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Numero 5(96)
Le prospettive delleconomia europea
gradualmente migliorano, ma...


    Cosa dimostrano le statistiche fondamentali. Non tutto è così bello nell’Unione Europea, come potrebbe apparire a un primo sguardo, anche se quasi tutti i Paesi membri sono d’accordo sul fatto che lo stato dell’economia della zona sia migliorato. Alcuni problemi che incontra l’economia dei Paesi dell’UE si fanno comunque sentire. Anzitutto, l’Unione Europea è minacciata dalla perpetua instabilità economica. E in particolare, dell’aggravarsi della crisi all’interno dell’UE: “la crisi costituzionale”, legata al fallimento dei referendum in Francia e in Olanda. Inoltre dalla crisi di bilancio (si sa che il vertice recente dell’Unione Europea, svoltosi dal 16 al 17 giugno a Bruxelles, è fallito proprio perché non è stato approvato il bilancio dell’Unione Europea per gli anni 2007-2013) e dalla situazione incerta dell’Euro.
    Ricordiamo di aver trattato l’argomento nell’articolo “Crisi nell’UE: no all’Eurocostituzione; budget e contraddizioni interne”, #04 (95). Allora, naturalmente, nessuno poteva ipotizzare che crisi così “innocue” nell’UE potessero avere effetti così seri, come, ad esempio, la cosiddetta Lettera dei sette, una dichiarazione che ha suscitato grande scandalo, firmata da sette Paesi (Germania, Austria, Finlandia, Italia, Lettonia, Polonia e Portogallo), nella quale si comunica la volontà dei leader di questi sette Paesi di schierarsi contro i tentativi di alcuni Paesi di “trasformare l’UE e l’accordo costituzionale in una specie di capro espiatorio per i loro problemi interni” e si invita a contrastare l’indebolimento dell’Unione Europea, minacciata dall’instabilità economica. “Non dobbiamo sperperare le risorse accumulate finora”, rilevano più sotto gli autori della lettera. Ci occorre anzi far rotta senza deviazioni verso la realizzazione di progetti futuri”.
    E mentre la ratificazione della Costituzione - già iniziata – anche se a stento può essere completata, imponendo ad alcuni Paesi delle scadenze in tal senso, la crisi di bilancio invece ha “bloccato” Francia e Gran Bretagna. Tutti i contrasti relativi vengono “inaspriti” dall’instabilità politica nella regione. Attualmente, la lotta principale è tra Parigi e Londra. In particolare, il premier britannico Tony Blair è scontento del fatto che ai produttori agricoli francesi vada la maggior parte dei fondi della cassa europea comune, cioè circa 13 miliardi di euro. Al vertice pertanto Londra inisisteva sulla riduzione delle sovvenzioni agricole, la cui quota parte nel bilancio UE ammonta a più del 40%. Parigi era assolutamente contraria.
    Teniamo conto di un fatto sostanziale: dal 1 luglio del 2005, il Regno Unito ha la presidenza dell’Unione Europea per i prossimi sei mesi. E pare che Tony abbia intenzione di approfittare di questa carta vincente per ottenere la revisione delle voci di bilancio dell’UE. E pare ovvio che i sette leader europei firmatari della dichiarazione menzionata siano inclini a sostenere, nella discussione fra Londra e Parigi, gli argomenti della parte britannica. Il fatto che nella lettera non si faccia cenno alle sovvenzioni agricole potrebbe significare che vogliono riorientarne una parte su altre voci di bilancio. “Dobbiamo investire in progetti innovativi, nonché in progetti nel campo delle comunicazioni, dell’istruzione pubblica e degli studi scientifici”, si osserva nella lettera, ed si invita anche ad intensificare i controlli sulla spesa dei fondi di bilancio. “Dobbiamo controllare attentamente la quantità di denaro che versiamo a Bruxelles, nonché analizzare il modo in cui questi fondi sono spesi”, rilevano gli autori della lettera.
    Il terzo argomento poco felice del dibattito concerne i prezzi alti e molto instabili del petrolio, che rappresentano un serio ostacolo per la crescita dell’economia internazionale in generale e per i Paesi dell’Unione europea in particolare. Le quotazioni del petrolio superiori a $50 a barile nei primi mesi del 2005 sono diventati uno dei motivi principali della riduzione delle previsioni di crescita economica dell’UE di quest’anno. Il resoconto d’agosto della Banca centrale europea dice che l’alto prezzo del petrolio costringe i consumatori e le società a ridurre le spese, il che crea i rischi per l’economia, nonché prepara il terreno alla comparsa di una pressione inflazionistica.
    Nessuno per ora è riuscito a risolvere il problema dell’euro. L’euro ha perso il 12% rispetto al dollaro, mentre c’erano segnali di un rallentamento della crescita economica europea e gli elettori francesi ed olandesi votavano contro la Costituzione Europea. È assai sconcertante la crescita brusca del dollaro, accompagnata da un forte ribasso dell’euro anche nel nostro Paese. Incerto, l’effetto che ciò può avere sulle condizioni dell’economia russa in genere. Tuttavia, la Banca centrale europea è sicura al cento percento della stabilità dell’euro: “L’euro è un progetto economicamente vantaggioso”, dice Jean-Claude Trichet, il quale, a proposito, ha definito “assurde” le voci, secondo le quali qualcuno dei membri dell’Unione potrebbe rinunciare all’euro. Nel contempo, per alcuni esperti il calo dell’euro dovrebbe contribuire al rilancio della crescita lenta dell’economia della zona. In precedenza la Banca centrale europea affermava di essere soddisfatta di un euro forte, ma ora, sull’onda delle critiche, ritiene che un euro meno costoso permetterebbe di risolvere una parte di problemi senza ridurre i tassi, il cui livello reale è vicino allo zero.
    L’inflazione sotto “vigile” controllo. Ora l’economia dell’Europa unita sta lentamente riprendendosi, in mancanza di difficoltà legate all’inflazione (l’indice preliminare dell’inflazione nella zona di circolazione della valuta europea unica secondo i dati dell’Eurorostat è aumentato ad agosto del 2005, e secondo le stime preliminari, nel calcolo annuo, del 2,1%, riducendosi rispetto a luglio dello 0,1 percento). L’inflazione viene tenuta sotto stretto controllo, il che ha permesso alla Banca centrale europea di mantenere il tasso di rifinanziamento in agosto proprio a questa quota, rileva il bollettino della Banca centrale europea. Non va dimenticato peraltro il fatto che l’inflazione alta scoraggia la Banca centrale europea a ridurre il tasso di rifinanziamento. D’altra parte, l’aumento dei prezzi di consumo a luglio, rispetto al mese corrispondente dell’anno scorso, è ammontato a 2,2%. Si tratta dell’indice massimo negli ultimi sette mesi. L’inflazione annua, l’aumento della produzione industriale e l’incremento della fiducia da parte degli imprenditori nei confronti dell’economia dei Paesi europei rafforzano le aspettative degli esperti riguardo all’aumento del livello del tasso d’interesse di base alla prossima seduta della Banca centrale europea.
    Il petrolio stimola l’inflazione, il che, insieme al consolidamento della crescita economica, dimostra il possibile aumento del tasso alla prossima riunione della Banca centrale europea, rilevano gli esperti occidentali più autorevoli. Senza contare il costo di alimentari e di energia, l’inflazione in luglio, rispetto allo stesso mese dell’anno precedente, è ammontata all’ 1,3%, rispetto al 1,4% previsto. Va rilevato pure che la situazione dell’inflazione si schiarirà verso la fine di settembre dell’anno corrente. Vediamo, quindi, che la Banca centrale europea aumenta le sue previsioni relative all’inflazione nell’Unione Europea e riduce quelle inerenti alla crescita economica, seguendo la recente impennata dei prezzi del petrolio. Ci si attende che i tassi di crescita dell’economia europea possano accelerare entro la fine dell’anno corrente, dopo il rallentamento nel 2 trimestre, perché il ribasso dell’euro rispetto al dollaro ha generato il boom dell’export, come hanno dimostrato i risultati del sondaggio svolto dalla Bloomberg. Ci si aspetta che entro la fine di settembre la Commissione Europea renda pubblica la sua previsione per la crescita economica fino alla fine del 2005. L’obiettivo principale della BCE rimane sempre quello mantenere la stabilità dei prezzi.
    Il clima d’affari migliora. L’indice del clima d’affari nell’Eurozona (l’Economic sentiment indicator viene definito in base alla valutazione degli attegiamenti tra i consumatori, nell’industia, nel settore dei servizi e delle vendite al dettaglio, nelle costruzioni), sopratutto in Italia ed in Germania è cresciuto fino a -0.07 punti in luglio dai -0.27 punti di giugno, ha comunicato l’Eurocommissione. Inoltre un miglioramento ha avuto luogo quasi in tutte le componenti dell’indice, ma sopratutto in quella produttiva di questi ultimi mesi. “La sicurezza dei manager è notevolmente cresciuta anche visto il miglioramento della crescita del volume totale degli ordini e del volume degli ordini di esportazione”, ha comunicato la Commissione Europea. Può sembrare strano, ma il calo del corso dell’Euro del 1,8% in giugno e del 11% dall’inizio anno è stato un fattore importante per il miglioramento delle disposizioni d’affari. Tutto questo provoca la riduzione del prezzo delle merci europee all’estero e stimola le esportazioni europee.
    Ma i dati positivi dall’Italia e dalla Germania non hanno portato all’aumento della valuta europea. Nonstante ciò, l’aumento degli indici può permettere di supporre che la crescita economica nella Eurozona possa riprendere dopo il rallentamento del II trimestre.
    Commercio estero ed investimenti - la situazione è ambigua. Il deficit del corrente bilancio dei pagamenti della Eurozona in aprile ammontava a 11,6 miliardi di euro a paragone con il proficit di 3,4 miliardi euro in marzo. Il riflusso degli investimenti diretti e di portafoglio dalla zona dell’euro è arrivato in aprile a 9.1 miliardi dopo quello di 13.5 di marzo. Nei 12 mesi prima di maggio del 2005 l’afflusso puro degli investimenti diretti e di portafoglio nell’Eurozona è stato di 6 miliardi di euro a paragone del riflusso puro di 37.8 miliardi dell’anno prima. Secondo la BCE il riflusso del capitale è provocato dall’incetto attivo delle obbligazioni straniere da parte degli investitori con base nell’Eurozona. L’acquisto delle obbligazioni straniere ha costituito in gennaio più dei tre quarti dei 31.2 mlrd di euro di capitali esportati dall’Eurozona sotto forma degli investimenti diretti e di portafoglio. E questo con investimenti di portafoglio arrivati ai 105,1 milliardi in giugno, cioè cinque volte più dell’afflusso in maggio, che era di 22,7 milliardi. La maggior parte degli afflussi puri consisteva in azioni e anche in obbligazioni, il ché ha compensato lo scarso riflusso dal mercato degli strumenti monetari. Gli investimenti diretti si riducono al riflusso puro di 8,9 milliardi in giugno dopo l’afflusso puro di 3,3 milliardi del mese prima. Gli investimenti consolidati diretti/di portafoglio nell’Eurozona sono ridotti all’afflusso puro di 96,3 milliardi in giugno, il che supera di gran lunga i 25,9 milliardi in maggio ed è dovuto all’aumento brusco degli investimenti di portafoglio.
    Secondo i maggiori esperti occidentali questi dati sono precari. L’esportazione dipende dalla situazione economica mondiale e noi vediamo un certo rallentamento. In tale situazione, nelle condizioni di una riduzione costante delle domanda interna si manteneva la speranza di un aumento produttivo dovuto all’esportazione tedesca. Ma gli ultimi dati del mese di aprile ne testimoniano un calo molto più considerevole di quanto non si attendessero gli analitici. La situazione va ugualmente peggiorando nel commercio estero francese ed italiano (per esempio, il deficit del commercio estero dell’Italia con i paesi che non fanno parte dell’UE per i primi sei mesi del 2005 è stato il più grande dal 1993. Ciò è legato alla crescita nel primo semestre 2005 del deficit nel commercio estero dei vettori energetici, il quale ha portato all’aumento del deficit generale). La debolezza cronica dell’esportazione francese sullo sfondo di una domanda sana per l’importo rimane un ostacolo grave allo sviluppo economico del paese.
    Oltre a questo una pressione cospicua viene esercitata sull’industria dei paesi dell’UE da parte della Cina. Ad esempio, nel primo trimestre dell’anno corrente l’importazione di t-shirt cinesi nell’UE è aumentata del 157% ed arrivata fino a 150 millioni di pezzi, mentre quella di maglioni e pantaloni per uomini è cresciuta persino del 400%. Il salto delle esportazioni tessili cinesi, che ha minacciato il futuro del settore dell’abbigliamentno e millioni di posti di lavoro in Europa, è avvenuto dopo l’abolizione dal 1 gennaio del sistema globale di quotazioni che era esistito per decenni.
    Il 10 giugno l’Unione Europea e la Cina, dopo tanti mesi di rapporti tesi dovuti alla crescita impetuosa delle esportazioni cinesi di prodotti tessili a buon mercato, hanno finalmente raggiunto a Shangai un accordo che limita la crescita delle esportazioni tessili dalla Cina verso l’Europa entro la fine dell’anno 2008. “A grandi linee, l’accordo prevede una transizione equa per la Cina e dà sollievo e spazio necessario all’industria tessile in Europa e nei Paesi in via di sviluppo,”- ha indicato nella sua comunicazione il commisssario per il Commercio dell’Unione Europea Peter Mandelson.
    Una tale situazione economica senz’altro una influenza moltissimo la valutazione dello sviluppo della regione in generale. Ciò detto, come notano alla Banca di Francia, “i responsabilli valutano con cautela le prospettive economiche del paese”. Quindi vediamo un’evoluzione degli avvenimenti di questo tipo: tutto quanto sopra esposto sarà accompagnato da tensione politica, dato che oltre ai problemi economici, l’aspirazione a trovare punti d’incontro e a continuare le riforme strutturali si sta riducendo a zero...
    Al momento attuale, come ritengono i politici e gli economisti russi, è molto difficile fare previsioni ottimistiche o pessimistiche. Ma d’altra parte le prospettive dell’economia europea non sono così negative, basandosi sui dati statistici occidentali che abbiamo presentato. Per il momento comunque non è possibile affermare univocamente che tutto vada bene.

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