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Numero 7(98)
La Politica Estera del Governo Berlusconi: una nuova strategia

    La Politica Estera del Governo Berlusconi è decisamente uno dei successi da scrivere nelle pagine di storia del nostro Paese. Quando nel 1989 cadde il muro e si aprì una nuova epoca per le relazioni internazionali non fu chiaro quasi a nessuno, nel mondo, verso quale scenario ci si sarebbe incamminati. Addirittura ci fu un politologo americano, Francis Fukuyama, non certo uno sprovveduto (come altri suoi libri hanno ampiamente dimostrato) che parlò, hegelianamente, di “fine della storia”. Nessuno rifletté sufficientemente su cosa significasse aprire la pagina di un mondo unipolare.
    Qualcuno fantasticò su di una Europa che avrebbe preso ben presto il posto dell’allora Unione Sovietica se pur in modo meno conflittuale. Altri teorizzarono una nuova linea di frattura tra primo e terzo mondo, semplificando fino all’inimmaginabile ciò che, in parte, si è poi realmente manifestato. Anche in Italia a nessuno fu chiaro che la nostra nuova politica estera doveva prendere atto della situazione e adeguarvisi.
    Non meravigliamoci, se a tutt’oggi c’è ancora chi pensa con nostalgia a una certa politica mediterranea alla Andreotti, che dentro un quadro bipolare ingessato ci consentiva di fare un po’ di fronda in favore di alcuni Paesi arabi che si trovavano a mezza strada stando però sicuri, noi, di avere le spalle ben protette dalla potenza americana e dal nostro essere saldamente ancorati alla NATO.
    Invece l’Europa che, anche senza merito, era centrale nel momento del confronto USA-URSS, che furbescamente approfittando del bisogno americano giocava delle partite autonome qui e là nel mondo, all’improvviso fu orfana di quella rendita di posizione. La NATO entrò in crisi per perdita di vocazione, senza più un sostegno ad est molti Paesi nel mondo si misero in fila per accreditarsi agli occhi e alla tavola dell’unica grande potenza. La dissoluzione della Jugoslavia dimostrò l’inadeguatezza di mezzi e di obiettivi sia dell’Italia che di tutti gli altri Paesi europei. Il Ministro degli Esteri Dini cercò di proporci a Washington come intermediario intelligente nei confronti di alcuni stati canaglia, come la Libia, l’Iran e la Corea del Nord. Ottenuto il ben volente avvallo degli americani qualche cosa si riuscì a combinare, ma il nostro ruolo, purtroppo, non poté oltrepassare quello di fedele ascaro un po’ pretenzioso a cui, con un po’ di diffidenza si lasciava fare qualche tiro di biglia.
    A nostro favore non giocava la scarsa credibilità internazionale che ci accompagnava da decenni, non giocava il continuo rimescolio dei Ministri e dei Ministeri e ci penalizzavano le scarse disponibilità finanziarie date alla Farnesina. Se il Governo Berlusconi a capo di una potenza di medie dimensioni voleva dare nuova spinta internazionale all’Italia doveva cominciare col recuperare la credibilità del Paese agli occhi degli stranieri, rimettere in pista l’orgoglio nazionale per suscitare il giusto rispetto delle controparti, assicurare una stabilità evidente anche agli osservatori esterni e, infine, investire un po’ di più in operazione internazionali mirate e coerenti con una strategia e non a macchia di leopardo. Obiettivi non semplici da raggiungersi in poco tempo, e pure obiettivi tutti realizzati.
    Innanzitutto Berlusconi ha iniziato con una operazione di charming personale verso i maggiori leader mondiali. Qualche giornalista e esponente dell’opposizione con malcelata invidia hanno ironizzato sulla politica delle pacche sulle spalle. Tuttavia se è vero che per far politica estera i buoni rapporti personali tra leader non sono sufficienti è altresì innegabile che la creazione di legami di simpatia agevola ogni rapporto. In altre parole si può affermare che le pacche sulle spalle non sono sufficienti ma aiutano anche le relazioni formali. E molto. Proprio partendo dai buoni rapporti con Bush, Putin, Blair, Sharon, Aznar, Erdogan, e altri capi di Stato tra cui alcuni leader arabi, Berlusconi ha tessuto una serie di relazioni che hanno consentito al nostro Paese di non rimaner fuori da nessun evento significativo della politica internazionale.
    La decisione di partecipare in forza alle operazioni ISAF e enduring freedom in Afghanistan e di inviare un significativo contingente militare in Iraq per contribuire alla ricostruzione ci hanno consentito di sedere a tutti i tavoli. Il fatto che il Governo sia riuscito a mantenere gli impegni fino in fondo nonostante una opinione pubblica montata dalle opposizioni soprattutto contro l’operazione irachena ha convinto tutti gli osservatori internazionali e gli interlocutori istituzionali che, questa volta, non si era di fronte alla solita italietta tremebonda, bensì ad un governo forte e determinato. Ciò ci ha dato quella credibilità ricercata ed indispensabile che ci mancava da tempo.
    Sul piano europeo i partner si erano abituati ad una nostra presenza subordinata e più attenta a ritagliare qualche utilità marginale che a giocare un ruolo da protagonista. Francesi e tedeschi ci guardavano dall’alto in basso e si consideravano gli unici detentori della leadership europea. Il braccio di ferro su la sede dell’Agenzia Alimentare, l’essere capofila del gruppo di Paesi europei che si è dissociato dall’attacco franco-belga agli stati uniti, l’asse preferenziale creato con il laburista Blair, l’impegno speso in Europa a favore della Russia, per la soluzione del contenzioso libico e per l’ingresso della Turchia in Europa ci hanno rimesso al centro dei giochi dell’Unione. Questo spiega l’atteggiamento indispettito di Chirac e, a sprazzi di Schroeder e, almeno in parte la stampa negativa che ci perseguita in qualche zona di Europa.
    Al contrario, la maggior parte degli altri Paesi europei hanno ricominciato a guardarci con ammirazione e a vederci come capofila anche sullo scenario europeo interno. In Medio Oriente dove i nostri rapporti tradizionali avevano privilegiato l’interlocuzione col mondo arabo facendoci guardare da Israele come partigiani avversari; l’azione di Berlusconi ha saputo ritessere le fila di una relazione privilegiata con lo stesso Israele tanto da consentirci di essere considerati tra i possibili mediatori nel locale profondo contenzioso. Ciò è avvenuto senza che in alcun modo ne soffrissero le buone relazioni con i Paesi arabi. Da Mubarak a Gheddafi, dal Libano al Marocco, l’Italia è vista come un amico vicino e, per la prima volta dopo tanto tempo, potente. Non a caso l’Italia siede oggi in sede ONU al tavolo per la soluzione della delicata situazione politica libanese, posto ambito da altri membri permanenti che non vi hanno trovato spazio.
    Certo, tutta la nostra politica estera è stata pensata ed attuata anche per migliorare le opportunità di relazioni economiche e di incrementare gli scambi commerciali.
    In un periodo di crisi economica internazionale e dopo anni di diminuzione delle nostre quote sul mercato del commercio internazionale si è cominciato ad invertire la tendenza. Nonostante il forte aumento dei prezzi delle materie prime e delle fonti di energia che penalizzano la nostra bilancia commerciale siamo riusciti ad aumentare le nostre esportazioni e, in alcuni paesi come Russia, USA, Turchia, a realizzare addirittura delle impennate.
    Gli italiani che vivono all’estero, in molti Paesi ancora caricaturizzati come “spaghetti e mandolino” hanno goduto di una rendita di immagine che ancora di più li fa diventare, dinanzi ai loro nuovi concittadini, orgogliosi delle proprie radici. Soprattutto dagli Stati Uniti arrivano e-mail a Forza Italia con parole di ringraziamento per il prestigio riacquistato e di ammirazione per l’azione del nostro Governo.
    Ha sicuramente giocato a nostro favore questa nuova immagine del nostro Paese oltre che a un’indubbia credibilità personale affinché l’assemblea generale dei delegati dell’Unione Interparlamentare abbia da poco eletto alla sua presidenza l’on. Casini cosi da assegnargli la carica più significativa ottenuta da un italiano per un’organismo internazionale.
    Ci sono aree del mondo in cui molto c’è ancora da fare. Ad esempio l’America Latina e l’estremo Oriente dove, soprattutto per il primo caso, esistono spazi economici e politici che andrebbero ulteriormente esplorati. Purtroppo, come si usa dire “non si possono fare le nozze coi fichi secchi” e le ridotte entrate tributarie dovute alla recessione internazionale non ci consentono di dedicare alla Farnesina e al Ministero delle Attività Produttive quella quantità di risorse che sarebbe necessaria per un efficace gioco a tutto campo. Sicuramente con la ripresa mondiale che si annuncia si potrà contare su nuove risorse e anche le aree a cui abbiamo dedicato meno sforzi potranno diventare oggetto di primaria attenzione. Occorre ancora del tempo ma se guardiamo a tutti gli anni trascorsi dal dopo guerra dobbiamo constatare che in un brevissimo lasso di tempo si sono ottenuti molti più risultati di quanto fatto nei precedenti decenni.
    Nonostante nessuno potesse sospettare in Berlusconi, a fianco delle sue numerose qualità, anche, quella di esperto di politica estera, i fatti e non le parole possono convalidare che a tutt’oggi Berlusconi, da capo del Governo, è stato il miglior Ministro degli Esteri nella storia della Repubblica italiana.

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