Numero 9(89)
La crescita rallenta
Nonostante i prezzi alti del petrolio, i tassi di crescita dell’economia stanno rallentendo
La discussione della Finanziaria dell’anno prossimo ha provocato una bufera di opinioni contrastanti e uno scambio di commenti duri tra il premier e il suo esecutivo.
Il dibattito acceso si è svolto attorno ai tassi di crescita economica previsti dalla Finanziaria dell’anno prossimo: è solo del 6,3% contro il 7,0% dei sette mesi dell’anno corrente. Mikhail Fradkov ha detto direttamente che tali tassi non permetteranno di raddoppiare il PIL della Russia, ma non si è assunto la responsabilità di aumentare la previsione della crescita. Neanche Aleksei Kudrin, il ministro delle finanze, e Gherman Gref, il capo del Ministero per lo sviluppo economico, si sono decisi a rivedere le previsioni. Kudrin ha osservato che i tassi di crescita insufficienti erano dovuti al crollo delle riforme della RAO EES, del Gazprom e di altri mutamenti strutturali, cioè di fatto ha accusato Fradkov dell’inezia del Governo a lui subordinato.
Dietro questi rimproveri reciproci e riferimenti all’obiettivo posto da Putin di raddoppiare il PIL, si cela un problema evidente, ma difficile da risolvere. Ormai da qualche mese la Russia vive in una situazione estera favorevolissima: i prezzi del petrolio sui mercati internazionali sono già superiori ai 40 dollari al barile, mentre i tassi di crescita dell’economia, invece di aumentare, diminuiscono. Nel primo trimestre infatti la crescita del PIL è ammontata al 7,6%, ma nel primo semestre si è ridotta fino al 7,4%, e dopo 7 mesi è calata fino al 7,0%. In precedenza molti economisti supponevano che l’aumento del prezzo del petrolio di 1 dollaro al barile comporta un aumento dei tassi di crescita del PIL di circa lo 0,4%. Ciò vale a dire che con il prezzo medio di oggi (31 dollaro al barile), raggiunto nei primi sei mesi del 2004, la crescita del PIL dovrebbe essere di circa l’8%, ma purtroppo siamo lontani da questa percentuale.
Come mai allora neanche i prezzi alti del petrolio permettono alla Russia di accedere alla traiettoria del raddoppio del PIL, la quale presume che la crescita non sia inferiore al 7,4% all’anno? La risposta va cercata negli ultimi cambiamenti nel clima economico del Paese. Il primo cambiamento notevole è il caso della Yukos e il relativo aumento della tensione e dell’incertezza. Sono ormai evidenti almeno due effetti di questa situazione.
Da una parte, dal mese di febbraio di quest’anno, nella Russia si verifica un deflusso notevole dei capitali. Mentre in tutto il 2003 il deflusso netto dei capitali era stato di 2,3 miliardi di dollari, solo nel primo semestre del 2004, dalla Russia sono stati esportati 5,5 miliardi di dollari. Gli esponenti del Governo si aspettano che nel 2004 il deflusso dei capitali possa ammontare a 10-12 miliardi di dollari: una cifra paragonabile a quella del 2002. L’altro fattore è il rallentamento della crescita degli investimenti nel capitale fisso. Sebbene dopo sette mesi l’aumento degli investimenti sia stato del 12,3%, in luglio, la crescita rispetto al mese di luglio dell’anno scorso e’ stata solo del 10,3%, il che secondo molti economisti segnerebbe l’inizio di un trend nuovo, discendente nella crescita degli investimenti.
Il secondo motivo per il quale la Russia non è in grado di godere della congiuntura estera favorevole è dovuto alla crisi bancaria recente. In seguito a quella crisi, parecchie società piccole e medie sono state private dei finanziamenti esterni che le aiutavano a sviluppare il loro business. Alcune perché i loro conti sono rimasti sospesi presso le banche fallite come la Kredittrast, altre perché i tassi per piccoli mutuatari sono aumentati notevolmente. Di fatto, il sistema bancario torna ad orientarsi su di una cerchia ristretta di mutuatari, come le società petrolifere e altre strutture grosse di dimensioni internazionali, i cui rischi non devono essere analizzati. In tal modo la crescita è concentrata maggiormente nel settore propenso alle esportazioni, i cui esponenti s’impegnano più nell’acquisto di attivi all’estero che negli investimenti nell’economia russa.
Può apparire paradossale il fatto che i tassi attuali di crescita economica sono anche alimentati dagli investitori stranieri Nel primo semestre, il volume degli investimenti esteri diretti è aumentato del 35%, rispetto al periodo corrispondente del 2003, soprattutto con gli investimenti olandesi nei progetti a Sakhalin. La quota parte del gruppo Shell copre circa il 60% di tutti gli investimenti pervenuti nel primo semestre nell’industria. Ciononostante, notevoli modifiche si verificano nei settori che non trattano il petrolio: circa 700 milioni di dollari sono stati investiti nel secondo semestre di quest’anno nei settori non petroliferi, mentre nel primo semestre hanno avuto solo 300 milioni di dollari.
La situazione di oggi ricorda quella del 1998, quando la fiducia della Russia, manifestata dagli investitori, aveva raggiunto il massimo, e veniva appoggiata dal FMI, mentre la fiducia da parte dei capitali russi era a zero, il che era testimoniato dall’esportazione di massa degli attivi bancari verso le cosi dette bridge banks o verso paradisi fiscali. Anche oggi gli stranieri sembrano interessati agli attivi russi: la banca GE ha comprato il 100% della Delta-bank, la banca BNP Paribas ha acquistato la Russkij Standart, un’altra leader del mercato al dettaglio. Gli acquisti del genere sono fatti anche negli altri settori. Ma intanto i capitali russi sono investiti all’estero sempre di più. Il figlio dell’ex oligarca Aleksandr Smolenskij ha comprato una fabbrica di automobili in Inghilterra, Boris Zingarevich, un imprenditore pietroburgese e’ intenzione ad acquistare la società di calcio inglese Everton, ecc. Si’, il quadro macro ora è bello, a differenza della situazione del 1998, ma è ben noto come finisce la mancanza di fiducia da parte delle aziende nazionali. Oggi i russi vendono volentieri, incassando gli utili, per comprare attivi all’estero, mentre gli stranieri comprano con piacere. Ma prima o poi, la fiducia da parte del capitale russo diventerà per gli stranieri una valutazione più importante di quanto succede in Russia: ora infatti comprano un biglietto d’ingresso nel mercato russo, che avrà buone prospettive solo se i russi saranno disposti a spendere parecchio in Russia. Se invece continueranno a spendere i loro soldi in Europa od in altri Paesi e ad approfittare della Russia solo come di un bankomat per trasferire al più presto in contanti i guadagni facili, tale mercato è destinato a perdere presto la sua atrattiva per gli stranieri. Nonostante la comparsa di società estere nel mercato russo, il Governo dovrebbe pertanto proporsi principalmente di ripristinare la fiducia, traballata in seguito al caso della Yukos.
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