma il nuovo esercito, eserciterà maggiore
influenza sul suo vertice (e forse sul governo in generale). Per ora, l’interesse circa la partecipazione a quest’iniziativa
è stato manifestato espressamente dalla Gran Bretagna, dall’Iran e dalla Turchia. La Russia intanto sta modestamente in disparte,
il che non impedisce ai suoi eventuali concorrenti di infangarla. Le strutture russe prevalentemente stanno consolidando la loro
influenza economica. E’ stato infatti inaugurato il famoso tunnel sul valico Salang, che unisce il nord e il sud dell’Afganistan.
La Russia è stata tra i primi Paesi a designare il proprio ambasciatore in una Kabul mezzo distrutta: un funzionario che aveva
lavorato all’ambasciata già ai tempi sovietici.
Un altro problema del gabinetto Karzai è quello della lotta alla droga. Nonostante che dal 17 gennaio in Afganistan sia
ufficialmente vietato coltivare il papavero, è evidente che decine di migliaia di persone che ne traggono il lavoro e i
soldi, contrasteranno tali iniziative armi alla mano. Gli USA intanto stanno pian piano spostando la loro attenzione
dall’Afganistan verso altri territori che, secondo loro, sarebbero focolai del terrorismo mondiale. Un reparto appositamente
preparato dei marines è stato inviato alle Filippine per soccorrere le autorità locali nella lotta con gli islamisti, mentre
l’armata principale del corpo di spedizione statunitense si prepara ad entrare in Somalia, dove, secondo alcune ipotesi,
sarebbe scappato bin Laden. Qui il ruolo della “buona” Alleanza del Nord è dato ai governatori di due stati separatisti non
riconosciuti, situati nel nord della Somalia, mentre il “cattivo” numero uno è il governo centrale del Paese, che cerca di
usare gli islamisti per sconfiggere i capi tribali disubbidienti. Gli americani praticamente non hanno più interessi in
Afganistan. Hanno mantenuto, del resto, per ogni eventualità, le basi militari in Uzbekistan e in Kirghizia, il che consentirà
loro, fra l’altro, di far uscire definitivamente queste repubbliche dalla zona d’influenza russa. Ma non è assolutamente detto
che ciò sia sufficiente per controllare la situazione. La domanda riguardo a che cosa arriverà prima: se un nuovo conflitto
nell’Afganistan disfatto dalla guerra, o i primi indizi della stabilizzazione, rimane pertanto attuale.
Ilja Rudnev
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