Numero 18(63)
Due passi in libreria
Due passi in libreria, cercando ‘La rabbia e l’orgoglio’ di Oriana Fallaci, e l’occhio, sullo scaffale dei saggi dedicati alla politica, cade su un libro firmato da Raffaele ‘Lino’ Iannuzzi: parla dell’assoluzione di Giulio Andreotti.
Evidentemente un istant-book che la sentenza di Appello ha reso obsoleto. Sì, perché l’uomo che è stato tante volte come nessun altro (sette) Presidente del Consiglio e sedici volte Ministro, il 18 novembre scorso in Appello si è visto invece condannare per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli avvenuto il 20 marzo 1979.
Una condanna che ha spinto il quasi ottantaquattrenne condannato (compie gli anni a gennaio), in attesa di leggere le motivazioni della sentenza, a dire “io spero di rimanere vivo fino alla fine, ma 24 anni sono tanti, lo prendo come un augurio di lunga vita! mi credono eterno…” “Buscetta ha raccontato che avrei detto di Badalamenti che, per il bene dell’Italia, di persone come lui ne occorrerebbero 100 in ogni piazza! Ma io queste cose non le direi nemmeno della Montalcini!” (Premio Nobel, ndr)
Ironia della sorte quello di Iannuzzi era un libro scritto da un uomo libero su un uomo a sua volta libero. Oggi, invece, Andreotti è ancora a piede libero, ma condannato, con il rischio di finire dietro le sbarre, e in attesa di rigiocarsi le proprie carte in Cassazione, mentre Ianuzzi è diventato un uomo in esilio volontario. “In Italia mi rivedranno solo morto” ha detto prima di partire per la Francia dove ha riparato per non scontare la condanna a due anni e quattro mesi ormai passata in giudicato che ha spinto il Tribunale competente a spiccare nei suoi confronti un mandato di carcerazione. Sbagliava Jannuzzi, e sbagliava chi lo voleva arrestare. Iannuzzi, infatti oltre che giornalista è Senatore della Repubblica, e la sentenza comminatagli per quanto ha scritto nella sua attività professionale non è eseguibile per una questione regolamentare. Iannuzzi, infatti, è stato eletto in rappresentanza di Forza Italia membro del Consiglio d’Europa e della Comunità Europea Occidentale, organismi cosiddetti di secondo livello, perché vi si è eletti non a suffragio diretto, come nel caso dello scranno che invece il condannato occupa a Palazzo Madama, ma dalle assemblee parlamentari. Peccato che i magistrati ignorassero che se è possibile carcerare un membro del Parlamento nazionale non lo è per un rappresentante delle due sopra citate assemblee sovranazionali se non previo una specifica autorizzazione delle stesse; autorizzazione che, non abbiamo motivo per dubitarne, mai verrà concessa per un reato…giornalistico! Non lo sapeva nemmeno il diretto interessato fino a quando a informarlo del contenuto dell’articolo 15 del Regolamento del Consiglio d’Europa non è stata una telefonata del teutonico Presidente del Consiglio stesso Peter Schieder. A rendere nota la complessa vicenda è stato Giuliano Ferrara, già Ministro dei rapporti con il Parlamento nel Governo Berlusconi I, nel corso della trasmissione ‘8 e mezzo’ in onda ogni sera sull’emittente televisiva La7 cui Iannuzzi, sigaro in bocca, partecipava in collegamento satellitare da Parigi con tanto di Torre Eiffel sullo sfondo. Chissà, forse a Ferrara seccava l’idea di trovarsi coautore di un galeotto: già, perché forse qualcuno -o più probabilmente molti- dimenticano che la prefazione di quel libro sull’assoluzione di Andreotti portava proprio la firma di Ferrara!
Questo per dire come va una giustizia italiana (senza parlare della richiesta di indulto che il Santo Padre ha rivolto alle camere riunite nel corso della sua prima visita al Parlamento Italiano o del caso della grazia ad Adriano Sofri) che nelle ultime settimane è felicemente passata di disastro in disastro. Il primo, tremendo, scossone è venuto proprio dall’inattesa condanna di Andreotti, giudicato mandante di un delitto di cui, però, non si conoscono gli esecutori materiali. Condannato dopo quasi dieci anni insieme al boss mafioso Tano Badalamenti, che per altro se ne sta nel New Jersey a scontare dal 1988 nel carcere di Fairton una condanna a 45 anni per traffico di droga; assolti tutti gli altri. Il tutto in un processo che a Andreotti è costato mezzo milione di euro di sole fotocopie di carte processuali per contenere le quali occorre almeno una stanza di tre metri per tre! Un processo in cui sono state considerate valide le accuse di Tommaso Buscetta ma non le sue successive ritrattazioni, un processo tanto simile a quello altrettanto spinoso di Contrada, poi assolto, e basato sul teorema dell’assoluta veridicità delle affermazioni scambiate fra appartenenti di Cosa Nostra in quanto fra uomini d’onore “non ci si può mentire”, anche se ormai passati a miglior vita come Stefano Bontade.
Che Andreotti sia colpevole o innocente non sta certo ai giornalisti dirlo, anche se in realtà molti, sia davanti ad un microfono che sulla carta stampata lo fanno: vedi un noto editorialista come Massimo Fini arrivato a definire “eversive” le dichiarazioni rese da Berlusconi dopo la condanna.
Il processo era iniziato a Perugia l’11 aprile 1996, e già allora per lui, Badalamenti, Calò e Vitalone era stato chiesto l’ergastolo; e certo ha fatto effetto vedere la succesiva assoluzione per non aver commesso il fatto del ‘99 trasformata ora per bocca del Presidente della Corte d’assise d’Appello di Perugia Lino Gabriele Verrina in una condanna a 24 anni: effetto al punto che una telefonata che il Senatore a vita ha definito “molto significativa” è arrivata perfino dal Quirinale da parte di un Ciampi che in quanto Presidente della Repubblica non poteva certo fare commenti, anche se il fatto stesso che abbia telefonato è un commento di per se stesso. E come lui con Andreotti si sono fatti vivi un po’ tutti, da Francesco Cossiga a Francesco Rutelli, da Marco Follini a Nicola Mancino.
Cominciata male, la vicenda giustizia, è proseguita peggio con l’arresto di una ventina di rappresentanti del Social Forum fra cui il leader dei Disobbedienti napoletani Francesco Caruso da parte della Procura di Cosenza per fatti accaduti non lì, ma a Napoli e Genova! Un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che lo stesso Caruso ha definito per bocca di un suo compagno di lotta “pregiudiziale e ideologica nei confronti di tutto il movimento, dei suoi ideali, delle sue lotte e delle sue idee” anticipando l’intenzione di avvalersi della facoltà di non rispondere nei confronti dei magistrati che volevano interrogarlo. Per tutti gli arrestati, e poi scarcerati, il reato era di ‘associazione sovversiva’, con -come collante- reati di opinione che lo stesso Carlo Nordio, magistrato certamente non di sinistra, e incaricato di presiedere la Commissione per la riforma del Codice Penale ha dichiarato che “molti dei reati per cui quei ragazzi si trovano in carcere nel nuovo Codice che stiamo elaborando non ci saranno più. Con questo non per entrare nel merito delle decisioni assunte da altri magistrati, ma solo per dire che si tratta di reati d’opinione che andavano bene ai tempi del Codice Rocco ma che oggi sono obsoleti. La nostra, beninteso, sarà solo una proposta, poi starà ovviamente al legislatore accettarla, bocciarla o modificarla”.
Reati commessi in altre città e molto tempo fa al punto che viene da chiedersi come mai non ci fosse reato né per il Procuratore di Genova né per quello di Napoli, al punto che Luca Casarini, leader delle Tute Bianche, ospite di un altro salotto televisivo (il ‘Porta a porta’ di Bruno Vespa su RAI 1) è arrivato al punto di chiedere e di chiedersi “cosa succederebbe se venisse fuori che il dossier che ha portato in carcere questi ragazzi avesse girato di procura in Procura cercando magistrati compiacenti?” Succederebbe che, intanto, il Generale Comandante dei ROS dei Carabinieri si è già visto costretto a smentire seccamente la ventilata e ingiuriosa ipotesi di dossier itineranti. Reati d’opinione, al punto che dalla parte dei giottini si è schierato quello stesso Umberto Bossi, Ministro delle Riforme ma, soprattutto, segretario Federale della Lega Nord che aveva definito Andreotti “uomo del passato” e che ha ricordato come, però, la sollevazione dei benpensanti di sinistra fosse scattata per i giovani del Social Forum ma non per quei leghisti che, in passato, si erano visti addossare identici capi di imputazione. Quegli stessi esponenti della sinistra parlamerntare richiamati in coro dai massimi esponenti di Forza Italia “al rispetto del lavoro, dell’autonomia e dell’indipendenza della Magistratura”.
E non è ancora finita! Perché si è avuta anche la prima ripercussione della Legge Cirami sul legittimo sospetto, legge che, secondo Gaetano Pecorella, difensore del Premier in carica e oggi Presidente della Commissione Giustizia della Camera, “ha avuto un iter accellerato anche per l’atteggiamento della Procura della Repubblica di Milano nel corso dei processi a Silvio Berlusconi”. Intanto il processo Imi-Sir / Lodo Mondadori che vede coinvolti lo stesso Berlusconi e Cesare Previti (anch’egli già avvocato di fiducia del Cavaliere nonché membro del suo primo Governo) è stato infatti sospeso fino al 30 gennaio 2003 in attesa di vedere se le Sezioni Unite della Cassazione tre giorni prima di quella data, il 27 gennaio dello stesso mese, accoglieranno la richiesta di trasferimento da Milano a Brescia.
Guai insomma per gli amici di Berlusconi, amici storici come Previti e come Marcello Dell’Utri, fondatore di Pubblitalia. Quest’ultimo (come anche lo stesso Anndreotti i cui guai giudiiziari non terminano certo con la condanna di Perugia) è processato a Palermo, e i giudici che se ne occupano sono andati in trasferta a Roma per ascoltare a Palazzo Chigi proprio il Presidente del Consiglio in base a una formula che lo considera ‘persona a conoscenza dei fatti in quanto imputato per un reato connesso ma archiviato’. Berlusconi, ha spiegato il suo avvocato nonché parlamentare di Forza Italia Niccolò Ghedini, “si è avvalso della facoltà di non rispondere in quanto il suo interrogatorio era legato ad errori valutativi dei magistrati inquirenti”, sia quando gli sono state fatte domande che lo riguardavano personalmente, sia quando ha ricevuto domande che non lo riguardavano spingendo l’ex pm Antonio Di Pietro ad accusarlo di “non aver voluto aiutare la giustizia” con un comportamento, ha detto ancora il leader di Italia dei Valori partecipando a ‘Ballarò’ su RAI 3, “cui aveva tecnicamente diritto, ma dal punto di vista politico rimetto il suo comportamento al giudizio dei cittadini”. Il Segretario dei DS Pietro Fassino, invece, che dopo la condanna di Andreotti aveva detto che “forse è giunto il momento di mettere le mani del legislatore sul sistema della giustizia in Italia” al Premier ha mandato a dire “di non essersi comportato da statista”. Insomma, Berlusconi non ha voluto né rispondere né commentare, e l’ex potentissimo Ministro Paolo Cirino Pomicino, vittima eccellente della stagione di Tangentopoli e oggi anche lui scrittore e giornalista con lo pseudonimo di Geronimo ha ricordato come “anche Chirac in una situazione analoga non rispose”. A difesa del Premier sono intervenuti prima Ignazio La Russa, Presidente dei Deputati di AN, che ha ricordato come Berlusconi “si sia avvalso di una facoltà comune a qualunque cittadino italiano” e poi Pecorella che ha giudicato la scelta di Berlusconi “politicamente insindacabile, anche perché forse era un interrogatorio che voleva creare un caso politico”. Sempre Pecorella ha poi accusato Di Pietro “di voler trasformare la giustizia in una questione da stadio”: stadio no, ma arena televisiva sì, e non abbiamo citato a caso i vari talk-show in cui si fanno processi mediatici non solo al sistema giudiziario, ma anche agli stessi individui, siano gente comune che ammazza figli o genitori, siano politici del presente come Berlusconi o del passato come Pomicino…
Non importa che l’Italia affondi sotto il maltempo, che la gente venga sfollata perché si ritrova in casa un metro d’acqua, che i fiumi esondino, che le montagne franino: quando ci si sarà stancati della giustizia c’è già pronto un bel litigio su Federalismo e Devolution, senza contare una RAI tutta da analizzare fra dimissioni dal CDA e cavilli legali.
Si può andare avanti così? tornando alla televisione, e per dirla con i comici Ezio Greggio ed Enzo Iacchetti: “si può si può, ceeeerto che si può!”
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