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Numero 2(101)
Nuovo corso in politica estera
La Russia apre ad Hamas
Il Cremlino prende le distanze dall’Occidente e tratta


    La Russia ha attratto un’altra volta su di sé l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, mediante i suoi contatti con le “persone non grate” della vita politica occidentale, e più precisamente con le trattative con l’Iran e con Hamas. Questi incontri hanno rivelato una notevole divergenza tra le posizioni della Russia e dell’Occidente: tale divergenza esisteva da sempre, ma non era mai stata così apertamente ostentata. È evidente che da alcuni anni il Governo russo conduce una doppia politica.
    C’è quella “nazionale”: agli spettatori russi la televisione mostra di continuo il contrasto fra la Russia e il G-8. La doppia politica da una parte si deve al desiderio della Russia di mantenere l’indipendenza in fatto di politica estera (posizione che comprensibilmente incontra il favore della popolazione), e d’altra parte riflette l’identità della Russia, ovvero la sua essenza multietnica. Quest’ultimo fattore comporta per la Russia una maggiore capacità di comprensione della posizione politica dei Paesi musulmani, rispetto ai Paesi dell’Europa Occidentale o agli USA. L’atteggiamento della Russia rispetto a ogni evento estero testimonia questa volontà di essere-rimanere forza politica indipendente. L’esempio più recente è quello della reazione alla morte di Slobodan Milosevi. Nonostante Milosevi fosse in attesa della sentenza del tribunale dell’Aja per i massacri perpetrati nell’ex Iugoslavia, e nonostante i Paesi europei lo considerassero un criminale di guerra, la Russia tuttora non ha cambiato atteggiamento nei confronti del suo ex partner politico. Altro esempio è lo scandalo delle caricature di Maometto pubblicate in Danimarca. La Russia, riportando la posizione dei propri musulmani, e in particolare del nuovo capo della Cecenia Ramzan Kadyrov, sembra aver supportato lo scontento del mondo islamico e essersi messa in opposizione all’Unione Europea.
    Poi c’è quella internazionale, di politica, la retorica “ad uso esterno”, che si osserva nell’ambito delle trattative del G-8, nonché in tutte le dichiarazioni dei pubblici ufficiali russi trasmesse sui canali televisivi stranieri. La discussione sulla riforma dell’esercito ne è un esempio indicativo. Mentre alla Duma e su tutti i canali televisivi pubblici si parla del nonnismo come di un male inevitabile, e l’aumento della spesa pubblica viene indicato come la condizione sine quo non per il successo della riforma dell’esercito, ai canali televisivi destinati all’estero, come il Russia Today, lo stesso Ministro della Difesa dichiara la necessità di passare al sistema dell’esercito a pagamento.
    È possibile affermare, in sostanza, che mentre nel campo delle public relations e delle tecnologie politiche Mosca ha sempre dimostrato di mantenere una propria linea, soltanto negli ultimi mesi ciò è sfociato in atti concreti. L’invito a Mosca di una delegazione di Hamas in seguito alla vittoria ottenuta da questo partito politico alle elezioni in Palestina e la conduzione delle trattative con l’Iran riguardo all’arricchimento dell’uranio non sono più promesse televisive e dichiarazioni clamorose, ma mosse assai concrete. Secondo molti politici, alla radice di situazioni complesse vi sono motivi semplici. In particolare, il cambiamento di strategia della Russia in politica estera potrebbe essere dovuto alle quotazioni del petrolio arrivate a livelli mai raggiunti prima. Anche la posizione degli Stati Uniti è quanto mai vulnerabile. Dovendo affrontare una guerra su più fronti, i continui attentati terroristici in Iraq, ma anche il contrasto in Afganistan e una nuova forza politica sorta in Iran, gli Stati Uniti devono anche risolvere i propri ostici problemi economici, e in particolare, ridurre il deficit della bilancia commerciale. La necessità di una svalutazione del dollaro cresce man mano che il coinvolgimento nella guerra in Medio Oriente fa aumentare la spesa pubblica. E mentre la precedente svalutazione del dollaro, avvenuta nel 1985, fu condotta grazie ad uno sforzo fatto dalle Banche Centrali dei Paesi industrializzati, cioè della Germania, della Francia, dell’Inghilterra e del Giappone, ora, in seguito al cambiamento dei flussi commerciali negli ultimi 10 anni, la questione di una efficace svalutazione del dollaro (cioè di una svalutazione che possa correggere la condizione della bilancia commerciale) dipende direttamente dalla posizione della Cina. È noto peraltro che le pressioni esercitate sulla Cina hanno avuto un successo assai modesto: con la necessaria svalutazione del dollaro rispetto allo yuan, la Cina oggi come oggi ha rafforzato la sua valuta di meno del 10%. Tenendo conto di questa complicata situazione economica, è giusto ritenere quindi le trattative di Mosca in Medio Oriente un possibile colpo basso per gli USA. Esistono peraltro ipotesi più raffinate riguardo alle motivazioni alla base dell’operato del Cremlino, ipotesi che non vanno trascurate. Stanislav Belkovskij, nel suo articolo L’enigma di Vladimir Putin, ipotizza infatti che la Russia conduca le trattative con Hamas e con l’Iran con il consenso dei partner occidentali, i quali non riterrebbero dignitoso a livello d’immagine entrare in trattativa con personaggi così odiosi, e lascerebbero fare agli esponenti del Cremlino, che possono permetterselo. Secondo Belkovskij, la Russia affronterebbe queste trattative partendo non da un interesse statale, bensì dall’interesse personale dei suoi leader, che conterebbero così di diventare servitori insostituibili dell’Occidente, e di ottenere la possibilità di legalizzarvi i loro capitali petrolieri dopo il 2008. Questo punto di vista è indubbiamente interessante, perché presume il fatto che il governo russo non abbia nessuna strategia nazionale che detti la necessità di un ravvicinamento con l’Iran o con Hamas. Ciò, infatti, coincide con l’opinione della maggior parte della popolazione del Paese. Le macchine con i lampeggiatori, gli uffici sfarzosi ed altri lussi che gli esponenti del potere si concedono portano veramente a pensare che il riempirsi le tasche oggi sia più di moda che preoccuparsi per le sorti dello Stato.
    Per qualsiasi delle due ipotesi si protenda, si intravede solo un possibile sviluppo della situazione: la Russia continuerà a correre il rischio di rimanere emarginata dalla zona del suo influsso politico. Se la vera strategia del Governo è quella di cercare una coalizione con l’Iran o con Hamas, è ovvio che tale alleanza ridurrà le potenzialità della Russia relative al ripristino del suo influsso nello spazio della CSI invece di aumentarle: molti dei Paesi della CSI infatti, forse ad esclusione della Turkmenia, preferiranno non seguire la Russia nell’alleanza con l’Iran. Se accettiamo invece l’ipotesi che le trattative vengano condotte con il consenso dell’Occidente nella speranza di ottenere in cambio una legalizzazione dei redditi di singole persone al governo del Paese, ciò dimostra ancora di più l’incapacita della Russia di rafforzare il suo influsso politico.

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