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Numero 13(58)
Europa: guerra con l’Iraq?

    Non sarebbe giusto dire che un’eventuale guerra con l’Iraq susciti grande entusiasmo in Europa.
    Anzitutto, l’Europa unita non ha voglia di impegnarsi in un’altra campagna nell’Oriente arabo. Per gli europei, che contano ogni lira, preoccupati del deficit budgetario, un’operazione così costosa è assolutamente sconveniente. I politici europei, poi, non hanno bisogno di staccare l’attenzione dei propri concittadini dai problemi interni, come fa George Bush, la linea generale della propaganda non rileva la responsabilità messianica per il mantenimento della democrazia in tutto il mondo, e infine l’Europa non vuole vendicarsi con nessuno, non avendo un motivo per farlo. Gli europei, inoltre, non sono stati felici nel capire che, a differenza dell’Afganistan, il ruolo della fanteria dovrebbe essere svolto da loro (i curdi che di fatto controllano il nord dell’Iraq difficilmente accetteranno di spargere il proprio sangue per vaghe promesse americane, giacché come Stato non possono essere riconosciuti dagli USA: ciò viene ostacolato dalla Turchia che ritiene che tale Stato potrebbe diventare un faro per i curdi turchi). E poi, figuriamoci se la massa degli europei, sazi e benestanti, senza alcuna voglia di fare il servizio di leva (alcuni Paesi cominciano già a lamentarsi per la mancanza permanente dell’effettivo), desiderano militare sul serio in questa guerra. Inoltre, in molti Paesi dell’UE s’avvicinano le elezioni, e le bare provenienti dalla guerra sarebbero il regalo migliore per l’opposizione.
    L’operazione in Iraq, poi, non porterà all’Europa niente di buono anche dal punto di vista economico. Si fermerà il programma “Petrolio in cambio di prodotti alimentari”, che consente alle aziende europee (gli iracheni non permettono agli americani di partecipare a questo programma per motivi ideologici) di ottenere discreti dividendi; e il nuovo dirigente che darebbe il cambio a Saddam Hussein, con ogni probabilità, sarebbe un amicone degli USA, indipendentemente da quanto attiva fosse l’Europa nello svolgimento dell’operazione mirata all’abbattimento del dittatore iracheno. Quindi, gli europei dovrebbero aggiungere alla perdita degli utili attuali anche la perdita futura del mercato iracheno, sul quale le aziende europee, come quelle sovietiche, occupavano un posto rilevante prima dell’introduzione delle sanzioni.
    L’intervento americano, poi, coi bombardamenti “a tappeto” di qualsiasi centro di resistenza e dei suoi dintorni, e il conseguente caos dopo la caduta di Hussein provocheranno inevitabilmente un’ondata di profughi che si lanceranno, in cerca di una vita più tranquilla, in Europa (chi di loro andrà, infatti, in America, separata dagli oceani?). Il numero di tali profughi potrebbe costituire, secondo varie stime, da 100.000 a 500.000 persone. All’UE, che a ritmi scatenati sta costruendo la propria “muraglia cinese” contro gli immigrati clandestini, manca solo questo… Inoltre gli europei dovrebbero pagare per la reintegrazione delle infrastrutture irachene.
    Non si deve dimenticare, infine, che, secondo numerose comunicazioni dei servizi segreti, in Europa si trova una rete abbastanza forte di servizi speciali iracheni che potrebbero, qualora cominci la guerra, commettere diversi attentati terroristici…

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