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Numero 1(65)
Investitori: protagonisti o vittime
Marital: una storia che fa riflettere


    Dopo aver vissuto la perestrojka e dopo aver affrontato i nuovi rapporti di mercato, prima sconosciuti e incomprensibili, la Russia, nonostante che avesse un forte potenziale intellettuale e un territorio enorme, ricco di risorse naturali, fu comunque estremamente interessata agli aiuti dall’estero, per realizzare uno sviluppo rapido e per conquistare un posto nella comunità internazionale, che corrispondesse, almeno, al suo proprio passato. A parte gli investimenti finanziari, necessari in quel momento, all’incremento della produzione nazionale dovevano contribuire attrezzature straniere e soprattutto tecnologie che si accumulavano, nel lavoro, svolto da decenni, in una dura concorrenza, nei Paesi industrializzati, come la Francia, la Germania_ gli USA, ecc. Proprio per questo, dalla fine degli anni 80 ai primi anni 90, i funzionari russi andavano spesso all’estero, per attirare in Russia imprenditori stranieri con i loro investimenti e con le loro tecnologie moderne e costose.
    Fu uno di questi imprenditori l’italiano Gianfranco Bogino. Essendo consulente dell’Associazione di industriali di Vicenza “Artigianexport”, che unisce più di 18.000 piccole e medie aziende del Nord, il signor Bogino, nel 1990, insieme a molti colleghi che volevano aiutare la Russia, partecipò alla fiera internazionale “Consumexpo”. I prodotti della “Bogino Gianfranco”, articoli di pelle e montoni rovesciati, piacquero ai rappresentanti della Repubblica autonoma socialista russa dei Mari, che proposero al giovane imprenditore di creare una società mista, finalizzata a conciare pelli di pecora e confezionare shearling. In seguito alle trattative lunghe e difficili, nel 1991, le parti si misero d’accordo sulla creazione di una società mista russo-italiana “Marital” (fabbrica), in cui il 50% del Capitale statutario sarebbe appartenuto alla ditta “Bogino Gianfranco” e l’altro 50%, allo Stato russo, rappresentato dal Comitato statale per i beni della Russia; nel 1999, la quota russa, dopo la nuova registrazione, passò al Ministero per i beni pubblici della Repubblica dei Mari-El (RME). La parte russa investì nella società mista i fondi capitali del complesso produttivo mezzo morto “Marijski”, e la parte italiana vi collocò attrezzature, soldi, tecnologie.
    Dopo aver ottenuto investimenti necessari, l’impresa si mise a crescere, fece un forte balzo in avanti e si inserì discretamente nel mercato moderno. La fabbrica, una delle più grosse nel suo settore, ebbe il titolo “Leader dell’economia russa”, diventando un fiore in occhiello dell’economia russo, collaborò bene con il Comitato statale delle dogane della FR. E il Servizio doganale della RME, dieci anni fa, iniziò la sua storia e il suo sviluppo da una piccola camera che occupava proprio presso la “Marital”. Inoltre, in una delle regioni più povere della Russia, la fabbrica dava lavoro a più di 500 persone.
    Nel corso di 11 anni, il signor Bogino da solo tirava avanti la “Marital”, praticamente senza ricevere alcun aiuto dal suo partner, cioè dallo Stato russo. In questi anni, a parte la costante partecipazione personale, il sig. Bogino ha investito nella fabbrica 11 milioni di dollari fra investimenti, fatti con attrezzature, tecnologie e soldi, il che è confermato dai documenti firmati e registrati. In questo periodo, si sono succeduti 4 presidenti della Repubblica, e, nonostante tutte le difficoltà, compresa la crisi del 1998, dopo la quale nella RME si erano chiusi quesi tutte le imprese, la Fabbrica continuava a lavorare. Nel 2000, malgrado la mancanza degli utili, la Fabbrica versò al budget tutte le imposte dovute: 5.350.000 rubli.
    Ma per il fatto che i suoi prodotti sono stagionali, da usare solo nel periodo freddo dell’anno, e per la qualità poco soddisfacente del pellame russo, arrivante nei mesi estivi, la Fabbrica provava ogni anno difficoltà nella vendita dei suoi prodotti. Il sig. Bogino, essendo un uomo energico e determinato, cercava continuamente le possibilità supplementari che consentissero di assicurare alla fabbrica un lavoro. Riuscì ad ottenere per l’impresa le commissioni da parte delle ditte occidentali così famose come “ROBERTO CAVALLI”, “DAINESE”, “GIORGIO ARMANI”, “LA MATTA”, ed altre. Le commissioni furono eseguite con successo dal personale competente, addestrato dallo stesso Bogino.
    Verso l’inizio del 2001, in seguito alle lunghe trattative e dietro la sua garanzia personale, l’imprenditore italiano che gode di un gran prestigio e rispetto fra gli esperti non solo del suo Paese, ma anche in Europa, riuscì a trovare investitori potenziali, disposti ad investire nella “Marital” mezzi necessari ed attrezzature per l’introduzione di nuovi prodotti, la quale consentirebbe alla fabbrica di colmare le lacune della stagione estiva.

La nuova politica economica di Leonid Markelov, il presidente della RME
    A gennaio del 2001, nella repubblica Mari-El cambiò il potere. Il seggio del presidente fu occupato da Leonid Markelov, che aveva i propri impegni e debiti nei confronti degli sponsor della campagna elettorale e i propri atteggiamenti, e, come no, anche nei confronti di questi stranieri in Russia... Avviando il processo della così detta “sanazione dell’economia”, Leonid Markelov, in aprile del 2001, parlando ai giornalisti e lamentandosi della rovina economica, ha affermato: “Facciamo un esempio della società mista “Marital”, in cui il 50% di azioni appartiene ad un italiano. Lui non investe soldi nell’impresa. Gli stipendi degli operai sono bassi, la produzione non si sviluppa, e noi non possiamo neanche cambiare direttore. Gli ho proposto di vendere la sua quota al proprietario reale... Per riassestare la repubblica, bisogna sostituire il proprietario. E’ l’unico metodo possibile, in cui siamo impegnati adesso”. Tutto è espresso in modo così semplice e schietto: si capisce subito, di che cosa si tratta: di un’altra ridistribuzione della proprietà, quella degli altri. Entrambe quote nella “Marital”, infatti, sono degli altri: una dello Stato, l’altra, peggio ancora, di qualche italiano. E se è facile mettersi d’accordo con il detentore della prima quota, quella dello Stato, presentato del Ministero dei beni pubblici della RME, con il possessore della seconda, in tal caso, è possibile non concordare niente, anzi non prenderla in considerazione. Voi potreste chiedere: ma come? Naturalmente, “in pieno rispetto della legge”. Se non si può operare rudemente, a viva forza, è possibile usare una legge, quella “Sull’insolvenza (sulla bancarotta)”.
    Per non stancare coloro che leggeranno quest’articolo con i dettagli della bancarotta “commissionata” di un’impresa stabile, soffermiamoci solo sui suoi momenti più “interessanti”. Come abbiamo rilevato un po’ sopra, la Fabbrica ogni anno stentava a vendere i suoi prodotti nel periodo estivo e di conseguenza non riusciva a pagare le tasse in questi mesi: il fisco, purtroppo, non tiene conto delle caratteristiche individuali delle aziende. In Russia esiste il Servizio federale per la sanazione finanziaria (FSFO). Fu creato quando sorsero le aziende private, e il Servizio, come segue dallo stesso suo nome, doveva impegnarsi nella sanazione di esse, cioè nell’assistenza e nella sanazione, quolora esse affrontassero difficoltà economiche. Così almeno si concepiscono gli impegni di quest’organismo in tutto il mondo. Ma in Russia si può fare a meno di curare un “malato”. Allora morirà, e il letto si libererà. Ma è possibile anche “dargli una mano”, e allora il suo posto si libererà più presto.
    Sembra che avendo proprio questo concetto dei suoi impegni e del suo dovere, il sig. Zefirov, il responsabile della FSFO per la RME, violando alcune norme di legge, a giugno del 2001, presenta alla Corte d’arbitraggio della RME un’istanza a carico della Società mista “Marital”, chiedendo di riconoscere la bancarotta, per l’arretrato di tasse di 3,2 milioni di rubli. Nel magazzino, intanto, ci sono prodotti finiti, cui prezzo complessivo ammonta a quasi 12 milioni di rubli (!). La causa finisce subito tra le mani della giudice L. Skocilova, grand’esperto di tali problematiche, la quale, senza richiedere documenti ed azioni, volute dalla legge in questo caso, dà il via al procedimento giudiziario e mette in moto un meccanismo già sperimentato con altre aziende, per mezzo del quale la “Marital”, contraraimente al buon senso e all’interesse economico del Paese, senza parlare della repubblica e dei proprietari, viene portata alla bancarotta vera e propria, per “venderla” a chi si deve. Visto che, in seguito, le violazioni della Legge succedono praticamente a ogni passo, per realizzare con successo la “sanazione” progettata si coinvolge tutta la risorsa amministrativa del potere nella repubblica: la Procura, il Ministero degli interni, altre corti, organi fiscali, “giornali fedeli”, ecc.
    Per prevenire la bancarotta, il sig. Bogino si fa aiutare da un investitore privato, un imprenditore russo che, rendendosi conto del rischio di investimento in tale situazione, ma volendo salvare la Fabbrica, stipula un Contratto di aiuto finanziario con la Marital, per l’importo di 3 milioni di rubli, concordandolo per iscritto con il direttore interinale. Lo stesso investitore, successivamente, si fa dire dall’ispezione fiscale, dove dovrebbe versare i primi 2 milioni di rubli. Gli esattori delle imposte, che non capiscono ancora il concetto della “sanazione” della Marital, generato dai funzionari, suggeriscono, quale potrebbe essere il miglior stanziamento dei soldi. Infatti, 2 milioni di tasse anche per la Mosca ricca sono parecchi, figuriamoci per la povera repubblica dei Mari-El, sovvenzionata all’80%! L’investitore, alla prima riunione di creditori, che segue, si pronuncia contro la bancarotta della Fabbrica e si schiera a favore della candidatura del direttore esterno, proposta dal Comitato statale per le dogane della Russia. Visto che, durante la procedura della bancarotta, a nessuno in Russia verrebbe nella mente di pagare le tasse, sapendo che in pratica non le paga mai nessuno, indipendentemente dal risultato della sanazione, tali azioni poco comprensibili della parte italiana, che ragiona e pensa appunto in modo sano, fanno traballare per un po’ lo scenario concepito. Ma tutti, riavendosi assai presto, continuano a “sanare” la Fabbrica con raddoppiate energie.
    L’amministratore estrerno e l’ispezione fiscale che hanno fatto l’unica mossa sana e legale nel corso della “sanazione”, vengono puniti. L’amministratore, senza adire le vie legali, cancella l’investitore dall’elenco di creditori. L’ispezione fiscale comunica che non riconosce più 2 milioni di rubli, i quali, in conformità al certificato del fisco, sono già stati versati in tutti i fondi budgettari ed extrabugettari, e che la Fabbrica continua a doverle questa cifra. Vi si aggiungono penali, multe, ecc. I soldi, intanto, non sono restituiti all’investitore.
    Ora il treno va avanti senza fare fermate. La giudice Skocilova esegue onestamente l’ordine avuto, senza tener conto di alcune sciochezze, come violazioni continue della Legge. Dall’inizio della “sanazione” sono ormai passati due anni. In questo periodo si sono succeduti 5 (!) amministratori arbitrali “competenti”, tutti raccomandati da S. Zefirov, il responsabile del Servizio federale per la sanazione finanziaria per la RME. Nessuno di loro aveva qualsivoglia progetto di ricostruzione della Fabbrica, dello sviluppo dei contatti d’affari, dell’attrazione di investimenti. Ma ciascuno, realizzando onestamente il compito affidatogli, portava, nei limiti del possibile, il proprio contributo alla distruzione della Fabbrica. Il contributo maggiore è stato dato da E. Jufferev, l’ex direttore della Fabbrica, licenziato nel 1996 per aver lavorato male e per aver arrecato danni e perdite all’azienda. Lui ha fermato del tutto il lavoro della Fabbrica, privandola dell’elettricità e dell’acqua, mandando in vacanze gli operai, cancellando dal registro i principali creditori che avevano il 96% di voti, e approvando, con il 4% che restava e con l’appoggio di Zefirov, le mosse, necessarie per lui stesso e per i “committenti” della bancarotta. Secondo l’informazione ufficiale, le perdite della Fabbrica, nel periodo in cui è stata diretta da E. Juferev, dal 1.03.02 al 26.04.02, cioè in meno di due mesi, sono ammontate a 1.587.600 rubli.
    Il quinto amministratore, A. Leontiev, poi, ha iniziato la sua parte della “sanazione” dall’inventario, nel corso del quale ha scoperto un furto del pellame per l’importo di 600.000 rubli (20.000 dollari). Ma il Ministero degli interni della repubblica, nonostante che il caso sia molto semplice, non ha fretta di risolverlo. Per ora è stata castigata solo l’anziana responsabile del magazzino.
    In questo modo, la ripresa economica della repubblica, operata tramite la sostituzione del proprietario della società mista “Marital”, e proclamata dal presidente della RME Markelov, ha portato dei risultati rilevanti. In un anno e mezzo della “sanazione”, operata da cinque amministratori d’arbitraggio del FSFO per la RME, il debito complessivo dell’azienda è ammontato a più di 22 milioni di rubli, il debito verso il fisco, senza penali e multe, da 3,2 milioni di rubli nel 2001, è aumentato fino a 7 milioni di rubli verso la fine del 2002. Sono stati persi quasi tutti i contatti con i fornitori del pellame, con il Comitato statale per le dogane che era un importante datore di lavoro per la Fabbrica. Si sono rotti pure i contatti, stabiliti con tanta fatica dal sig. Bogino, con le importanti società occidentali, cooperando con le quali la Marital poteva conquistare un prestigio internazionale. Le attrezzature costose, per la concia, stanno diventando inservibili. Dalla fabbrica si sono licenziati i lavoratori più bravi, il cui addestramento era costato soldi e tempo. Quasi 400 operai sono rimasti senza lavoro a causa della nuova politica economica nella repubblica dei Mari-El. E far ripartire l’azienda che negli ultimi 18 mesi, nelle condizioni della dura concorrenza, è rimasta indietro di qualche anno e ha accumulato dei debiti enormi, è una faccenda praticamente irrealizzabile e insensata per l’imprenditore italiano. Troppi investimenti ci vorrebbero per farlo.
    Lo scopo, come ora si capisce, fin dall’inizio è stato semplice: portare la Fabbrica al fallimento e rivenderla a “chi si deve”. Il meccanismo di tale rivendita era stato già “collaudato” con altre aziende. Un estraneo deve comprare, a costo reale, cioè, oggi come oggi, per 22 milioni di rubli, i debiti della Fabbrica. E l’“amico” potrà farlo praticamente per un tozzo di pane. Sulla carta, poi, tutto sembrerà operato secondo la legge, ma in fin dei conti nessuno riceverà niente. Altrimenti, che senso ha aumentare fino a dimensioni assurde i debiti della Fabbrica, se dopo li dovrai pagare tu stesso? Molto probabilmente, la Marital era stata “venduta” già nel periodo della campagna elettorale. E se si deve regolare i conti, bisogna dare almeno i muri e, in questo modo, portare a termine la “sanazione” iniziata, anche a costo della sparizione totale dell’azienda, soprattutto, se c’è qualcuno che non ubbidisce, come gli altri, ma cerca di lottare per i propri diritti ed investimenti.
    In questo periodo, l’imprenditore italiano, con gli altri creditori straordinari, ha partecipato a più di 40 sedute della corte nella repubblica dei Mari-El, ha scritto una quantità enorme di reclami a tutte le autorità possibili. Dall’Amministrazione del Presidente Putin, tutti lo mandano alla Procura della FR. La Procura informa che tutto procede secondo la legge. Il Ministero per lo sviluppo economico e per il commercio propone di adire le vie legali, per difendere i propri interessi. Alle lettere preoccupate dell’ambasciatore italiano in Russia sig. Bonetti, indirizzate a Leonid Markelov, si risponde che tutto si fa nel pieno rispetto della legge e all’interesse dei creditori straordinari; Serghei Kirienko non risponde affatto; Mikhail Kassianov suggerisce di continuare ad adire le vie legali. La Corte d’arbitraggio Superiore ce la fa ad esaminare i reclami pervenuti nel corso di 5 giorni (!), senza trovare alcuna trasgressione della legge. La direttrice della FSFO della Russia, sig-ra Trefilova non reagisce a numerosi reclami contro le azioni del suo dipendente Zefirov e dei suoi amministratori. Ma forse il potere aspetta che lo lascino in pace e si stufino a scrivere?
    In Russia c’è una “Legge sugli investimenti stranieri” che prevede la loro salvaguardia. Inoltre, esistono le Corti internazionali per i diritti umani a Strasburgo e l’Arbitraggio Superiore a Stoccolma. L’imprenditore italiano, che è venuto nella repubblica dei Mari-El su invito della parte russa e che ha messo 11 anni di vita e gli investimenti nello sviluppo dell’azienda, la quale in tutti questi anni si trovava e pagava le tasse sul territorio russo, ha intenzione di poratre a termine la faccenda. Emerge una domanda logica: ma forse è proprio questa la politica vera della Russia, nascosta fra flussi di parole e inviti a portarci investimenti stranieri? Oppure il potere superiore è assolutamente impotente di combattere l’arbitrio dei governatori regionali? Ma allora Silvio Berlusconi, come gli altri dirigenti europei ed americani devono far sapere onestamente ai loro imprenditori, invitati ad investire in Russia, che farlo è pericolosissimo, e che forse è meglio non farlo affatto. Infatti, anche la legge sulla bancarotta, approvata poco fa, non riesce a proteggere i loro investimenti in un conflitto come questo.
    Nell’articolo “Bancarotta alla russa, vista dai manager occidentali”, scritto in aprile dell’anno scorso, Andrew Sommers, Presidente della Camera di commercio americana in Russia, ha rilevato che “la direttrice della SFSF della Russia Tatiana Trefilova ha detto apertamente che, secondo le sue informazioni, un terzo di bancarotte nel 2000, erano state commissionate... E gli stranieri non vanno in Russia, finché vi esistano i giudici che per trenta denari sono disposti a dichiarare bancarotta anche la propria mamma”. E un imprenditore britannico ha aggiunto che “finché non vedo che le occupazioni di aziende russe per mezzo di bancarotte false sono finite, non do neanche un penny”.
    Chi, allora, risponderà per i danni enormi economici e morali, subìti dall’imprenditore italiano, e chi li pagherà? Il Governo della poverissima repubblica dei Mari-El, che per conseguire il suo obiettivo ha rifiutato addirittura di due mioni di rubli di tasse legalmente pagate nel suo budget (senza restituirli, però)? Oppure il Governo della Russia dovrà pagare per la politica economica autonoma dei governatori regionali? Ma qualcuno dovrà pur risarcire il danno. Il caso ha già avuto una vasta risonanza internazionale. Gli imprenditori italiani in Russia si sono schierati a favore di Gianfranco Bogino, perché la soluzione giusta di questo problema e la punizione di coloro che hanno colpa della distruzione del business e del danneggiamento operato nei confronti del loro connazionale servirà da una garanzia reale della protezione degli investimenti di ciascuno di essi in Russia. Stanno preparando lettere, relative a questo problema, che saranno inviate al Presidente della Russia Vladimir Putin, al Premier italiano Silvio Berlusconi e al Presidente della Commissione Europea Romano Prodi.

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