Numero 11(56)
Calcio e politica Riflessioni (tristi) dopo i Mondiali 2002
Dall’inizio dell’anno, quando si era definita la composizione dei gruppi di qualificazione nella parte finale dei Campionati mondiali di calcio, gli esperti ed i tifosi si erano messi a valutare le chance delle squadre, a parlare di sorprese tattiche, di favoriti, di “bestie nere” e di outsider.
Ma soprattutto, tutti vivevano nell’attesa di uno spettacolo meraviglioso, di un’onesta lotta sportiva fra le grandi squadre, di partite indimenticabili. E tutti, poi, si domandavano, quale sfumatura avrebbe dato alla Coppa del mondo il luogo del suo svolgimento: per la prima volta nella storia, la competizione calcistica più importante doveva aver luogo in Asia, in Giappone e in Corea del Sud, in due Paesi contemporaneamente. Gli appassionati del calcio e gli osservatori dei media facevano previsioni uguali: l’Argentina è troppo forte, è destinata a diventare campione, ma se, per qualche imprevisto, si lascerà sfuggire l’oro, lo otterranno Francia, Italia o Inghilterra… Si attendevano sorprese dai portoghesi e dagli spagnoli. Quasi nessuno puntava su Brasile e Germania, le due squadre che, come sappiamo adesso, sono arrivate in finale: secondo l’opinione di tutti, entrambe le nazionali sono giunte ai Mondiali in condizioni lontane da quelle migliori.
Ora che hanno cessato di echeggiare canti in lingue diverse, tamtam e bande, mentre i calciatori, qualcuno prima, qualcun altro dopo, qualcuno giocondo, qualcun altro accorato, si sono dispersi per villeggiature, ora che conosciamo il campione e gli assegnatari delle altre medaglie, possiamo cercare di riflettere un po’, a caldo, sui risultati e sul significato, sportivi e non solo, del torneo terminato.
Anzitutto, bisogna rilevare che in questa Coppa del mondo si sono manifestate delle tracce che la differenziano nettamente da tutte le precedenti. Quando, nella partita d’inaugurazione, i francesi, gli ex campioni del mondo, hanno perso al Senegal, nessuno probabilmente poteva ipotizzare che sia quel risultato, sia la stessa gara avrebbero riflesso simbolicamente una delle più importanti caratteristiche del vertice calcistico coreano-giapponese: la caduta dei favoriti e l’avanzata delle squadre che prima erano state poco visibili nel firmamento del calcio. Questa tendenza si è verificata e confermata già nella fase di classificazione, quando sono stati eliminati i “grandi” come Argentina, Francia e Portogallo. Tra i motivi di questo fenomeno imbarazzante si cita la stanchezza della maggior parte dei calciatori di queste nazionali, che giocano con le più importanti società europee, in cui sono, poi, protagonisti. Questa giustificazione del gioco inespressivo e inefficiente dei favoriti appare, del resto, poco convincente: le squadre della Germania, della Spagna e del Brasile, comparabili con quelle eliminate, come grado di occupazione e bravura dei calciatori hanno conseguito successi assai maggiori. Può darsi che le ragioni della prestazione balorda dei “grandi” vadano cercate nelle irregolarità psicologiche, nelle scelte sbagliate degli allenatori, nonché (e questa è un’altra maggiore particolarità della Coppa del mondo del 2002) negli errori degli arbitri o, più precisamente, nell’arbitrio dei direttori di gara, che ha danneggiato prevalentemente i portoghesi, gli italiani e gli spagnoli. Tutti e tre sono state “colpevoli” di dover giocare, in ordine di menzione… e di eliminazione, con i colleghi della Corea del Nord. Tutti coloro che abbiano seguito l’andamento dei Mondiali ricordano due espulsioni nella squadra portoghese, e diversi gol segnati regolarmente dagli italiani e dagli spagnoli, ma non convalidati dagli arbitri.
Pare che presi di mira in modo particolare siano stati gli italiani. Già nella partita del torneo di qualificazione con la Croazia, il direttore di gara ha abolito una rete assolutamente regolare segnata dall’Italia, ma l’arbitro si sbagliò a sfavore degli italiani anche nella partita con il Messico; e infine, agli ottavi, contro la Corea, un altro gol regolare annullato, l’espulsione del capitano della squadra, Francesco Totti, e l’Italia va a casa, dopo aver subìto, nei tempi supplementari, il così detto “golden goal”. L’opinione pubblica italiana è infuriata, i membri del governo fanno una strigliata agli arbitri che hanno passato la misura, i giornalisti indagano sulla congiura contro la squadra azzurra. A tessere le fila sarebbe, secondo loro, il signor Blatter, il Presidente della FIFA appena rieletto. Il fatto è che i dirigenti calcistici italiani erano tra quelli che si opponevano in modo più attivo a tale rielezione, accusando Blatter di concussioni. Ed ecco giunto il tempo della vendetta, ritengono i mass media italiani: Blatter avrebbe ordinato segretamente di far affondare la squadra azzurra. La corte romana ha aperto le indagini a carico dell’arbitro ecuadoriano che ha diretto la gara con la Corea: è accusato di aver arrecato in modo premeditato dei danni alla Repubblica italiana.
Fra tutto questo indignato boato patriottico, abbastanza comprensibile, del resto, si sono sentite poco le voci degli osservatori che rilevavano quanto maldestro sia stato il ct Trappatoni nella scelta dei bravissimi attaccanti, di cui ne ha usato praticamente uno solo, Vieri; che sempre lui, l’allenatore, anche di fronte all’imminente eliminazione non abbia voluto lasciare la sua prediletta tattica difensiva; quanto male abbia giocato Totti; come Vieri, da una posizione più che vantaggiosa non abbia segnato la rete decisiva nella partita con i coreani…
Tuttavia, come hanno dimostrato eventi seguenti del mondiale, la fondazione “non sportiva” delle vittorie della squadra coreana è assai probabile, ma sembra che “il mandante” sia qualcun altro.
Quando l’arbitro egiziano e il guardalinee dell’Uganda nei quarti di finale, nella partita Spagna-Corea del Sud, sotto gli occhi di tutto il mondo, hanno semplicemente rubato agli spagnoli due gol e non hanno lasciato che essi segnassero il terzo (interrompendo con un fischio un attacco da gol), il quadro si è chiarito definitivamente: la conguira, se esiste, non è antiitaliana, ma procoreana. A questo punto, molti hanno ricordato che uno dei vicepresidenti della FIFA, il sudcoreano Chang Mong-Giun, è pretendente a Presidente della Repubblica coreana e che lui, nei suoi discorsi preelettorali aveva promesso che la nazionale del suo Paese sarebbe arrivata in semifinale. E ci è entrata. Nessun uomo che si intenda minimamente di calcio l’avrebbe mai potuto immaginare. Ma il signor Chang Mong-Giun ci è riuscito. E i calciatori del Corea (i quali, per dire la verità, hanno imparato a giocare molto bene), ispirati dal “lavoro” degli arbitri, “organizzato” correttamente, hanno avverato la promessa elettorale del pretendente a Presidente…
Tutto ciò è triste. Pare che il festival del calcio coreano-giaponnese confermi una tendenza delineatasi alle Olimpiadi 2002 di Salt Lake. Ingenti quantità di denaro e politica stanno uccidendo lo sport. Ingenui, continuiamo ad attendere il fair play, tifiamo, speriamo che, come una volta, vinca il più forte. Magari… Lassù, da qualche parte, qualcuno potente e ricco decide chi dovrà vincere.
E quanto allo spettacolo meraviglioso e le partite indimenticabili, questo Mondiale ne è stato povero. Senegal-Svezia negli ottavi… Brasile-Costa Rica nel torneo di qualificazione… Il gioco gioioso, artistico, da circo dei brasiliani (ma da loro ci si aspetta sempre qualcosa del genere) e quello potente, affiatato, intelligente dei senegalesi (questa è già una bella sorpresa). La Turchia più brava del solito. Ecco tutto.
Lo spettacolo è finito. Il sipario è chiuso. Il calcio ha perso.
…Mi era sembrato giusto concludere il materiale in chiave così triste, prima di vedere la finalissima: non pensavo che potesse cambiare l’impressione generale del Mondiale. Ora vedo che avevo torto: in una partita splendida, in cui si sono contrapposti pragmatismo e imprevedibilità, disciplina e improvvisazione, difesa precisa, ben calcolata e attacco favoloso, hanno avuto fortunatamente la meglio i brasiliani, i creativi che producono spettacoli irrepetibili. Nessuno e niente li potrà sconfiggere, né i calciatori sul campo, né demiurghi dietro le quinte. Il calcio trionfa.
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