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Numero 4(103)
Sud America a sinistra
USA abbassa la guardia: Venezuela e Bolivia nazionalizzano l’industria


    Concentrando negli ultimi tempi l’attenzione sul Medio Oriente, gli USA hanno praticamente “lasciato senza sorveglianza” una regione di loro “tradizionale” interesse, l’America Latina. Pareva, tutto sommato, che non avessero nulla da temere: al potere, nella maggior parte dei Paesi situati a sud del Rio Grande, si erano instaurati dei regimi liberali che portavano avanti riforme economiche ed erano orientati verso gli USA.
    Ma è rimasto “fuori campo” un altro problema: per la sconsideratezza di quegli stessi riformatori, per la corruzione smodata ecc., una parte notevole della popolazione dell’America Latina si è trovata ad essere in perdita, il che ha provocato il risveglio dell’antiamericanismo apparentemente sparito dopo il crollo dell’URSS. In Argentina e Brasile sono saliti al potere presidenti di sinistra, mentre negli altri Paesi del continente i partiti di orientamento socialista e comunista hanno vinto con una grande maggioranza di voti le elezioni parlamentari. Ma il Venezuela, capeggiato dal leader carismatico Hugo Chavez, è diventato una specie di “Mecca” per i “sinistroidi”. Ex militare, Chavez cerca di trasformare il Venezuela in un centro di gravitazione politica per l’America meridionale alternativo agli USA. Minacciando puntualmente gli USA con un’eventuale sospensione delle forniture di petrolio (proprio il Venezuela è il fornitore n.1 di “oro nero” negli Stati Uniti), e incontrando Fidel Castro, il presidente della Repubblica venezuelana ha guastato al massimo i rapporti con gli USA, al punto che alcuni politici statunitensi accennavano alla necessità di eliminarlo - già l’intelligence di Washington aveva organizzato un tentativo in tal senso nel 2002 -.
    Ma per gli Stati Uniti ci sono nuove fonti di preoccupazione. Il 1 maggio ha vinto le elezioni in Bolivia Evo Morales, un politico di sinistra, il primo indio ad aver conquistato il seggio di Presidente. Morales ha dichiarato che il governo procederà alla nazionalizzazione delle risorse del gas e del petrolio, dicendo: “Il saccheggio, perpetrato dalle compagnie estere è finito”. Ora le compagnie straniere come la Petrobras brasiliana, la Repsol YPF spagnolo-argentina, le British Gas e BP britanniche, la Total francese e l’ExxonMobil americana dovranno stipulare entro sei mesi nuovi contratti con il Governo boliviano. Fino a quel momento, potranno contare solo sul 18% di tutte le materie prime estratte. Il resto andrà alla Yacimientos Petroliferos Fiscales Bolivianos (YPFB), la compagnia statale. Morales gode dell’appoggio di massa della popolazione, e ogni tentativo di destituirlo provocherebbe solo insurrezioni (simili sommosse hanno già travolto due predecessori di Morales al seggio presidenziale). È difficile che gli USA possano decidersi a cimentarsi in un intervento: anzittutto perché semplicemente mancano le truppe per farlo, e poi ciò susciterebbe uno scandalo mostruoso e eliminerebbe definitivamente i resti dell’immagine positiva degli USA nel mondo, già vacillante dopo l’invasione dell’Iraq.
    D’altra parte, l’“impunità” dei boliviani potrebbe provocare una nuova ondata di nazionalizzazioni, che lederebbe ancora di più gli interessi statunitensi. Inoltre potrebbe nascere una nuova organizzazione politica dalla quale gli USA resterebbero esclusi. Per ora si tratta di un’alleanza tra Cuba, il Venezuela e la Bolivia, ma a quest’“asse” potrebbero aggiungersi anche altri Paesi. In ogni caso gli USA dovranno fare parecchi sforzi per mantenere la loro influenza nell’ex “corte bassa”.
    È veramente interessante come tutto ciò potrebbe dare alla Russia una chance di insinuarsi nei mercati dell’America Latina (come minimo, in quello degli armamenti, perché adesso le forniture statunitensi, almeno in Venezuela e in Bolivia subiranno un sicuro rallentamento). “La prima rondine” è già arrivata: il contratto per la fornitura di una grossa partita di Kalashnikov in Venezuela. Di fatto, questa operazione varrà da “risposta simmetrica” agli USA, che cercano di far entrare nella propria sfera di influenza le ex repubbliche sovietiche, viste dalla Russia come “fascia politico-territoriale di sicurezza”.

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