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Numero 16(80)
Elezioni 2003:
è ora di guardare in faccia alla verità


    Le elezioni politiche del 7 dicembre suscitano solo due sensazioni: grande delusione e tristezza.
    Non è cambiata la Duma, è cambiato il Paese. Discutere se i risultati delle elezioni fossero o meno falsificati è come perdere tempo in chiacchiere. Anche se è stata usata la “risorsa amministrativa”, anche se le osservazioni negative dell’OSCE in merito alla procedura di svolgimento delle elezioni non sono infondate, bisogna ammettere che pur se i partiti democratici fossero entrati strisciando nella nuova Duma, l’avrebbero fatto superando a malapena la barriera del 5%, e quindi la loro posizione sarebbe stata comunque debolissima.
    Il fatto che Yabloko e l’Unione delle forze di destra non sono passati alla Duma, è sicuramente la sensazione principale di queste elezioni. Ciononostante, se si leggono bene tanti articoli già scritti a proposito delle elezioni e della sorte toccata ai partiti liberali, le conclusioni s’impongono di sè. Non è cambiato l’elettorato che non vuole più appoggiare la destra: sono cambiati i partiti stessi. E non serve, come fa qualcuno, rimproverare alla popolazione di non avere altri interessi nella vita tranne lo shopping. Ne scriveva, in particolare, Maksim Kasciulinskij, osservatore indipendente del giornale Vedomosti, nell’articolo intitolato Cinici del 9 dicembre. Secondo lui, “la classe media... se n’è fregata delle elezioni, ritenendo che la libera espressione della volontà politica sia insensata”. No, “il voto con i piedi” dimostra la delusione di questa classe media nei confronti delle azioni dei partiti della destra, cioè, anche se questa gente fosse venuta alle urne, quasi sicuramente l’avrebbe fatto per votare contro tutti. L’elettorato della destra si è trovato perplesso per la disorganizzazione all’interno degli stessi partiti della destra. Molti dicono che il loro atteggiamento nei confronti dell’arresto di Khodorkovskij sia stato troppo vago e vile. Sì, è così, ma può essere diverso l’atteggiamento di un partito della minoranza in condizioni di “democrazia amministrata”? La verità è che l’unica risposta forte alle azioni della Procura potrebbe essere l’unificazione dei partiti della destra. Ma ciò non è avvenuto, perché per loro è stata troppo importante la questione della prevalenza in questa coalizione; perché i leader di questi partiti sembrano aver perso il senso della realtà, si sono messi a pensare solo con i concetti cari ai politici, come un sistema di freni e contrappesi, a vedere nella lotta politica una partita a scacchi, dimenticando che i semplici elettori non sanno e non ne vogliono sapere di tutto questo complesso rapporto di forze. Di conseguenza, il semplice slogan di “Rodina” “sequestrare e dividere la rendita” è diventato assai più comprensibile delle affermazioni ampollose di Ciubais che raccomandava allo Stato di ingerirsi nell’economia, ma solo per creare le regole di gioco. Come ha notato bene, sullo stesso giornale Vedomosti, Olga Kryshtanovskaja (Istituto di sociologia dell’Accademia delle scienze della Russia), “alla vigilia delle elezioni i leader democratici hanno dimostrato di non difendere la democrazia in Russia. Essi non hanno difeso i giornalisti, non hanno difeso gli imprenditori, non hanno difeso l’intellighenzia”.
    Un nuovo mito dice che la Duma senza la destra e’ più vantaggiosa per la destra della Duma con una minoranza democratica umiliata. Ma tale approccio non è nulla più di un’illusione. Nel giro di quattro anni. la gente si dimenticherà dei partiti della destra, ed essi non avranno nessuna chance di passare nella prossima Duma. Inoltre, il crollo a queste elezioni complica notevolmente il lancio di un candidato della destra per le prossime elezioni presidenziali. Appaiono ottimali, in questa situazione, le dimissioni dei dirigenti sia dell’Unione delle forze di destra, sia di Yabloko, allo scopo di formare un’ossatura nuova dei partiti e di lanciare un nuovo esponente. Ma non è detto che Yavlinskij e Nemtsov siano disposti a cancellare la propria carriera politica. Qualora i falliti dovessero rimanere alla guida, si potrà mettere una pietra sopra i partiti liberali.
    L’altra sensazione delle elezioni è il risultato altissimo del partito “Rodina”, che ha avuto quasi il 9%, grazie al suo programma, nettamente esposto, ispirato all’invito di “togliere e dividere”. La vittoria di questo partito riflette due tendenze: la prima è la voglia di un nuovo partito, di nuove personalità, di nuovi leader. Da tempo è nota l’incapacità dei partiti esistenti di realizzare le loro promesse preelettorali, perciò il voto a favore del nuovo partito è una specie di voto di contestazione. La stessa contestazione si conferma con i risultati del partito “Yabloko” alle elezioni dal 1993 al 2003. La posizione intransigente di “Yabloko” che di fatto ha tolto al partito la possibilità di partecipare alla presa di decisioni politiche, gode di popolarità sempre minore.
    L’altra tendenza è l’appoggio dei partiti che usano la retorica patriottica. Il desiderio di risuscitare l’immagine dell’impero, la “Grande Russia”, anche se non si ispira direttamente alle idee nazionalistiche, è tuttavia assai vicino ad esse. Giocando sugli slogan delle idee nazionalistiche, Rodina, insieme al partito di Zhrinovskij, hanno avuto un po’ più del 20% di voti: la cifra parla da sé. E se nei prossimi quattro anni si continuerà a “nutrire” la popolazione con le immagini degli attentati terroristici, di esplosioni nei treni e di altri orrori, allora nel 2007 la percentuale di coloro che si schierano con questi partiti potrebbe solo aumentare.
    L’altra interpretazione frequente delle elezioni politiche invita a ritenere i loro risultati poco importanti. Si dice che il Parlamento, comunque, non decide nulla, il peso delle decisioni chiave è sempre stato portato dal Presidente, e che le elezioni non avrebbero fatto che confermare questo fatto. Ma se è vero che la Duma non decide nulla e che l’amministrazione presidenziale (dopo le dimissioni di Voloscin) non decide nulla, tanto più importanti diventano le elezioni presidenziali e il cambio pronosticatodel Governo.
    Per quanto riguarda le elezioni presidenziali, citiamo a questo proposito l’opinione di un politologo russo. Per l’équipe del Presidente, la questione principale è questa: se il Presidente vince nel primo turno o se ci vorrà un ballotaggio. Se vince nel primo turno, ciò significherà che la società ha approvato tutte le azioni del potere, realizzate negli ultimi tempi, e per i prossimi quattro anni il potere avrà carta bianca. Se invece Putin dovrà affrontare il secondo turno, ciò vorrà dire che la società non è così consolidata come si vorrebbe, e allora il Presidente dovrà tener conto nella sua politica dell’atteggiamento di quell’elettorato il cui voto sarà di contestazione. Se cioè il candidato delle forze democratiche potesse farsi lanciare e diventare il numero due, allora si potrebbe prevedere un indebolimento della pressione sull’ impresa. Se invece il numero due sarà Ziuganov, ciò piuttosto costringerà il potere a portare ancora più vicino a sé i dirigenti del movimento Rodina, i quali si nutrono con i voti dell’elettorato comunista.
    Per quanto riguarda il cambio del Governo, l’esecutivo, secondo la costituzione, si dimette alla vigilia dell’arrivo del nuovo Presidente. Dall’affermazione di Aleksej Kudrin che ha detto poco fa che entro marzo non vanno previste le dimissioni del Governo, si dovrebbe dedurre che i dirigenti del Paese hanno deciso di non far sbilanciare la situazione un’altra volta, e di aspettare finché si possa cominciare un rimpasto governativo, con il pretesto delle dimissioni del governo, motivate dalla Costituzione. La struttura attuale con Kassianov che riflette gli interessi della cerchia di Eltsin, con Kudrin che rappresenta i pietroburgesi, e Gref che rappresenta gli interessi della grande impresa, sarà ovviamente modificata. E’ in forse la partecipazione al nuovo Governo di Kassianov e di Kudrin. E l’indebolimento della loro posizione segue direttamente dalle elezioni politiche.
    Un’altra questione importantissima è qualla che concerne la modifica delle tasse sulle società perolifere. Secondo gli ottimisti, nella Duma sarebbero passati, nelle liste di diversi partiti, parecchi rappresentanti del business, come, ad esempio, Oleg Deripaska, o altri che facevano parte dei gruppi regionali. Ma la loro presenza nella Duma non garantisce affatto l’incolumità degli interessi dei petrolieri, anzi, la trasformazione del settore petrolifero in una vacca da mungere è vantaggiosa sia per il Governo, già preoccupato del nuovo trend di stagnazione dei redditi di bilancio, sia per quegli oligarchi come Deripaska, quelli impegnati nei settori non legati al petrolio. Come non tanto tempo fa nessuno era contrario al “divoramento” di Gussinskij con il suo impero dei mass media, così oggi i petrolieri possono essere “mangiati” con il silenzio di tutta la comunità imprenditoriale.

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