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Numero 7(98)
Petrolio: i prezzi sono alti, ma non c'e' crescita del settore

    Idati relativi alla produzione industriale nei primi tre trimestri di quest’anno presentano un quadro strano. Malgrado i prezzi da capogiro del petrolio, il settore estrattivo della Russia è cresciuto solo dell’1% in tutto l’anno, mentre soltanto un anno fa, nello stesso periodo del 2004, la produzione di questo settore era aumentata del 7,2%. E’ evidente che la creazione del fondo di stabilizzazione e cambi di proprieta’ di alcune grosse compagnie petrolifere hanno fatto sì che il volume di investimenti nell’estrazione si riducesse, il che ha comportato il calo dei tassi di crescita del settore. Di conseguenza, la crescita complessiva della produzione industriale per tutti i settori ammonta solo al 4% rispetto all’anno scorso e rimane indietro alla crescita di tutta l’economia, la quale, secondo le previsioni, raggiungerà circa il 6% all’anno.
    C’è da rilevare che la crescita del settore di trasformazione, che ha superato un po’ il 6% nei primi nove mesi, dal punto di vista strutturale lascia comunque a desiderare. In particolare le industrie orientate al consumatore finale, come quella automobilistica e alimentare dimostrano un rallentamento dei tassi di crescita rispetto all’anno scorso e sono evidentemente penalizzate dall’aumento delle spese, e di conseguenza dalla perdità di competitività. D’altra parte, i settori orientati ai bisogni delle aziende pubbliche, come i produttori di turbine, di attrezzature energetiche, il settore della costruzione di vagoni mostrano un aumento dei tassi di crescita, il che va valutato come una crescita inerente ai progetti pubblici. Il settore pubblico, quindi, ha una parte sempre più importante nella vita economica del Paese. Per l’economia russa tale cambiamento nella struttura della crescita industriale è fondamentale. In particolare, l’importanza del settore del petrolio e del gas emerge non tanto negli indici produttivi, quanto in quelli della liquidità. Tale contraddizione è dovuta ad un fatto abbastanza semplice: dato che una parte notevole di flussi finanziari e, in particolare, i loro proventi di export, hanno un effetto sui bilanci dei commercianti del petrolio, secondo le statistiche ufficiali la produzione di una parte importante del valore aggiunto non ha un effetto sul settore petrolifero, ma su quello terziario, e più precisamente, sul commercio. E per quanto riguarda la liquidità, la proposta dei soldi dipende direttamente dall’aumento delle riserve auree valutarie, che si basa sull’incremento dei proventi di esportazione. Il rallentamento delle estrazioni nel settore petrolifero significa, dunque, una potenziale riduzione dei volumi di export, la riduzione dei ricavi delle esportazioni e, di conseguenza, l’aumento dei tassi d’interesse all’interno del Paese in seguito al rallentamento dei tassi di aumento della massa monetaria.
    La reazione del Governo al problema delineatosi è come sempre prevedibile, e come sempre poco efficiente. La riduzione delle tasse sull’estrazione dei minerali dall’anno prossimo migliorerà certamente la situazione delle compagnie petrolifere, ma difficilmente stimolera’ gli investimenti. E fornire sgravi fiscali vincolati al volume di investimenti nell’estrazione è una cosa impensabile per il Governo, perché ciò richiederebbe uno studio molto dettagliato delle variazioni fiscali e inoltre, il Ministero delle Finanze non vuole dire addio agli introiti supplementari. E allora, ci scaviamo la fossa con le nostre mani...

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