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Numero 2(66)
Un’arca in un fiato

    Il 10 febbraio, un film russo ha avuto il Premio della pace del Festival cinematografico “Berlinale-2003”.
    Il premio della pace si aggiudica ai registi dell’Europa Centrale e dell’Est, cui opere rispondono allo stile ad alle tradizioni del maestro polacco Andjej Wajda. Questa volta l’uomo più degno di questo premio è stato, secondo la giuria, il regista Aleksandr Sokurov che ha presentato al festival il film “L’arca russa”. Secondo quanto ha comunicato il comitato organizzativo del festival, il premio è aggiudicato per “l’uso magistrale del cinematografo per l’analisi profonda dei problemi e delle realtà della società”. Questo premio non è il premo e sicuramente non sarà l’ultimo, anche se va ammesso che “L’arca russa” non sia viziata con i premi, nonostante il successo grandioso che accompagna la pellicola, ovunque sia proiettata. Il motivo è questo: già nel periodo preparativo, il regista aveva deciso che la sua opera potesse essere presentata per ottenere qualsiasi premio solo nella nomination generale “il miglior film”.Secondo Sokurov, in questo progetto unico sarebbe impossibile dividere l’opera fatta in “mestieri”, mentre il risultato conseguito viene da un lavoro del gruppo grande ed affiatato.
    A causa di questa condizione, il film è rimasto senza premi dell’Accademia cinematografica europea, dove aveva avuto due nomination (“il miglior regista” e “il miglior direttore della fotografia”), ma era stato tolto dal concorso. Anche a Cannes il regista era dovuto accontentarsi dell’elogio da parte del pubblico che applaudiva a piedi dopo la prima proiezione, come applaudiva alle due opere precedenti di Sokurov: il “Toro” e il “Moloc”.
    Cionosotante, i critici cinematografici sono d’accordo che “L’Arca” entrerà nella storia del cinema. Un anno fa nell’Ermitage di Pietroburgo è stato realizzato questo progetto grandioso, complicatissimo, quasi impossibile: le riprese continue di un lungometraggio a soggetto. Il lavoro svolto da Sokurov e il suo gruppo è stato veramente inedito, perché è stato svolto in uno dei musei più grossi del mondo, con la partecipazione di oltre mille attori, musicisti, comparse, squadra di riprese, in un quadro continuo in 1 ora 27 minuti e 12 secondi. Cioè, in un’ora e mezza la cinepresa non è stata mai spenta, ha attraversato 36 sale, gallerie e scale di tutta l’Ermitage, e le immagini ottenute, non hanno subìto montaggio conseguente. Le riprese sono andate bene solo alla quarta volta, ed erano precedute dai mesi della preparazione. Sokurov non è stato il primo ad usare le riprese continue: tali sprimenti erano già stati fatti più di una volta, i pià noti, nel Messico e in Gran Bretagna, ma non si trattava mai di una regia di simili dimensioni e di simile complessità.
    Un procedimento tecnico, ovviamente, non è fine a sé stesso: il regista descrive la vicenda come una ripresa fatta in un fiato. E’ proprio la tensione creativa che si evolve nel tempo reale, la principale particolarità della pellicola. L’idea di fare tale film era venuta in mente a Sokurov 15 anni fa, ma solo oggi è diventato possibile realizzarla tecnicamente. “Lavorando nel regime del tempo reale, il creatore sente di toccare qualcosa di divino”, ha ammesso il regista alla conferenza stampa. “Le forme e i mezzi del cinema cambiano continuamente. Fra poco la forma tradizionale di un film di 96 minuti si estinguerà. Esistono solo parole, il resto non conta”. Ed ecco un’altra citazione di Sokurov che svela il rapporto tra il maestro e il suo mestriere: “Il cinema è stato creato per aiutare a supportare l’arte classica, ma non per sostituirla. Il cinema deve cadere in ginocchio davanti alla pittura ed alla letteratura e non alzarsi in nessun caso”.
    Proprio così. Il filosofo che è in Sokurov preconizza la morte del cinema tradizionale. Il regista Sokurov intanto gira i capolavori. Non ci resta che aspettare con impazienza la prima russa che avrà luogo nei giorni in cui si festeggerà il 300-mo anniversario di San Pietroburgo.

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