Numero 6(105)
La Magistratura di Milano procede contro Pollari & c.
SERVIZI (POCO) SEGRETI
Cambio della dirigenza per i servizi segreti italiani
Dimissioni per merito
Durante il vertice di governo del 20 novembre Romano Prodi ha preso la decisione di dimettere il capo dei servizi ricognitivi militari (SISMI), il generale Nicolò Pollari, che si ritiene abbia partecipato al sequestro sul territorio dell’UE di sospetti terroristi da parte di agenti della CIA. Al posto di Pollari è stato nominato Bruno Branciforte, l’ex capo delle forze navali di ricognizione. È stato ugualmente dimesso anche il capo del controspionaggio (SISDE), il generale Mario Mori, sostituito dal prefetto Franco Gabrelli.
Inoltre è stato costretto a dimettersi anche Emilio del Mese, il presidente generale del CESIS (il Comitato Esecutivo per i Servizi di Informazione e Sicurezza), organo consultivo/collegiale del quale fanno parte il capo dell’Alto Stato Maggiore, il capo della Polizia italiana, il segretario generale del Ministero degli Esteri, il comandante in capo dell’Arma dei Carabinieri e della Guardia di finanza, come anche i capi del SISMI e del SISDE. L’incarico di presidente generale del CESIS è stato affidato a Giuseppe Cucchi. Come alcuni osservano in proposito, i recenti cambi della guardia non sono una sorpresa per nessuno. Durante la campagna elettorale della primavera di quest’anno infatti Romano Prodi più di una volta aveva dichiarato il proposito di riformare i servizi segreti italiani, al fine di rafforzare su di essi il controllo parlamentare e incrementarne l’efficacia. La valanga di dimissioni dalle cariche chiave delle strutture italiane della Difesa spiega, guarda caso, il desiderio da parte del governo di non destabilizzare la situazione con licenziamenti isolati, mentre i pacieri italiani sono impegnati nelle operazioni in Libano e in Afghanistan.
Tra l’altro le dimissioni di Nicolò Pollari e Mario Mori, se da una parte sono da ricondurre al tentativo comune a tutte le sinistre europee di rimettere i servizi segreti sotto il proprio stretto controllo, sono direttamente legate allo scandalo riguardante le “prigioni segrete della CIA”, e in particolare ad un episodio che ha fatto molto scalpore, ovvero il sequestro da parte degli agenti della CIA a Milano il 17 febbraio 2003 del Mullah egiziano 39enne Hassan Mustafa Osama Nasr, noto anche come Abu Omar.
Alcuni mesi prima, il 5 luglio, a causa del suddetto sequestro di persona ad opera dei servizi segreti era già stato arrestato Marco Mancini, ai quali i giornalisti spesso si riferivano come al “James Bond” italiano e braccio destro di Pollari. Mancini era direttore del primo dipartimento dei servizi militari di ricognizione, impegnato nella lotta alle organizzazioni terroristiche. Lo stesso Nicolò Pollari è già da diversi mesi nella lista dei sospettati riguardanti lo scandalo del sequestro di Abu Omar, sollevato ancora a tracce fresche dalla Procura di Milano. Tuttavia la sua partecipazione all’operazione rimane ancora non dimostrata. Pollari smentisce qualsiasi accusa al riguardo.
Omar in acque torbide
Nello stesso tempo l’affare del sequestro di Abu Omar abbonda di punti oscuri e di ambiguità che inducono a mettere in dubbio la legittimità di qualsiasi accusa, per lo meno fino a quando la situazione non sarà stata definitivamente chiarita.
Ricordiamo che l’egiziano Abu Omar ha ricevuto in Italia lo status di rifugiato politico dopo che l’attività dell’organizzazione islamica radicale della quale faceva parte era stata dichiarata dalle autorità egiziane illegale e conseguentemente interdetta. Fatto, questo, rivelatore, considerando la lotta ai fondamentalisti islamici nella quale il governo egiziano è impegnato già dai tempi di Gamal Abdel Nasser, e nella fattispecie contro i “Fratelli Musulmani” e altri gruppi. Tra le altre cose è stato confermato che Abu Omar aveva pianificato il rapimento del Ministro degli Esteri egiziano. Nel 2005 sulle pagine del Chicago Tribune era apparso l’articolo “Abducted imam aided CIA ally”, nel quale si diceva che Abu Omar lavorava per i servizi segreti albanesi, e che oltre tutto era stato per qualche tempo informatore della CIA. Stando alle affermazioni dei giornalisti americani, Omar era poi “sfuggito di mano”, inducendo la CIA ad organizzare un’operazione per catturarlo. In più, le autorità italiane stesse sospettavano Abu Omar di essere legato agli islamisti. La polizia di Milano l’aveva messo sotto osservazione. Al momento del sequestro di Abu Omar gli agenti di polizia stavano per catturare un’intera rete di attivisti islamisti operanti nel Nord Italia. La sua improvvisa sparizione ha fatto saltare l’intera operazione.
Evidente è stata quindi l’inopportunità della manovra dei servizi segreti, che gli italiani hanno considerato come un reato contro la sovranità dello Stato. La Procura di Milano ha emesso ordini di arresto secondo alcuni testimoni per 13, secondo altri per 22 agenti della CIA che avrebbero preso parte al sequestro.
Tuttavia la vicenda ha preso poi una piega inaspettata. È risultato che Abu Omar era prima stato trasferito alla base militare italo-americana di Aviano, poi da qui in aereo alla base militare tedesco-americana di Ramstein, e alla fine in una prigione egiziana secondo alcuni segreta, secondo altri ordinaria. Dopo qualche tempo è stato rilasciato per ordine delle autorità giudiziarie egiziane per mancanza di prove.
Omar ha chiamato la famiglia e gli amici raccontando di aver dovuto subire sevizie in prigione: l’avrebbero picchiato e torturato con la corrente elettrica. Nel frattempo il suo avvocato, Montasser El Zayat, il quale (fatto indicativo) dopo l’omicidio da parte degli islamisti di Anwar Sadat ha passato tre anni in prigione per aver fatto parte del gruppo “Jijad islamica”, ha dichiarato all’agenzia stampa ANSA che il suo assistito stava bene e sul suo corpo non riportava tracce di torture. Ha inoltre aggiunto che Abu Omar era stato trattenuto nella prigione di Nor, a venti miglia dal Cairo. Dopodiché il sipario che si era per un attimo alzato sul destino di Abu Omar si è di nuovo abbassato. Ed egli è semplicemente sparito.
Realtà e politica
Queste testimonianze poco attendibili sono state sufficienti a fare esplodere lo scandalo: un crimine contro l’umanità commesso dagli agenti dei servizi segreti sul territorio dell’UE! Le accuse di sequestro e torture che fino ad ora sono rimaste senza prove sono diventate talmente insistenti da trascinare alla gogna anche i rappresentanti dei servizi segreti italiani. In particolar modo quelle indirizzate contro le forze dell’ordine giunte dal senatore svizzero Dika Marti. Il senatore le ha avanzate nel corso di un convegno dedicato all’attività segreta della CIA sul territorio dell’UE durante il vertice del Consiglio d’Europa il 22 gennaio del 2006. Nell’intervento si dedicava particolare attenzione al “caso italiano”: “È dunque possibile che un’operazione del genere (il rapimento di Abu Omar), comportante un tale impiego di risorse, e in più sul territorio di un Paese dell’Unione sia stata portata a termine senza informare le autorità locali, o per lo meno i servizi segreti corrispondenti? Il governo italiano nega la propria partecipazione all’accaduto. Ma in tal caso la presenza sul suo territorio di 25 agenti di un altro governo e il sequestro a loro opera di una persona che godeva dello status di rifugiato politico avrebbe dovuto portare ad un incidente diplomatico, o quantomeno ad una viva reazione di protesta da parte delle autorità italiane. Secondo la nostra opinione ciò non si è verificato. E inoltre, il Ministero italiano della Giustizia non ha inoltrato al governo degli Stati Uniti richiesta di estradizione degli agenti della CIA implicati nell’affare”, è stato osservato durante il convegno.
Tutto qui.
Ma tali congetture sono state sufficienti a mettere i rappresentanti dei servizi segreti e del controspionaggio italiano nella posizione di doversi giustificare, e a sollevare mille sospetti su di loro. Gli esponenti delle forze dell’ordine sono quindi caduti vittima non tanto di concrete accuse, ma della congiuntura politica: nell’UE non si riesce a trovare un accordo su quali strumenti siano ammissibili nella lotta al terrorismo e in quale grado corrispondano ai valori democratici fondamentali: ovvero i diritti dell’uomo, la trasparenza delle istituzioni governative e il controllo esercitato su di esse da parte della società. La discussione è puramente speculativa, sterile e senza fine; potrebbero spostarla su un piano di maggiore concretezza i rappresentanti dei servizi segreti, che di terrorismo se ne intendono più degli altri. Ma vengono licenziati.
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