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Numero 7(87)
Caucaso: raid in Ingushetija

    Il 21 giugno alle 22.00, a sei ore dall’inizio ufficiale della Grande Guerra patria in Russia, il conflitto odierno che vede coinvolta la Cecenia ha passato i confini della repubblica ed è arrivato nella vicina Ingushetija. I separtisti hanno improvvisamente attaccato la città di Nazran’, Daragulak e il villaggio Slepcovckaja.
    Secondo fonti diverse, all’attacco hanno preso parte da 200 a 1500 guerriglieri sotto al comando di un certo Mahomed Evloev. Hanno attaccato le amministrazioni cittadine degli Affari Interni e le sedi locali dei servizi di sicurezza, il quartier generale del distaccamento 137 della guardia di frontiera; in tutto una ventina di bersagli. La contemporaneità dell’inizio degli attacchi nelle diverse città lascia pensare ad un piano elaborato nei minimi dettagli. Tuttavia i guerriglieri non sono riusciti a prendere pieno possesso di nessun edificio, come non sono riusciti neanche a penetrare nelle sezioni d’isolamento del Ministero degli Affari Interni, dove venivano trattenute diverse decine di arrestati per collaborazionismo coi separatisti. È stato bloccato da parte delle forze del Ministero degli Interni ingushetijano il tentativo da parte dei guerriglieri di arrivare alla zona della capitale Magas dove è situato il complesso degli edifici governativi della repubblica. I guerriglieri sono comunque stati agevolati (anche se involontariamente) dalla guardia di turno, che ha dato l’allarme, richiedendo a tutti gli agenti di polizia di intervenire per contrastare l’attacco. I guerriglieri, che indossavano divise da agenti di polizia, hanno organizzato dei posti di blocco presso i quali hanno fermato progressivamente le auto degli agenti che si recavano sul posto sparandogli.
    Tra le vittime il facente funzione Ministro degli Interni ingushetiano Abukar Kostoev, il vice Ministro degli Interni Zjaudin Kotiev, il vice comandante delle forze PPC degli Interni Mahomed Giri Kacijev, il procuratore di Nazran’ Mukharbek Buzurtanov e il suo vice Adam Arapiev, il procuratore della regione di Nazran’ Belan Oziev, l’incaricato speciale della procura della repubblica Timur Detogazov e molti altri.
    Sono stati uccisi anche soldati e agenti di polizia presso posti di blocco sull’autostrada federale “Kavkaz”. I guerriglieri hanno avuto un altro colpo di fortuna nel deposito militare di Karabulak, dove sono riusciti a sottrarre due camion carichi di armi e munizioni. Secondo i dati del Ministero degli Interni della Repubblica, i separatisti si sono impossessati di più di 300 pistole, 322 fucili automatici, 22 lanciabombe, sei mitragliatrici, 190 bombe a mano e 68 mila pallottole, seqeustrando poi tutti i mezzi automobili appartenenti alla popolazione civile a portata di mano e fuggendo prima dell’arrivo dei federali. Come risultato, i militari sono riusciti a danneggiarne solamente la retroguardia, arrestando 12 persone. Tra l’altro è probabile che parte dei guerriglieri si sia rifugiata presso alcuni simpatizzanti appartenenti alla popolazione locale. Si ritene che proprio questo gruppo abbia tentato nella notte tra il 22 e il 23 giugno di stabilirsi nel villaggio ceceno Avtura. Secondo dati ufficiali nel combattimento sarebbero rimasti uccisi circa 20 separatisti.
    Sono 92 le vittime e circa i 200 i feriti in seguito all’attacco dei separatisti. La maggior parte delle persone uccise (67) erano appartenenti alle forze dell’ordine, e 11 erano gli agenti di polizia del distretto di Kursk. È interamente bruciato l’edificio del dipartimento regionale degli Interni di Nazran’, sono andati a fuoco gli edifici del reparto della guardia frontiera di Nazran’ e del dipartimento comunale degli Interni di Karabulak. Non si sa nulla di preciso sul numero delle vittime tra le file dei guerriglieri. Si parla di tre morti. Tuttavia, considerando che i separatisti di solito usano portare via con sé i corpi dei compagni caduti, il numero di vittime potrebbe essere maggiore.
    Dal punto di vista strettamente militare e strategico, gli avvvenimenti hanno dimostrato non solo la forza dei separatisti, ma soprattutto la negligenza e la disorganizzazione delle forze dell’ordine ingushetiane e federali. Queste ultime sono arrivate a Nazran’ solo dopo due ore dalla fuga dei guerriglieri. Vladimir Putin, nel consiglio riunito a Nazran’ il 22 giugno ha osservato come il centro federale non si adoperi abbastanza per difendere la Repubblica. Interessante è comunque il fatto che notizie e dati sulla preparazione da parte dei separatisti di un’azione militare di rilievo fossero già trapelati nella prima metà di giugno.
    Tra le altre cose lo stesso “presidente dell’Ichkerija” Aslan Maskhadov aveva esordito nel corso dell’intervista rilasciata a “Radio Svoboda” dichiarando che i separatisti ceceni avevano intenzione di cambiare tattica e passare all’azione. E il suo rappresentante europeo Akhmed Zakaev aveva aggiunto che i comandanti dei separatisti ceceni avevano richiesto a Maskhadov di portare le azioni militari oltre i confini della repubblica. Ciononostante i servizi segreti probabilmente non avevano preso sul serio tali informazioni, e non erano preparati ad un possibile conflitto fuori dai confini della Cecenia.
    E l’attenzione maggiore riservata ai depositi di armi testimonia chiaramente il fatto che i tempi nei quali ai separatisti non mancava nulla sono decisamente finiti.
    Come azione propagandista, l’attacco all’Ingushetija per i separatisti ha lati positivi e negativi. Da una parte l’ardito raid ben si addice all’immagine degli imprendibili partigiani che combattono per la libertà. E chiaramente non è casuale la data dell’attacco, scelta per attirare su di sé maggiore attenzione da parte dei Mass Media, e dimostrare ai propri sponsor stranieri che i separatisti si danno da fare. Tra le altre cose è possibile che i separatisti col loro gesto sperassero in una reintensificazione delle pressioni sulla Russia per la richiesta dell’inizio delle trattative con A.Maskhadov. Effettivamente, dopo il raid in Ingushetija appare abbastanza ridicolo l’ultimatum ormai datato del vice Premier Ramzan Kadyrov che intimava ai guerriglieri di deporre entro tre giorni le armi, come, anche in proposito le numerose assicurazioni alla Cecenia da parte di funzionari di diversi gradi. È probabile anche che l’attacco sia da interpretare come vendetta contro le “perfide” autorità ingushetijane, che hanno chiuso gran parte dei campi profughi, rivelatisi un ottimo rifugio per i guerriglieri e contesto ideale per la propaganda alle “sofferenze del popolo ceceno”.
    D’altra parte, avvalendosi del fatto che tra le vittime ci sia stato anche un collaboratore delle Nazioni Unite, e che la maggior parte fossero agenti di polizia rimasti uccisi nello svolgimento delle proprie funzioni, le autorità russe possono ora con la coscienza tranquilla accusare i separatisti di eccidio perpetrato coi mezzi piú subdoli. È anche possibile che i “patriarchi” musulmani fedeli al Cremino lancino uno speciale appello che condanni l’“operato di quei gruppi pseudoislamici che gettano discredito sull’Islam”.
    È necessario ricordare che le dichiarazioni di Vladimir Putin in merito alla linea di azione da tenere nei confronti dei guerriglieri si fanno sempre piú prudenti. Se già nel 1999 egli suggeriva di “ammazzarli nel water”, adesso, nella riunione straordinaria con i rappresentanti degli organi delle forze dell’ordine ha dato il compito di “cercare di catturarli vivi e portarli a giudizio”. Tra l’altro è poco probabile che l’ingente quantità di ingushetijani (specie civili) uccisi riesca a conquistare ai separatisti nuovi sostenitori nella repubblica. Ricordiamo anche come lo stesso Zakaev abbia preso immediatamente le distanze dal raid in Ingushetija non appena è stato reso noto che la maggioranza delle persone rimaste vittime era costituita da agenti di polizia locale e civili. Ed è probabile che le forze dell’ordine russe ora, per ripulire i territori “ingushetijani”, ricevano carta bianca. Al presente infatti si stanno riunendo in Ingushetija distaccamenti ausiliari di diverse forze dell’ordine, oltre che della 58esima armata. Tra l’altro a Nazran’ verrà introdotto ancora un reggimento di gendarmeria. A rinforzo del servizio sono state trasferite tutte le unità della guardia di frontiera del Caucaso Settentrionale dell’FSB russo. La frontiera con la Cecenia è stata bloccata.
    È poco probabile che questo dispiegamento di forze influisca sui preparativi alle elezioni del presidente della Cecenia, che sono fissate per il 29 agosto. Per il momento, ad aspirare dichiaratamente alla poltrona che ad oggi non ha portato bene neppure ad uno dei suoi occupanti sono undici candidati. Tra gli altri l’imprenditore moscovita Malik Saidullaev - che aveva cercato l’anno scorso di competere con Akhmad Kadyrov - , il deputato della Cecenia alla Duma di Stato Ruslan Jamadaev, il Ministro degli Interni Alu Alkhanov e l’ex-vice Premier della Cecenia Movsar Khamidov. Per quanto come minimo tre candidati (Alkhanov, Khamidov e Jamadaev) ritengano di godere dell’appoggio delle autorità, le probabilità di vittoria di uno di loro dipenderanno dal potere dei loro “patroni” moscoviti.
    Decisamente maggiori sembrano le chances di vittoria di A.Alkahnov, ritenuto candidato del “clan” di Kadyrov, e che ha già incontrato Vladimir Putin, il quale avrebbe durante l’incontro sottolineato espressamente che Alkhanov dovrà impegnarsi nella creazione di un meccanismo di controllo sociale dei fondi per le opere di ricostruzione in Cecenia e per le compensazioni abitative. Ma d’altra parte Movsar Khamidov gode dell’appoggio dell’FSB. In tal senso quindi la competizione promette di essere interessante.

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