Numero 16(80)
Elezioni senza scelta?
I risultati delle elezioni politiche svoltesi il 7 dicembre sono stati sbalorditivi.
Per la prima volta in tutta la storia postsovietica il partito del potere, la “Russia unita”, è riuscito ad ottenere quasi la metà di seggi: 222 mandati (il 37% e 105 deputati, eletti nei distretti uninominali). Nessuno dei partiti della destra è entrato nella Duma con liste elettorali, cosicché i liberali nella nuova Camera bassa saranno presenti con 5-6 deputati uninominali. Tanti voti invece sono stati ricevuti dai nazionalisti, cioè dal partito di Vladimir Zhirinovskij (il 12%) e la nuova alleanza “Rodina” (“Madrepatria”), capeggiata da Dimitrij Rogozin e da Serghej Glaziev, i quali ormai da dieci anni cercavano di avvicinarsi al potere (il 9%).
Esistono due ipotesi che spiegano tale divisione di voti. Secondo la prima, la situazione si sarebbe complicata, in larga misura, a causa dell’atteggiamento nei confronti delle elezioni iniettato nel corso di molti mesi, che le presentava come qualcosa di secondario, e per l’opinione che i risultati sarebbero stati falsificati anticipatamente. Alla votazione, svoltasi il 7 dicembre, ha partecipato solo il 52% degli elettori, una percentuale del 10% inferiore rispetto a quella delle elezioni politiche precedenti. Fra coloro che non si sono presentati alle urne, la maggior parte è l’elettorato potenziale del Partito delle forze di destra (SPS). Ciò è successo anche perché molti di loro sono stati rassicurati dalle cifre dei sondaggi sociologici, secondo i quali la destra sarebbe passata senza problemi nella Duma. I risultati della “Russia unita” riflettono l’enorme fiducia nutrita da molta gente per Vladimir Putin. L’impennata di Zhrinovskij e Rogozin è motivata in modo assai semplice: questi uomini hanno ottenuto praticamente tutti i dividendi della “lotta agli oligarchi”, che si era svolta negli ultimi mesi. E’ stato confermato ancora una volta che circa il 10% della popolazione si schiera con l’ideologia tipo “togliere tutto e dividerlo”. E proprio questo gruppo partecipa attivamente alle elezioni. E il calo del rating del Partito comunista è stato suscitato in larga misura dalla campagna di smascheramento dei “contatti fra i comunisti e gli oligarchi”, condotta dai mass media pubblici.
Esiste, tuttavia, anche un’altra ipotesi. Potrebbe sembrare paradossale, ma ad avanzarla sono i comunisti, la cui presenza nella nuova Duma diminuirà notevolmente (fino a 53 deputati). E’ difficile che qualcuno potesse credere un mese fa che Ghennadij Ziuganov avrebbe dichiarato che sulla base del conteggio parallelo dei voti svolto dal Partito comunista, sia Yabloko che il Partito delle forze di destra dovessero entrare nella Duma, mentre i voti mancanti sono stati semplicemente attribuiti alla “Russia Unita”. C’è da rilevare che tali dichiarazioni fanno eco ad un articolo comparso a 10 giorni dalle elezioni sulla “Novaya gazeta”, secondo il quale i risultati delle elezioni sarebbero stati determinati in anticipo. Va notato peraltro che proprio questo articolo e tanti commenti fatti dai media hanno comportato un’apatia di massa degli elettori.
Intanto il risultato degli stessi comunisti, secondo i loro calcoli, si è rivelato più basso di un mezzo punto percentuale rispetto a quello ufficiale. Tale solidarietà può dimostrare una sola cosa: i comunisti hanno sentito odore di bruciato, e hanno capito che la macchina statale, raggiunta la massima velocità, avrebbe potuto schiacciare anche loro, se non fosse stata fermata. Non solo i politici russi, ma anche molti osservatori stranieri hanno parlato dei difetti e dei brogli elettorali. Bruce George, il presidente dell’Assemblea parlamentare dell’OSCE, ha detto ai giornalisti che l’uso della “risorsa amministrativa” ha comportato deformazioni dei risultati elettorali. In particolare, la Russia Unita ha goduto del vantaggio e in tal modo è stata creata una situazione ingiusta per gli altri partiti e candidati.
L’OSCE ha anche rilevato le pressioni notevoli subìte dai giornalisti, il che ha impedito una copertura giornalistica oggettiva degli eventi nel corso della campagna elettorale e non ha permesso agli elettori di fare la scelta in base ad informazioni complete.
Rita Süssmut, direttrice dell’Ufficio OSCE per gli istituti democratici ed i diritti umani, la missione di osservatori più importante, ha detto che gli osservatori internazionali “sono seriamente preoccupati della mancanza di libertà dei mass media”.
Robert Barry, un altro rappresentante dell’OSCE, sostiene di essere disposto ad esaminare le dichiarazioni di qualsiasi politico russo che metta in dubbio la legittimità delle elezioni politiche. Scoth Macckellan, il segretario stampa del Presidente degli USA, ha detto che i dirigenti statunitensi condividono la preoccupazione degli osservatori dell’OSCE.
Va rilevato peraltro che le autorità prendono con molta stizza i tentativi di far notare le deformazioni dei risultati delle elezioni. Aleksandr Veshniakov, il capo della Commissione elettorale centrale (CEC), ha definito “un imbroglio” i risultati del conteggio parallelo dei voti organizzato dagli osservatori del Partito comunista. Il presidente della CEC ha invitato Ziuganov a “non appassionarsi più di tanto per gli slogan politici e le speculazioni” e gli ha raccomandato di “licenziare tutti i suoi consiglieri che gli hanno fatto fare una brutta figura durante le elezioni, e che glie la fanno fare anche adesso”. E la risposta data all’asserzione del sig. Macklellan ricordava il famoso: “E da voi si linciano i neri”.
Contemporaneamente alle elezioni parlamentari, in alcune regioni si sono svolte le elezioni dei governatori e dei presidenti. Sorprendenti sono stati i risultati in Bashkiria. La popolazione della repubblica si è stancata così tanto del governo tredicenne del khan locale Murtaza Rakhimov, il quale è stato vicino a perdere le elezioni già al primo turno. Commentando i risultati delle elezioni, Anatolij Ciubais ha affermato che “si tratta di un radicale cambiamento del quadro politico nel Paese, e gli effetti di questo sono assai dramatici”.
“E’ senz’altro una ridistribuzione dell’influenza in campo politico, in un piano più pericoloso per il Paese, cioè favorevole alle forze della sinistra e del nazismo”, ha aggiunto Ciubais. Ha peraltro presagito una scissione a breve scadenza del movimento “Rodina”. L’ardore dimostrato dai signori Rogozin e Glaziev nel disdire tale previsione ha fatto capire che si tratta di un argomento assai doloroso. Non è sfuggita poi agli osservatori una dichiarazione fatta da Dimitrij Rogozin la notte successiva alle elezioni. Commentando i buoni risultati della sua alleanza, infatti, ha promesso che il movimento avrebbe cercato di ottenere per Serghej Glaziev il posto di vice premier per le questioni sociali. Considerato che questa carica sembra essere fatta per uno destinato ad essere silurato, il sig. Rogozin non poteva esprimere in modo più chiaro il proprio desiderio di disfarsi del partner che ha già fatto ciò che doveva fare. Rogozin ha promesso poi di eliminare gli olgarchi e di ottenere l’allontanamento di Ciubais dal gigante energetico RAO EES.
Il leader dell’Unione delle forze di destra, Boris Nemtsov, ha costatato che “nella nuova Duma saranno presenti prevalentemente i rappresentanti della burocrazia e i nazionalsocialisti”, cosicché l’unico garante della stabilità politica nel Paese, dopo l’elezione dei nuovi deputati, sarà “il Presidente della Russia”. E Ghennadij Ziuganov ha sostenuto che la vittoria di Zhirinovskij segna il ritorno di un “regime poliziesco” e ha definito le elezioni “un imbroglio grandioso”. Da parte dei sostenitori della “Russia Unita”, invece non venivano che dichiarazioni piene di una soddisfazione assoluta, che a volte si trasformava in grossolanità nei confronti degli sconfitti.
Lo stesso Vladimir Putin ha detto che i risultati delle elezioni “riflettono le predilezioni reali della popolazione, riflettono ciò che pensa il popolo, riflettono le realtà della vita politica”. Nel contempo, il Presidente ha rilevato che le idee e le potenzialità personali di quelli che avevano perso le elezioni avrebbero trovato impiego. Essi, a suo avviso, “devono analizzare” i motivi della propria sconfitta. Di fatto il Presidente ha proposto alla destra di rassegnarsi e di diventare un partito di “consiglieri segreti”, il che screditerebbe definitivamente l’idea liberale nel Paese. E’ interessante che Yurij Luzhkov, il sindaco di Mosca, uno degli star della “Russia Unita”, ha già espresso il suo rammarico per l’assenza dell’ala destra nella Duma di Stato.
Visto che Zhirinovskij vota di solito così come vuole il potere, il Cremlino ha praticamente ottenuto la maggioranza costituzionale dei voti, mediante la quale può cambiare qualsiasi legge, compresa la Costituzione, anche in settori così discutibili come la possibilità che Putin si candidi per la terza volta, o come l’aumento del periodo di presidenza fino a 7 anni.
Ciò non significa peraltro la fine del liberalismo in Russia. I partiti della destra hanno la possibilità di trarre le loro lezioni dalla sconfitta (alla quale sono stati portati, in larga misura, dal proprio atteggiamento irresponsabile), di consolidarsi e dopo aver presentato un unicî candidato alle elezioni presidenziali, di ripartire da capo, dimenticando i vecchi rancori e gli scontri. Altrimenti, il vuoto creatosi nell’ala destra potrebbe essere colmato dalle forze della destra radicale, le quali potrebbero portare il Paese al nazismo. Bisogna cominciare il lavoro subito, perché coloro che vorranno passare nella prossima Duma dovranno superare la barriera non più del 5%, ma del 7%. E occorrerebbe partire dal cambio dei dirigenti. Almeno i dirigenti dell’Unione delle forze di destra hanno dichiarato la loro disponibilità a rassegnare le dimissioni. E’ difficile peraltro che possano essere imitati da Grigorij Yavlinskij, il quale sostiene che i fatti accaduti non siano una tragedia.
Ci saranno dei cambiamenti anche nello schieramento della sinistra. I rappresentanti di “Rodina” potrebbero cercare di far passare da loro gli elettori del Partito comunista, e di presentare Glaziev come la nuova bandiera della sinistra.
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