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Numero 2(101)
Morto Slobodan Milosevic, ex presidente della ex Jugoslavia
La fine di un’epoca
Russia e Serbia mettono in dubbio i metodi del Tribunale dell’Aja


    Slobodan Milosevic rimaneva l’ultimo di quei leader che determinavano la sorte dei propri popoli, disegnando sulle salviette i propri schemi di epurazione, con il favoreggiamento assai ipocrita dell’Occidente. Servendosi di svariati trucchi propagandistici per mantenere il potere, Milosevi è diventato un personaggio da PR. Di conseguenza, la sua morte è stata sfruttata al massimo dai suoi sostenitori per la propaganda politica.
    All’inizio è stato messo in pessima luce il Tribunale dell’Aja per l’ex Iugoslavia. A parte il fatto che Milosevi è stato l’unico dei tre leader delle parti coinvolte nella guerra a finire in carcere (il Presidente croato F. Tužman e il leader dei musulmani bosniaci A. Isetbegovi sono morti in pace nei propri letti, sebbene le loro responsabilità in quanto a reati di guerra fossero tutto sommato pari a quelle di Milosevi), il Tribunale, proprio alla vigilia della sua morte, ha respinto la richiesta dell’ex presidente di autorizzazione al viaggio in Russia a fini terapeutici argomentando in modo molto semplice: l’ex leader jugoslavo sarebbe potuto rimanere in Russia e non tornare al processo. Se da una parte, ciò era verosimile, anche perché particamente tutti i parenti più stretti di Milosevi ora abitano a Mosca, d’altra parte la Russia aveva ufficialmente garantito il ritorno di Slobodan Milosevi all’Aja al termine del ciclo terapeutico. Le voci circa l’avvelenamento di Milosevi hanno aggiunto del giallo alla vicenda, dato che man mano che il processo giudiziario andava avanti, diventava sempre più chiaro che l’ex presidente non fosse l’unico responsabile delle atrocità che gli erano state attribuite, ma soltanto uno dei tanti, fra i quali anche alcuni miltari e politici occidentali. In tale contesto, qualsiasi sentenza di condanna - che sarebbe stata sicuramente emanata - sarebbe stata vista esclusivamente come poco coscienziosa da parte dei giudici. Ed è naturale che il procuratore Carla del Ponte, a capo del Tribunale internazionale per l’ex Iugoslavia, fosse interessata a non consentire che Milosevi giungesse all’epilogo. Indipendentemente da quanto verosimili fossero tali voci, esse hanno trovato un terreno favorevole, perché in Serbia anche in precedenza non ci si fidava del tribunale, accusandolo di parzialità, visto che nessun personaggio di rilievo tra croati, musulmani bosniaci o albanesi kossovari è stato degnato dell’“attenzione benevola” del tribunale.
    Di conseguenza, il tribunale per l’ex Jugoslavia appare ora come un mostro sinistro dall’atteggiamento radicalmente antiserbo, un mostro che ha fatto morire in cella uno dei suoi detenuti più importanti. È difficile che tale quadro ispiri le autorità serbe ad estradare R. Karaži e R. Mladi, i due leader dei serbi bosniaci che si nascondono tuttora con successo in Serbia.

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