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Elezioni: zuppa o pan bagnato
L’intrigo principale verte sulla battaglia tra i due cloni del partito di governo
L’11 marzo, in Russia si sono svolte le elezioni parlamentari locali in 11 regioni del Paese (nelle Repubbliche Daghestan e Komi, nel Territorio di Stavropol, nelle Regioni di Vologda, di Leningrado, di Mosca, di Murmansk, di Omsk, di Orel, di Pskov, di Samara, di Tomsk, di Tiumen e a San Pietroburgo). Inoltre, presso 7 soggetti federali sono stati eletti i deputati degli organi di governo dei capoluoghi, mentre in 87 città e distretti hanno avuto luogo le elezioni dei capi delle amministrazioni locali e numerose elezioni supplementari di deputati degli organi legislativi locali. L’attenzione maggiore è stata rivolta naturalmente alle elezioni per i parlamenti regionali, considerate una specie di “rassegna truppe” in vista delle elezioni per la Duma di Stato fissate per il prossimo dicembre. Hanno cercato pertanto di partecipare alle elezioni praticamente tutti i partiti esistenti: Russia Unita, Russia Giusta, Partito comunista della Federazione Russa (KPRF), Partito delle forze di destra (SPS), Yabloko, Partito liberale democratico (LDPR), Partito agrario della Russia, Patrioti della Russia. La competizione più accesa si è svolta tra la Russia Unita e la Russia Giusta, i due “cloni” del partito di governo. Secondo i “tecnologi politici” del Cremino, infatti, la loro rivalita’ altro non sarebbe che un tentativo di colmare la vita politica russa. Ma nonostante questo, la campagna elettorale è stata molto “sporca” e per screditare i rivali si è ricorso letteralmente ad ogni mezzo. Le elezioni più arroventate sono state quelle del Daghestan, dove la lista candidati del Partito delle forze di destra (SPS) è stata rimossa dalle elezioni dopo il sequestro di uno dei leader della lista. Nella stessa regione il dirigente del reparto locale dei “Patrioti della Russia” è rimasto gravemente ferito in seguito a un aggressione perpetrata da ignoti.
La Russia Unita, a titolo di “partito di governo”, in tanti casi ha commesso infrazioni alla legislazione elettorale. In molte regioni è continuata l’agitazione politica a favore degli “orsi” (il simbolo del partito) anche nel giorno delle elezioni, e in alcune città i capi delle amministrazioni locali si sono recati personalmente nelle circoscrizioni elettorali per convincere gli elettori a non “sbagliare”. Da qualche parte gli elettori sono stati volgarmente prezzolati.
In media, la Russia Unita ha avuto dal 35% al 40% dei voti, con l’esclusione del Daghestan, in cui il partito, grazie alla così detta “risorsa amministrativa”, ha ottenuto il 65,45%, e la Regione di Tiumen, il cui gli “orsi” hanno potuto vantare un 65,89%. La Russia Giusta è riuscita facilmente a superare la barriera del 7%, e in un caso (nella Regione di Stavropol) ha potuto pungere assai sensibilmente gli orsi, sorpassandoli di molti punti.
Le elezioni hanno apportato anche un altro risultato significativo: il licenziamento di A. Vešnjakov, il presidente della Commissione centrale elettorale. Secondo voci di corridoio che girano con una certa insistenza, questo sarebbe il prezzo ch’egli avrebbe pagato per non aver voluto assegnare punti percentuali fittizi in più alla Russia Unita.
Il Partito comunista della Federazione Russa (KPRF) ha dimostrato che il suo brand rimane tuttora attraente per una parte degli elettori: non abbastanza da poter vincere, ma abbastanza per non rimanere fuori del Parlamento.
L’Unione delle forze di destra (SPS), contrariamente ad una serie di brutte previsioni, ha avuto un successo sorprendente: in cinque regioni il partito è riuscito a superare la barriera del sette percento, mentre in altre due, secondo gli esperti, la vittoria sarebbe stata sottratta alla destra da qualcuno che ha cancellato proditoriamente dal risultato dell’SPS i pochi centesimi di punto che servivano a superare lo sbarramento. I rappresentanti del partito hanno già dichiarato la loro intenzione di impugnare i risultati delle elezioni nella Regione di Mosca. Reclami relativi a brogli in favore della Russia Unita sono già stati presentati peraltro dagli esponenti di praticamente tutti i partiti più grandi: KPRF, SPS, democratici liberali (LDPR), “Volontà del popolo” e addirittura dai “gemelli” della Russia Giusta.
Per le elezioni di dicembre si può prevedere quanto segue: la barriera del sette percento verrà superata dalla Russia Unita, dalla Russia Giusta, dal KPRF, dal LDPR e dal SPS. Si può constatare un’altra volta l’assenza del partito “Yabloko”: in ogni regione in cui il partito è stato ammesso alle elezioni, non solo non è riuscito a superare la barriera del 7%, ma neanche vi si è avvicinato (il miglior risultato, il 4,05%, è stato ottenuto dal partito nella Regione di Mosca). Malgrado lo “Yabloko” sia stato eliminato dalle elezioni a San Pietroburgo, anche lì il potenziale dei suoi elettori è approssimativamente del 3%. E in proposito, alla proposta del SPS di “dividere i voti” con la promessa di rappresentare nella futura Assemblea legislativa anche gli interessi di Yabloko, i sostenitori di Grigorij Yavlinskij hanno risposto accusando i colleghi di “sciacallaggio politico”, e hanno dichiarato l’impossibilità di cooperare con il “SPS vendereccio”, “finanziato dal capitale oligarchico”.
Da outsider sono arrivati anche due partiti registrati di ispirazione radicalmente nazionalistica: “Volontà del popolo” e “Jedinenie” (unità). Il risultato da loro ottenuto si aggira attorno all’1-2%. I nazionalisti peraltro possono sperare di entrare al governo anche in un’altra maniera: tramite la Russia Giusta, alla quale sono approdati molti militanti di “Rodina” (Patria), che prima si schierava con gli altri due partiti nazionalistici appena menzionati. È significativo che Dmitrij Rogozin, l’ex leader di “Rodina”, che sfrutta attivamente gli argomenti nazionalistici, arrivato a Stavropol in febbraio, abbia esortato gli elettori con energia a dare i loro voti alla Russia Giusta, mentre i suoi sostenitori erano inclusi nell’elenco dei deputati di questo partito.
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