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Numero 7(98)
Lotta all'inflazione

   
La riscoperta dell’aumento dei prezzi
    Nei primi nove mesi di quest’anno, secondo i dati ufficiali, l’inflazione è ammontata al 9,2%, fatto che ha costretto il Governo a distogliere l’attenzione dalla battaglia per la distribuzione dei mezzi del fondo di stabilizzazione e a ricordarsi della popolazione. La previsione iniziale di inflazione, ammontante all’8,5% annuo è ormai stata dimenticata da tempo. La questione ora è se il Governo ce la farà a non superare la nuova soglia dell’11%. È evidente, inoltre, che il costo della vita, per la maggior parte dei russi, è cresciuto in modo assai più rilevante, rispetto alle cifre delle statistiche: basta ricordare l’aumento delle tariffe dei servizi comunali, verificatosi all’inizio dell’anno, nonché il rincaro della benzina, che tocca tutti.
    Le critiche da parte di Vladimir Putin, come sempre, hanno costretto “il gruppo economico” del Governo a diventare più attivo: dal 25 novembre, il ministero di Gherman Gref ha intenzione di preparare un programma per il controllo dell’aumento delle tariffe, e verso l’inizio dell’anno prossimo tali proposte devono essere approvate dal Parlamento. Da parte sua, la Banca Centrale sta preparando un’analisi degli effetti che può avere il rafforzamento del rublo sull’economia, avendo probabilmente intenzione di rafforzare il rublo e di controllare l’inflazione tramite la riduzione dei prezzi dei prodotti esteri. Ma è prevedibile che la faccenda non progredisca oltre il solito “risveglio” del Governo, e il controllo della crescita dei prezzi non si muova oltre le solite discussioni economiche.

La Banca Centrale non ha perso solo autonomia, ma anche importanza
    La prima questione ad emergere in questa situazione riguarda il ruolo che ha la Banca Centrale (BC) della Federazione Russa nel controllo dell’inflazione; ci si domanda inoltre se abbia gli strumenti necessari per farlo. Per quanto concerne il controllo della massa monetaria, di tali strumenti la BC da un punto di vista formale ne ha a volontà, ma di fatto non ne ha nessuno. Così, le potenzialità della BC relative alla sterilizzazione della liquidità, cioè l’emissione di obbligazioni speciali della Banca Centrale, coprono solo da 5 a 6 miliardi di dollari all’anno, mentre il bilancio federale sterilizza circa 30 miliardi di dollari all’anno. Le dimensioni sono incomparabili. Nella situazione di oggi, cioè dopo il lancio del fondo di stabilizzazione, quindi, il bilancio ha un ruolo assai più importante nella definizione dell’entità della proposta dei soldi rispetto alle autorità monetarie. Ciò elimina il ruolo della BC come giocatore attivo nella soluzione del problema dell’inflazione monetaria.
   Un altro metodo di controllo dell’inflazione è il rafforzamento del cambio nominale del rublo, il che potenzialmente permette di contenere la crescita dei prezzi delle merci importate. Il cambio del rublo è controllato totalmente dalla BC della Federazione Russa, ma l’impiego di questo strumento è gravido di effetti negativi su altri comparti dell’economia, e quindi è difficile che alla BC sia permesso di partecipare alla soluzione del problema del controllo dell’inflazione.
    Il primo argomento contrario al rafforzamento del cambio nominale del rublo concerne l’effetto negativo che può avere tale trend sui profitti degli esportatori e, rsipettivamente, sulla loro capacità di pagare le tasse allo Stato. È evidente che il rafforzamento del rublo, se tutto il resto rimane come prima, riduce il reddito in rubli degli operatori pertroliferi e del gas (i quali con i contratti di esportazione guadagnano quasi 150 miliardi di dollari all’anno), il che comporta la riduzione dell’entità degli utili tassabili e, rispettivamente, la diminuzione del reddito relativo all’imposta sugli utili. Inoltre, ciò comporterebbe una riduzione degli investimenti nell’estrazione della materia prima e l’ulteriore rallentamento nello stesso settore, il quale comunque quest’anno non cresce.
    Un altro problema è relativo al fatto che il rafforzamento del rublo presuppone una riduzione di acquisti della valuta pregiata sul mercato e, rispettivamente, la riduzione dell’emissione. Ma quest’anno già si verifica una stagnazione degli indici bancari principali. Così, attivi, depositi e crediti del settore bancario russo, a confronto con il PIL, quest’anno non aumentano rispetto all’anno scorso, il che dimostra una certa insufficienza di mezzi monetari nell’economia. Questi timori vengono confermati anche dal fatto che la massa monetaria, rispetto al PIL, quest’anno si aggira attorno al 23% e praticamente non aumenta. In altre parole, mentre negli anni precedenti l’aumento degli indici monetari superava la crescita dell’economia, nutrendola con risorse monetarie, quest’anno gli indici monetari e quelli del settore produtivo aumentano con la stessa velocità. È importante rilevare che mentre negli anni precedenti i tassi d’interesse in Russia si riducevano, quest’anno invece sono praticamente congelati al livello di un anno fa. Se la BC emetterà meno rubli, in un prossimo futuro la mancanza di massa monetaria potrebbe diventare un fattore limitante la crescita del PIL. In tal modo, il lancio del fondo di stabilizzazione ha ridotto l’importanza della Banca Centrale, sia direttamente, essendo lo strumento principale della sterilizzazione della liquidità, sia indirettamente, comportando la riduzione dei tassi di crescita della proposta monetaria, e ha costretto la BC a realizzare una politica del rublo debole. Dopo la nomina a direttore di Sergej Ignatjev, l’ex vice Ministro delle Finanze russo, la BC aveva già perso l’autonomia politica; ora, in seguito al lancio del fondo di stabilizzazione, è rimasta priva anche di ogni importanza economica. Ora i dirigenti della BC si impegnano prevalentemente nei controlli prudenziali, nel monitoraggio del settore bancario e del sistema dell’assicurazione dei depositi. La nuova nomina di Sergej Ignatjev al posto del direttore di questo istituto significa non solo il desiderio di mantenere lo status quo che va bene al Governo, ma dimostra anche la mancanza di interesse nei confronti di questa carica, che ricorda sempre di più il ruolo di un invitato “decorativo”.

Il controllo sull’aumento delle tariffe sarà criticato duramente
    L’unico strumento serio che permetta di controllare l’inflazione è, quindi, in sostanza, uno solo: la limitazione dell’aumento delle tariffe. Si sa bene che in Russia l’aumento delle tariffe di gas, luce, riscaldamento e trasporti comporta quasi il 60%-70% di crescita dei prezzi di consumo, cosicché è chiaro che la limitazione delle brame dei monopoli “naturali” sarà un meccanismo efficiente di controllo dei prezzi. Tuttavia, anche questa mossa potrà subire delle critiche basate su ragioni assai valide Anzitutto, l’aumento delle tariffe in Russia fa parte del programma mirato a portare il livello del costo delle risorse interne a quello internazionale. Ciò è importante non solo per completare con successo le trattative inerenti al WTO presso il quale è già stata sollevata più di una volta la questione relativa al sovvenzionamento dei produttori russi mediante i prezzi “speciali” del petrolio. La crescita delle tariffe è anche uno stimolo importante per far passare l’industria russa alle tecnologie che permettono il risparmio energetico. Niente, infatti, contribuisce di più al consumo inefficiente delle materie prime, quanto il loro costo ridotto. Questa questione in futuro potrebbe diventare prioritaria; l’aumento rapido dei consumi interni, non limitato dal costo elevato delle materie prime, competerà direttamente con le esportazioni e potrebbe comportare un calo notevole di esportazioni e dei loro proventi, i quali alimentano il bilancio e la macro stabilità in generale.
    Tutti quelli che si intendono delle strategie dei monopoli “naturali” comprendono poi che, qualora essi non riescano a guadagnare abbastanza soldi aumentando le tariffe interne, aumenteranno le loro esigenze nei confronti degli investimenti di bilancio nell’ambito dei programmi di investimento. In tal modo, la bassa crescita delle tariffe di oggi può risultare nell’aumento della spesa di bilancio e nell’inflazione monetaria di domani.

Chi vincerà?
    Nella discussione che nasce oggi relativa all’inflazione ci sono due parti interessate: I grossi esportatori e l’esecutivo. I primi sono interessati a un rublo debole e alla crescita continua delle tariffe, e hanno la possibilità di esercitare pressioni sul Governo minacciandolo con la riduzione dei pagamenti al bilancio. I membri dell’esecutivo non sono così uniti nelle loro aspirazioni: in parole povere, l’unica questione che li interessa riguarda il personaggio alla quale gettare addosso la responsabilità del divario tra l’inflazione delle previsioni e quella reale. Proprio per questo la discussione sui provvedimenti mirati alla lotta all’inflazione ricorda soprattutto un tiro alla fune: qualche elemento del Governo potrebbe lasciare il gioco, ma con la stessa “fune”, cioè con la crescita dei prezzi, non succede nulla.
    È importante capire anche che l’aumento dei prezzi finali non è che una conseguenza dell’aumento dei prezzi all’ingrosso. A partire dal 2004, cioè da quando i prezzi del petrolio erano bruscamente aumentati, l’indice dei prezzi dei produttori è aumentato del 45%, mentre l’indice dei prezzi finali, cioè l’inflazione stessa, solo del 21%. Qulasiasi tentativo del Governo di controllare l’inflazione in tale situazione, significherebbe la riduzione della redditività del commercio o di alcuni settori produttivi, i quali sarebbero costretti a finanziare l’aumento delle proprie spese con i propri soldi. La probabilità che il Governo metta sotto controllo i prezzi finali senza far subire rischi ai produttori è praticamente nulla, e quand’è così, non sarà possibile neanche prendere provvedimenti mirati alla riduzione dell’inflazione.

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