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Numero 8(99)
Nostalghia di Tarkovskij

    Quando il grande regista russo Andreij Tarkovskij decise volontariamente di abbandonare l’Unione Sovietica, i Paesi europei si prodigarono nell’offrirgli ospitalità; in particolare la Francia, che l’aveva onorato al Festival di Cannes, desiderava accogliere l’esule russo. Le ragioni che spinsero il regista ad abbandonare la sua terra furono politiche, ma soprattutto culturali e personali. La poetica dell’autore era insofferente verso i canoni del “realismo socialista”. Andreij Tarkovskij è attratto dal mistero dietro le apparenze, dall’enigma dell’uomo sulla terra, terra di Russia e terra di ogni dove. Il suo cinema lavora con le immagini più che con le parole. La sensibilità del regista impregna gli oggetti di una risonanza misteriosa, capace di cogliere dietro il semplice scrosciare dell’acqua dal cielo il simbolo dell’unità tra tutti gli uomini. È per mettersi in contatto con il mistero e per rappresentarlo meglio che il regista preferì alla Francia l’Italia, scegliendo di girare un film (che sarà il suo penultimo), Nostalghia (1983) in terra di Toscana dove la cultura e la natura sono lontane dall’esprit de géometrie di Parigi e dal paesaggio ordinato della campagna francese. A spingerlo fuori dall’Unione Sovietica era stata anche la sua crisi matrimoniale.
    Andreij era stato abbandonato dal padre Arsenij (grande poeta russo – purtroppo poco letto in Italia) da ragazzino. La nostalgia per il padre assente si tradurrà nella vita di Andreij nel suo ripercorrere la vita di lui e sostituirsi a questo Grande Assente. Il film Nostalghia si situa proprio all’incrocio tra un dolore passato che non è mai passato, e un presente alla ricerca dell’armonia perduta. Scrive il regista: la nostalgia, per noi Russi, non è un sentimento leggero ma una malattia mortale che spinge a viaggiare, alla ricerca della propria patria perduta. Egli cerca e trova questa patria in Italia, nelle dolci armonie del paesaggio collinare del senese. Il protagonista del film, uno scrittore, giunge in Toscana sulle tracce di un musicista russo settecentesco segnato da un amore dall’esito disgraziato e infelice. L’amore tra uomo e donna si rivela impossibile anche nella storia del protagonista del film; ben altro è l’amore a cui lo scrittore aspira e che rintraccia nella lunga contemplazione dell’affresco della Madonna del Parto di Piero della Francesca e nell’incontro con un uomo che gli affiderà la missione di attraversare la magnifica piazza di Bagno Vignoni - costituita da un’enorme vasca termale già romana - con in mano una candela che non deve spegnersi. L’attraversamento della piazza colma d’acqua diventa il compito a cui il protagonista affida ogni sua speranza di superamento delle tensioni. L’impresa è il progetto di gettare un ponte tra la terra lontana e continuamente rimpianta e la terra vicina e presente che racchiude nella sua magia il segreto delle radici più lontane. Partendo dagli elementi dell’aria, della terra, del fuoco e dell’acqua, l’armonia risale lungo le immagini pure e arcaiche dell’arte italiana, fino a quando il protagonista sta morendo, dopo esser finalmente riuscito a tener viva la fiamma della candela attraversando la vasca due volte e immagina se stesso nei pressi della sua amata dacia dell’infanzia; ma essa sorge ora all’interno della chiesa di San Galgano. Come gli alchimisti del Rinascimento, in questa immagine finale Tarkovskij supera il dualismo e ritorna al punto dove l’umanità e lui stesso si sono persi; qui egli trova una sintesi tra materia e spirito, tra occidente e oriente; qui egli ritrova la Russia.

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