Numero 6(97)
Il petrolio e la ridistribuzione delle risorse amministrative
La battaglia fra i giganti
La decisione della Gazprom, relativa all’acquisto del 72% della società Sibneft per 13 miliardi di dollari non è stata una sorpresa per nessuno: i proprietari della Sibneft cercano ormai da alcuni anni di vendere i propri attivi: basta ricordare l’aggregazione fallita con la Yukos nell’estate del 2003. D’altra parte, è evidente anche l’interesse che ha la Gazprom nei confronti degli attivi petroliferi: proprio la Gazprom, infatti, all’asta del dicembre 2004 era stata data come pretendente numero uno alla Yuganskneftegaz.
Ciononostante, l’acquisto della Sibneft è una mossa importante che la Gazprom compie, importante specialmente per quanto riguarda la lotta con la Rosneft, che potrebbe comportare una notevole concentrazione di attivi petrolieri in possesso dello Stato. La Rosneft, comprando gli attivi della Yukos un anno fa, è riuscita ad aumentare il suo peso nell’economia: da una società pubblica poco trasparente con 22 milioni di tonnnellate di petrolio annuali estratte e del valore potenziale di 8 miliardi di dollari USA si è trasformata in una struttura che estrae 70 milioni di tonnellate all’anno, con una capitalizzazione di 30 miliardi di dollari USA. Certamente, per l’entità della capitalizzazione cede il passo comunque, e di tanto, alla Gazprom, la cui capitalizzazione, due anni fa ammontante a 50 miliardi di dollari ora è aumentata fino a 120 miliardi. Ma dal punto di vista del peso politico dell’azienda, cioè della sua capacità di generare flussi di finanziamento per le elezioni, la capitalizzazione non è il parametro più importante: il termine chiave in quest’ottica è “trasparenza”. Per la Rosneft, poco “aperta”, anche se avente un valore quattro volte inferiore a quello della Gazprom è assai più facile riorientare i propri flussi finanziari per obiettivi politici. La Gazprom, infatti, a differenza della Rosneft, deve rendere conto sia ai proprietari delle sue azioni, sia ai proprietari dele sue obbligazioni. Quindi, francamente parlando, e lasciando da parte i ragionamenti relativi alla strategia industriale della Gazprom, l’acquisto della Sibneft, approvata in tempi record (in soli 3 mesi), è stato effettuato essenzialmente per prevenire un ulteriore rafforzamento della Rosneft e la sua trasformazione nel giocatore n. 1 alle elezioni del 2008. Con questa operazione e altre simili si risolve in pratica la questione dell’influenza: quale dei due monopoli, quello del petrolio o quello del gas avrà possibilità maggiori di influire sulla scelta del successore di Vladimir Putin.
Gli attivi bashkiri
L’acquisto della Sibneft potrebbe venire a rappresentare solo una fase di transizione nella formazione delle frontiere del settore russo del petrolio del gas. Un altro attivo petrolifero da comprare è quello delle aziende del complesso del gas e del petrolio della repubblica di Bashkiria, le quali fino a poco fa erano controllate dalla famiglia del presidente Rakhimov. Tuttavia nell’agosto e nel settembre scorso grossi pachetti di azioni sono stati venduti al gruppo di telecomunicazioni AFK “Sistema”.
Va ricordato che nel 2003 gli attivi di alcune società del complesso del gas e del petrolio della repubblica furono trasferiti alla compagnia “Baschirskij kapital”, appartenente al figlio del presidente Murtaza Rakhimov. Visto che il trasferimento degli attivi non è stato fatto mediante la privatizzazione delle aziende, ma tramite un’emissione supplementare delle loro azioni e lo scioglimento della quotaparte dello Stato, per legittimare gli utili, questi attivi, prima o poi, dovevano essere venduti. Per quanto riguarda l’AFK “Sistema”, 1,5 miliardi di dollari USA pervenuti dal mercato dei titoli e inizialmente destinati all’acquisto della Svjazinvest non sono serviti per il rinvio della privatizzazione, e sono stati usati per il finanziamento dell’acquisto degli attivi petroliferi della repubblica di Bashkiria.
In seguito alle operazioni dell’agosto e dell’ottobre di quest’anno, la quota del “Sistema” nelle azioni ordinarie della “Novoil” è andata a costituire il 28,17%, nello stabilimento petrolchimico di Ufa il 25,52%, nell’“Ufaneftekhim” il 22,43%, nell’“Ufaorgsintez” il 24,87%. Inoltre, il “Sistema” ora possiede il pacchetto di maggioranza della “Bashneft”. Il volume complessivo di investimenti nelle azioni di queste aziende è arrivato a circa 600 milioni di dollari. I dirigenti dell’AFK “Sistema” intanto rilevano che questi investimenti sono esclusivamente a portafoglio, e che entro pochi anni potranno essere ceduti.
Oggi sono due, gli eventuali compratori degli attivi bashkiri: la Gazprom o la Rosneft. E di nuovo non è detto che le priorità produttive saranno fondamentali in quest’operazione: il petrolio bashkiro ad alto contenuto di zolfo potrebbe diventare non tanto un acquisto necessario per aumentare la capitalizzazione, quanto un attivo che aumenti il peso politico del suo futuro proprietario. In tal modo, se alle elezioni precedenti abbiamo osservato lo scenario in cui la “risorsa amministrativa” è stata usata a favore dello Stato e contro i rappresentanti dei partiti indipendenti o del business, alle prossime elezioni potremo vedere l’uso della “risorsa amministrativa” nell’interesse di vari gruppi pro statali, una lotta con il risultato meno prevedibile per le parti in lotta, nonché con gli effetti meno chiari per il Paese.
Lo Stato incoraggia l’espatrio dei capitali
È rivelatore il fatto che sia l’acquisto della Yuganskneftegaz, sia la compera della Sibneft siano state finanziate seguendo lo stesso meccanismo: tramite l’uso di fondi esterni, cioè mediante l’incremento del debito estero delle società pubbliche. Questo fenomeno, ovviamente, non dovrebbe stupire, considerato il costo dell’affare: poco meno di 10 miliardi di dollari USA nel primo caso e 13 nel secondo. Ma qualcosa di strano c’è: con tutte le battaglie per l’aumento del minimo di sussistenza di qualche decina di dollari, e l’indicizzazione degli stipendi da fame per i dipendenti di enti pubblici finanziati dal bilancio, ai proprietari della Sibneft si paga una cifra paragonabile alla spesa annua di bilancio prevista per il supporto dell’economia nazionale (12 miliardi di dollari nella Finanziaria dell’anno prossimo). Sì, è vero che questi soldi non arrivano dal bilancio, ma d’altra parte potrebbero essere investiti in Russia, contribuendo alla creazione di posti di lavoro, mentre ora verranno usati per l’acquisto di qualche nuova società di calcio, oppure nuovi castelli e barche. Anche l’Europa ha bisogno di aiuti economici, soprattutto in conseguenza del rafforzamento dell’euro, ma anche la Russia non starebbe peggio se avesse a disposizione una tale cifra qualora, certamente, venga investita nel settore manifatturiero o nelle infrastrutture. Il guaio è però che non si può avviare nel giro di un anno o due progetti del genere, e gli investimenti finanziari di 13 miliardi di dollari non saranno più accettati dalla Russia. Ed ecco allora che nonostante tutte le discussioni relative alle realizzazioni economiche e tutti i dibattiti concernenti i nuovi programmi economici, il Governo non è in grado di proporre niente all’imprenditoria, e la mancanza di progetti interni spinge i capitali fuori della Russia. Negli ultimi tre anni, le aziende russe hanno investito all’estero circa 9 miliardi di dollari USA. Mentre prima del 2003 gli investimenti negli attivi esteri erano stati fatti principalmente dai “petrolieri”, oggi spuntano anche i “metallurgici” e le società di telecomunicazioni. Probabilmente ciò sarà dovuto al desiderio di creare dei gruppi regionali e delle multinazionali, ma pare che tale strategia nasconda un problema molto semplice: la mancanza di nuovi progetti in Russia e la concentrazione degli attivi in possesso di società pubbliche va escludendo l’imprenditoria privata russa dal Paese.
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