La Commissione elettorale centrale (CEC), alla sua riunione svoltasi il 19 dicembre, ha fatto un bilancio ufficiale delle elezioni parlamentari per la quarta Duma di Stato. Secondo i dati definitivi hanno votato 60,7 milioni di persone, cioè il 55,75% del numero complessivo di elettori (alle elezioni politiche precedenti si sono presentati il 61,85% degli elettori). Alla quarta edizione della Duma di Stato sono stati eletti 447 deputati: 225 secondo i distretti elettorali federali e 222 negli uninominali. In tre distretti uninominali le elezioni sono riconosciute nulle, perché la percentuale dei voti “contro tutti” è risultata più alta del risultato ottenuto dal candidato che ha avuto la maggioranza dei voti. In questi tre distretti, con il decreto della CEC è fissato un nuovo turno di elezioni.
Il numero complessivo dei voti dati a favore degli elenchi federali dei partiti e delle alleanze e’ stato il seguente:
“Russia Unita”: 22.779.279 di voti – il 37,57%.;
«Partito comunista della Federazione Russa»: 7.647.820 di voti – il 12,61%;
«LDPR» (Partito liberal-democratico): 6.943.885 di voti – l’11,45%;
“Rodina (unione popolare-patriottica)”: 5.469.556 di voti – il 9,02%;
“Jabloko”, il Partito democratico russo: 2.609.823 di voti – il 4,3%;
Unione delle forze di destra: 2.408.356 di voti – il 3,97%.
“Contro tutti” hanno votato 2.851.600 elettori - il 4,7%.
Il tentativo del Partito comunista di contestare i risultati delle elezioni direttamente alla riunione della Commissione elettorale centrale è stato troncato dal presidente Veshniakov, il quale ha detto che i comunisti non presentavano dei fatti concreti. I rappresentanti del Partito comunista hanno peraltro promesso di adire a vie legali per impugnare la sentenza della Commissione elettorale centrale, e hanno presentato una querela all’ Assemblea Parlamentare del Consiglio d’ Europa e alla OSCE. Anche il partito “Jabloko” ha dichiarato di aver intenzione di continuare il proprio conteggio parallelo dei voti. A sua volta, Veshniakov ha minacciato di responsabilità penali chiunque “avesse cercato di deformare i risultati delle elezioni”.
La Commissione elettorale centrale ha peraltro deciso di indorare la pillola per qualcuno dei perdenti, annunciando che il finanziamento statale sarebbe fornito non solo alla “Russia Unita”, al Partito comunista della Federazione Russa, a “Rodina” (Madrepatria) e al Partito liberale democratico, passati alla Duma, ma anche il Partito delle forze di destra, “Jabloko”, al Partito agrario, all’alleanza “Partito dei pensionati – Partito della giustizia sociale” e al Partito popolare.
Mentre si svolgevano questi “combattimenti di retroguardia”, la “Russia unita” continuava a portare via i deputati alle altre fazioni, nonché i deputati indipendenti. Di conseguenza, verso la prima riunione della neoeletta Duma, che ha avuto luogo il 29 dicembre, il gruppo ha totalizzato 304 persone. In questo modo la “Russia unita” anche ufficialmente ha smesso di aver bisogno degli alleati: un tale numero di voti sarà sufficiente per far passare qualsiasi legge, anche quella costituzionale. I centristi hanno dimostrato la propria forza già alla prima riunione, avendo inserito degli emendamenti al regolamento. E’ stato deciso che il numero dei posti di vicepresidente della Camera bassa sarebbe stato determinato dalla composizione numerica di un gruppo, che sarebbe stato possibile occupare contemporaneamente il posto del presidente e del leader di un gruppo parlamentare. L’ultima deliberazione è stata approvata apposta per il leader della “Russia unita” Boris Gryzlov, diventato presidente nello stesso giorno. Inoltre è stato presentato un emendamento, secondo il quale, se durante la votazione del Consiglio della Duma i voti si dividono a metà si approva la sentenza a favore della quale ha votato il presidente della seduta.
Per prevenire la creazione di nuovi gruppi, il numero minimo di un gruppo parlamentare è stato aumentato da 35 a 55. Si è deciso inoltre, che ad avere il diritto di voto deliberativo saranno il presidente della Duma di Stato, i due primi vicepresidenti e otto vicepresidenti “normali”. Come si è detto, a presidente è stato eletto subito Boris Gryzlov, l’ex ministro degli interni che nello stesso giorno ha presentato a Vladimir Putin la richiesta ufficiale di dimissioni dal posto di ministro (il nuovo ministro ad interim è Rashid Nurgaliev, l’ex primo vice ministro degli interni). Dei dieci vice di Gryzlov sette (compresi i due primi vice) fanno parte della stessa “Russia unita”. Gli altri partiti hanno ottenuto solo un seggio di vice presidente per ciascuno.
Alla riunione del 16 gennaio sono stati eletti i presidenti dei comitati della Duma di Stato. Tutti i comitati sono capeggiati dai membri del gruppo “Russia unita”.
In altre parole, la “Russia unita” ha ottenuto un monopolio per far deliberare qualsiasi cosa dal Consiglio della Duma, mentre gli altri partiti hanno avuto una possibilità di manovra assai ridotta. Solo Vladimir Ryzhkov, l’ex presunto “candidato unico” delle forze democratiche alle imminenti elezioni presidenziali, si è schierato contro tale situazione.
A suo dire, “il popolo non ha dato a nessuno la maggioranza costituzionale dei voti”. Per confermarlo, Ryzhkov ha apportato delle cifre concrete: “Di tutti gli elettori presenti negli elenchi, a favore della “Russia unita” hanno votato il 18%. Di quelli che si sono presentati alle urne il 37%, ma nella Duma la “Russia unita” ha il 70% dei seggi”. Questo 70%, secondo il deputato, “è stato ottenuto soprattutto grazie ai candidati uninominali, che si definivano indipendenti e grazie ai rappresentanti di altri partiti (Forze di destra, Popolari), che sono confluiti di corsa, tutti insieme, nella “Russia unita”, mentre gli elettori non avevano autorizzato tale loro passo”.
Ryzhkov sostiene che di conseguenza sarebbe stato creato “un parlamento tipico di uno stato autoritario”, simile a quello kazakhstano, bielorusso, ucraino. A detta di Vladimir Ryzhkov, “la società ora sta mangiandosi i soldi del petrolio, e se ne frega di quanto succede nel Parlamento, guarda gli innumerevoli show degli sketchisti, ascolta le canzoni degli anni 70, piange di tenerezza, vedendo i film sovietici... Le va bene il regime autoritario: quindi in Russia ci sarà. Ma dopo due o tre anni, il fallimento di questo modello diventerà evidente per tutti. Ora nella società c’è una domanda di stabilità, ma dopo un certo tempo comparirà la domanda di cambiamenti”.