Numero 1(106)
Nuovo governo in Palestina
Dovrà affrontare una lotta accanita contro la propria dicotomia
Nell’Autonomia Palestinese si pianifica la formazione a breve di un nuovo esecutivo. Ma per ora gli stessi arabi, come del resto anche gli israeliani e gli americani, non sanno come affrontare la comparsa del “Governo dell’unità nazionale”, vista l’insolita configurazione dell’organismo neonato.
Il primo ministro palestinese Ismail Hania aveva rassegnato le dimissioni “tecniche”; dopo di che ha avuto inizio la formazione del Governo dell’unità nazionale, il quale, in conformità agli accordi esistenti, sarà capeggiato dallo stesso Hania.
Si prevede che il nuovo esecutivo dell’Autonomia Palestinese sia composto dai rappresentanti dell’HAMAS, del FATAH e dagli “indipendenti”, cioè dai ministri senza partito. I palestinesi sperano che un governo all’interno del quale la rappresentanza dell’HAMAS venga “mitigata” dalla presenza di ministri di altri movimenti possa essere riconosciuto a livello internazionale, ed ottenere l’abolizione del blocco finanziario e diplomatico introdotto dalla comunità internazionale dopo la vittoria dei radicali alle elezioni di gennaio 2006.
Ma i problemi i palestinesi li hanno avuti ancor prima che fossero resi pubblici i nomi dei potenziali candidati ai ministeri. Gli USA e Israele hanno dichiarato di non avere intenzione di riconoscere il nuovo governo come interlocutore a pieno titolo fino a quando l’esecutivo non abbia a sua volta riconosciuto ufficialmente ad Israele il diritto di esistere e non prometta di rispettare gli accordi previamente stipulati con quest’ultimo. Accettare queste condizioni per Ismail Hania è impossibile. Se egli venisse meno alle proprie promesse, dichiarando che il suo nuovo governo riconoscerà Israele, i suoi stessi compagni dell’HAMAS lo farebbero destituire dalla carica di premier.
In realtà quindi, per questo aspetto chiave, il Governo dell’unità nazionale non è diverso dal precedente, che era formato esclusivamente dai rappresentanti dell’HAMAS. Hania, se davvero vuole far rimuovere l’embargo dall’Autonomia Palestinese, dovrà trovare una scappatoia estremamente scaltra, che da una parte gli permetta di rimanere agli occhi dei suoi commilitoni un nemico intransigente dell’“organismo sionista”, e dall’altra convincere Israele e l’Occidente delle sue intenzioni pacifiche. Dopo la formazione del nuovo governo, Hania, come si suole, esporrà in un discorso pubblico il suo programma. La parte che riguarderà il rapporto con Israele sarà sicuramente piena di salti mortali verbali: da quanto sarà bravo nell’eseguirli dipendere sia la sua sorte personale, sia il futuro del suo Governo. I comuni cittadini attendono con grande interesse di sapere cos’abbia in serbo Hania con i suoi, e come riuscirà ad uscire dalla situazione venutasi a creare.
Nel contempo, riguardo alla formazione del nuovo Governo palestinese anche gli israeliani e gli americani si pongono molte domande, la più importante delle quali è che genere di “bestia” sia il futuro esecutivo, e se valga la pena di continuare ad usare il bastone o non sia meglio passare alla carota. Non esiste in proposito un’opinione comune. A Gerusalemme e a Washington per ora ci si gratta il capo, cercando di capire se sia effettivamente possibile un dialogo con questa nuova leadership palestinese a due teste. Prima tutto era più o meno semplice: la FATAH e il suo leader Mahmud Abbas erano “di fiducia”, con loro il dialogo era possibile, mentre l’HAMAS e Ismail Hania erano “nemici”, con questi non si parla assolutamente.
Non è facile decidere cosa fare quando ci si trova davanti una specie di mutante schizofrenico, con due centri nervosi in competizione e con una reazione imprevedibile a qualsiasi agente esterno.
Secondo gli ottimisti, la testa “buona” potrebbe spiegare sempre alla testa “cattiva” come senza un ammorbidimento delle proprie posizioni non si possa sperare in un’adeguata “nutrizione” - gli aiuti occidentali – e tutto l’organismo rischi di morire. Dal loro punto di vista, il Governo dell’unità nazionale rappresenta forse l’unica chanche per ottenere un qualsiasi progresso nel dialogo con i palestinesi.
I pessimisti sostengono invece che “il vizio di natura fino alla fossa dura”, e che ad essere “cattive” sarebbero tutte e due le teste, delle quali però solo una ammette di essere malvagia (HAMAS), mentre l’altra (FATAH) camuffa abilmente il suo atteggiamento nei confronti di Israele. Per questo, dicono i sostenitori della linea dura, sarebbe auspicabile, invece di darsi ai dibattiti, combattere ad oltranza contro entrambi i gruppi terroristici. Sembra però che sia destinato a prevalere il punto di vista degli ottimisti. Il fatto è che tutti sono ormai stanchi di sangue e lotte senza fine. Al nuovo Governo palestinese pertanto sarà concessa forse una possibilità. Il premier israeliano Ehud Olmert ha già dichiarato di poter “rivedere” il suo atteggiamento nei confronti dell’esecutivo palestinese, qualora questo proceda alla liberazione di Ghilad Shalit, imprigionato dagli arabi nell’estate dell’anno scorso. Olmert ha quindi già mostrato di essere, in linea di massima, disposto al dialogo.
Il capo del Dipartimento di Stato degli USA Condoleeza Rice ha smentito, a sua volta, le affermazioni degli stessi palestinesi, i quali hanno comunicato il 15 febbraio il rifiuto da parte degli americani di avviare il dialogo con il Governo di Hania. È ovvio che sia Israele che gli USA insieme all’Europa stanno aspettando la formazione dell’esecutivo palestinese e le sue prime dichiarazioni ufficiali, che dimostreranno per quale strada Hania porterà il suo popolo. Solo a seguito di ciò sarà chiaro se avevano ragione gli ottimisti, sicuri che sarebbe stata possibile una ripresa del dialogo di pace, oppure i pessimisti, che chiedevano di continuare ad esercitare pressioni sui palestinesi.
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