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Numero 3(94)
Aperta presso il Museo delle collezioni private la mostra di due animatori di fama mondiale, Yurij Norstein e Francesca Yarbussova

    Il Museo delle collezioni private si può considerare una specie di distaccamento sperimentale del Museo di belle arti A.S. Puskin. Situato a due passi dal “fratello maggiore”, ospita di solito le mostre che non vengono ammesse al “tempio dei sacra sacrorum”, per non comprometterne l’atmosfera accademica. Il calendario delle mostre in programma al Museo Puskin non assomiglia di certo ad un caleidoscopico susseguirsi di eventi minori. Gli ambienti solenni di via Volkhonka 12 ospitano sempre mostre importanti, che rimangono in esposizione per lunghi periodi. In via Volkhonka 14 invece è tutt’altro paio di maniche. Per dire la verità, il Museo delle collezioni private fra poco si trasferirà in un edificio di fronte al Museo Puskin (verso questa nuova sede si sta spostando la collezione permanente), ma le sale da esposizione per ora rimangono aperte presso la vecchia sede.
    Va subito detto che il Museo in via Volkhonka 14 da tempo non registrava una così grande affluenza di visitatori. Se le code per entrare nel Museo di belle arti Puskin sono diventate ormai un fatto abituale, soprattutto quando vi si svolgono grandi mostre come quella sull’arte russa e italiana “Russia-Italia”, l’edificio vicino non può vantare un simile interesse da parte del pubblico. È la prima volta che ospita un pubblico così rumoroso, confusionario, privo di qualsiasi rispetto nei confronti degli interni museali, un pubblico che chiede cartoni animati e gelati. I giovanissimi visitatori si recano subito verso il centro della mostra, una saletta con un grande schermo e alcune sedie. “I posti a sedere sono solo per ragazzi”, dicono le guardiane, e una fitta folla di adulti si assiepa attorno alle sedie, rimanendo in piedi. Sullo schermo si vedono proiettate le immagini dei cartoni animati di Norstein, i quali, come si sa, non sono destinati solo ai piccoli. Non a caso “La fiaba delle fiabe” del cartonista russo ha ricevuto nel 1984 il titolo di miglior film d’animazione di tutti i tempi e popoli. Un riconoscimento conferitogli non dai bambini, ma da degli adulti: ovvero vari critici cinematografici di diversi Paesi, in un sondaggio condotto dall’Accademia cinematografica americana. Dieci anni dopo, da un’indagine svolta dall’accademia cinematografica giapponese al primo posto è risultato essere “Il riccio tra la nebbia”, al secondo la “Fiaba delle fiabe”.
    Si potrebbe obiettare che si tratti della valutazione dei critici, il cui giudizio risulta inficiato da considerazioni di tipo tecnico. La loro è una scelta professionale, frutto di molte riflessioni; ma è sicuro che anche il pubblico comune, la cui scelta è determinata da uno slancio emozionale, darebbe la lode alle opere di Norstein. Tuttavia i suoi film non piacciono a tutti.
    Norstein è sempre attento ai particolari, la sua narrazione è lenta, piena di pause dietro alle quali si nascondono spesso diversi anni di lavoro, ricca di allusioni, assolutamente priva di aggressività. Sono, comunque, solo gli aspetti formali di un discorso sulle cose eterne. Proprio questo filosofeggiare, accanto a un estetismo forse un po’ esagerato, suscita quella poca simpatia che nutrono nei confronti di Norstein coloro che non possono permettersi di commuoversi, sorprendersi e lasciarsi travolgere dalla compassione mentre guardano un cartone animato, coloro che non sono capaci di prendere sul serio questo genere cinematografico “per ragazzi”.
    La mostra si chiama “Fiaba delle fiabe”, come la celebre pellicola. Ma vi sono presentati i risultati dei lavori ispirati a diverse opere letterarie: dalla favola della volpe e della lepre al “Cappotto”, un romanzo breve di Gogol’, al quale sta lavorando Norstein ormai da tanti anni. Si può vederne uno spezzone sul maxischermo subito dopo “La volpe e la lepre”, “La cicogna e l’airone” e la “Fiaba delle fiabe”. Il film tratto dal romanzo breve di Gogol’ per ora non è sonorizzato, ma il suono non è necessario per comprendere l’espressiva pantomima plastica creata da Norstein come sempre insieme a sua moglie, la pittrice Francesca Yarbussova.
    Il nostro non è un lapsus, quando parliamo di esposizione del risultato dei lavori presentati alla mostra. È vero che il risultato principale dei lavori sono comunque i film. Ma tutta l’importanza dei “retroscena” dell’attività di animazione di Norstein emerge attraverso l’estrinsecazione delle singole fasi del processo. Anzitutto, ogni sequenza è dipinta in maniera così perfetta che può essere considerata un’opera d’arte in sé e per sé anche senza alcun nesso con l’animazione. E poi, le travagliate ricerche dell’immagine giusta (raccontate solo in parte alla mostra) fanno comprendere ancora una volta quanta serietà e dedizione caratterizzino l’approccio di Norstein all’arte dell’animazione. Per gli occhi del lupacchiotto gli autori si sono ispirati per esempio a una foto di un gattino con una pietra appesa al collo appena tirato in salvo dall’acqua; per gli ambienti interni dipinti nei cartoni animati hanno fatto riferimento ai ricordi d’infanzia; l’immagine del poeta è invece una compilazione di caratteristiche fisiche di famosi uomini d’arte. E in fin dei conti l’autorevolezza che hanno Norstein e Yarbussova deriva dalla loro vulcanica creatività e dagli alti standard qualitativi che fissano essi stessi per i loro prodotti. Per apprezzarli appieno, è utile capire quante volte sia stato disegnato un singolo personaggio, quanti “piani” di vetro ci siano per ogni quadro di animazione e quanti scandali siano scoppiati nel laboratorio per far sì che il riccio raggiunga felicemente l’orsacchiotto e, dopo aver aggiunto al fuoco dei rami di ginepro, si metta a contare le stelle nella sua metà del cielo.

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