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Numero 3(67)
Torna la censura in America

    Non sono solo i diplomatici a parlare dell’ imminenza di una guerra in Iraq. Durante il periodo in cui la situazione sta sull’orlo del conflitto militare, delle dichiarazioni pubbliche, ne sono state fatte tante. Le proteste particolarmente accese sono fatte dagli umini di cultura deri paesi diversi. I servitori delle muse di solito sono unanimi: i premi Nobel, gli attori di Hollywood, gli scrittori si schierano contro la guerra. Si vede, del resto, che il peso politico di tali dichiarazioni e’ in pratica nullo: non hanno alcun effetto sul comportamento di Washington.
    Anzi, l’attivita’ pacifista ha evidenziato l’atteggiamento vero dei Governi degli USA e dei loro alleati nei confronti della liberta’ d’espressione. Il fatto che qualcuno ignori l’opinione pubblica, e’ in fin dei conti un male rimediabile, ma i Paesi i cui leader sono favorevoli alla soluzione militare del problema iracheno cominciano ad introdurre un cesura vera e propria. Qui sotto ne portamo qualche esempio.
    Ai primi di febbraio, Laura Bush, la first lady statunitense, ha disdetto una riunione di poesia, alla quale era stata appunto lei ad invitare i maggiori poeti del Paese. Spiegando i motivi della propria mossa, la first lady ha detto che qualcuno degli ospiti intendeva usare il convegno per criticare la politica di suo marito. Laura Bush ha detto di non voler trasformare un’iniziativa letteraria in un forum politico. Il simposio doveva svolgersi il 12 febbraio del 2003, con il motto: “L’arte politica e la voce dell’America”. In risposta i poeti, privati del podio, hanno designato il 12 febbraio come “Giorno della poesia contro la guerra”. In tutto il Paese, i poeti hanno recitato le loro poesie antimilitariste.
    Poco fa, il famoso attore americano Sean Penn ha dichiarato che per i suoi interventi contro la guerra in Iraq e’ stato privato di una partecipazione con lauto compenso al film “Perche’ gli uomini non devono sposarsi”. Secondo quanto scrivono i giornali americani, Sean Penn accusa il produttore Steve Bing di “aver fatto ricorso all’esperienza dei tempi bui, di quando ad Hollywood esistevano delle “liste nere”.
    E in Spagno il premio Nobel Guenter Grass e’ intervenuto alla conferenza stampa a Madrid, condannando la posizione delle autorita’ spagnole che sono a favore della guerra con l’Iraq. Ha detto che il Governo “agisce contro le norme democratiche, trascurando l’opinione della stragrande maggioranza dei cittadini spagnoli”. Infatti, secondo i sondaggi, il 92% degli spagnoli si schiera contro la guerra. Grass che in Spagna viene definito “la coscienza d’Europa”, ha sostenuto di essere orgoglioso della posizione assunta nei confronti della crisi irachena da Germania e Francia.
    Quanto ha detto Grass e’ stato trasmesso dai mass media indipendenti, ma i dirigenti delle radio pubbliche hanno vietato di trasmettere l’intervento dello scrittore. Questo fatto e’ stato percepito dal sindacato dei giornalisti come una ripresa della censura franchista.
    Come si vede, il pressing non si realizza direttamente. Le autorita’ non partecipano direttamente all’ imposizione del “politically correct”, tutto appare come una manifestazione spontanea del patriottismo troppo zelante di singoli cittadini ed organizzazioni. Un ruolo particolare e’ assunto dai mass media che sono coinvolti per primi nella lotta. Eccone un esempio. La fine di febbraio e’ stato segnato da due grossi eventi nel mondo della musica: a Londra venivano conferiti i premi musicali britannici Brit Awards, e a New York, i premi dell’Accademia nazionale della registrazione su dischi Grammy.
    Nella sala londinese Earl’s Court, la cantante Ms Dynamite, che ha avuto due premi Brit Awards, ha cantato durante la cerimonia una nuova versione della canzone di George Michael “Faith”. La versione della Dynamite contiene le parole seguenti: “Non voglio piu’ veder morire i bambini. Protesto. Mi sentite? Solo Dio puo’ togliere la vita. Non voglio avere le mani insanguinate”. Chris Martin, il cantante del gruppo Coldplay che pure ha ottenuto due premi Brit, ha detto, appena comparso sul palco dell’Earl’s Court: “Questo premio non ha senso, dato che moriremo tutti se nessuno ferma George Bush”.
    Ma alla cerimonia americana, svoltasi tre giorni dopo, gli organizzatori si erano preparati in anticipo. Il telecanale CBS, coproduttore dello show, ha promesso di staccare i microfoni a coloro che avrebbero osato menzionare la guerra in Iraq. Di conseguenza, i cantanti americani si decidevano solo ad augurare la pace a tutti i presenti, come hanno fatto il rapper Eminem, Bonny Wright che ha invitato a “costruire la pace e non degli enigmi” e Sheryl Crow che ha riportato sulla tracolla della chitarra la scritta “No alla guerra”.
    Un’azione piu’ radicale, ma anche piu‘ discutibile e‘ stata svolta dal gruppo russo “Tatu‘” che domina gli hit-parade britannici e le notizie scandalose. Le due ragazze che ne fannno parte sono apparse sul palco, durante lo show importantissmo della NBC “Jay Leno‘s Tonight Show”, con le magliette, sulle quali c’era un’espressione oscena in russo che si potrebbe tradurre in italiano “Guerra, vaffanculo”. Lo slogan antimilitarista, del resto, poteva essere compreso solo dal pubblico russo, e solo esso poteva apprezzare l‘uso del lessico tabu’: come e’ noto, in inglese il lessico osceno da tempo e‘ di uso comune. In questo modo, l‘azione delle “Tatu‘” e‘ andata in onda liscia. Questa sortita, poi, sa un po’ di un’azione di PR, inventata da chi costruisce l‘immagine del duetto russo, ed e‘ ben lontana dal pacifismo sincero che coinvolge ormai quasi tutti gli uomini e le donne di cultura del mondo, che lottano contro il pericolo rappresentato dalla tendenza al “politically correct”.

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