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Numero 1(92)
La rivolta dei pensionati mostra la debolezza
del potere e l’isolamento di Putin


    Fin dall’inizio della sua presidenza, Vladimir Putin è stato impegnato nella costruzione di un verticalismo governativo, sopprimendo con decisione qualsiasi tentativo di resistenza. È lecito ricordare alcune fasi di questo processo.
    Nel 2000, i leader regionali sono stati privati di una parte considerevole della loro autorità: il Consiglio della Federazione, da un club di Governatori è diventata un’arena per lobbysti di mestiere, mentre in diverse regioni i Governatori hanno cominciato ad essere sorvegliati dai rappresentati plenipotenziari del Presidente. L’eliminazione protrattasi per alcuni anni dell’impero dei media appartenente a Berezovskij e Gussinskij, due oligarchi in opposizione al Cremlino, ha comportato in sostanza una “sterilizzazione” dello spazio televisivo, in cui non sono rimasti canali importanti non controllati dal potere. L’attacco alla YUKOS, iniziato nel 2003, ha stroncato i tentativi della grande impresa di opporsi significativamente al potere. E, infine, “la riforma di settembre” di Vladimir Putin, che introduceva le nomine dei Governatori e le elezioni dei deputati in base ai soli elenchi dei partiti, con l’innalzamento della percentuale minima necessaria per passare alla Duma fino al 7%, doveva spazzare via definitivamente qualsiasi opposizione e fornire al Presidente in carica il potere assoluto.
    Ma più progrediva la costruzione della “verticale del potere”, meno fiduciosa diventava la popolazione nei confronti di questo stesso potere, e più si riduceva il numero di canali attraverso i quali il Presidente stesso poteva relazionarsi direttamente alla popolazione. Naturalmente, la scomparsa dell’opposizione, e quindi dei controlli, ha permesso alla corruzione nell’apparato statale di proliferare. Di conseguenza, mentre Vladimir Putin era sicurissimo del sostegno popolare nei suoi confronti, il 96% degli intervistati nel corso degli ultimi sondaggi ha detto di non avere fiducia nel Governo. I funzionari intanto hanno dedicato sempre meno risorse ed energie alla preparazione psicologica della popolazione alle previste, poco popolari riforme.
    I primi indizi dell’imminente crisi di fiducia si sono verificati peraltro già nell’autunno scorso, quando la gente, smaniosa di conoscere la verità, aveva preso d’assato la residenza del presidente di Karaciaevo-Cerkesija, il genero del quale era stato accusato di aver ucciso sette persone, mentre nella vicina Ossezia del Nord, i parenti delle vittime della tragedia di Beslan si erano scagliati contro il presidente Dzassokhov, accusandolo di mistificazione. Ma tali iniziative, come del resto quelle intraprese dagli abitanti della Cecenia e del Dagestan - i quali bloccavano regolarmente il traffico sull’autostrada Rostov-Baku, protestando contro la corruzione o contro le sparizioni di persone - erano state interpretate dai funzionari solo come una manifestazione del “costume locale” del Caucaso, regione in cui le masse popolari vengono strumentalizzate nei conflitti tra diversi clan. Non si era giunti ad altre conclusioni.
    Poi, a gennaio abbiamo visto la popolazione autogestirsi: decine di migliaia di persone, i cui interessi sono stati lesi dalla monetizzazione delle agevolazioni sociali, non vedendo da parte del potere e dei partiti politici esistenti nessuna reazione alle proprie proteste sono scese in piazza, e si sono messe a bloccare le strade centrali delle città e a picchettare le sedi degli organi del potere. Dopo un po’ ai pensionati in protesta si sono uniti i giovani e gli esponenti dell’opposizione politica, e i comizi con slogan economici si sono trasformati in manifestazioni politiche. In tal modo, si sono rivelati inaspettatamente erronei tutti i discorsi relativi all’apoliticità e alla docilità della società russa.
    Il Governo, da parte sua, ha manifestato panico e una sorprendente debolezza. I funzionari e i parlamentari membri del partito “Russia Unita” si sono scaricati a vicenda le responsabilità, senza toccare però il Presidente, il quale, tutto sommato, era stato il primo promotore della monetizzazione. Cercando di sedare il tumulto, il quale, a dire la verità, non ha poi riunito tantissime persone, le autorità si sono messe a cercare di “spegnere il fuoco” procedendo al versamento delle compensazioni monetarie, il che non ha fatto che provocare ancora di più i pensionati. Ne potrebbe derivare un’inflazione molto alta, e la vanificazione di tutti i progressi economici fatti dal Governo in questi ultimi anni. Va rilevato che l’ex Presidente russo Boris Eltsin, capitato in situazioni assai più complicate, preferiva, invece di retrocedere dar battaglia, oppure almeno minimizzare gli effetti dei danni.
    Un’altra realtà messa in luce dalla “rivolta dei pensionati” è l’isolamento di Putin. Nessuno, fra politici autorevoli o opinione pubblica si è schierato a favore della riforma, tutto sommato, giusta e utile. È emerso quanto il regime instaurato dal Presidente grazie alla sua popolarità sia in realtà molto fragile. Coloro poi che potrebbero supportarlo, cioè i gruppi liberali e di centrodestra, sono stati esclusi dalla grande politica dalla così detta “ala di forza” (polizia, difesa, servizi segreti) dell’entourage presidenziale. Gli stessi esponenti di quest’ala si sono mostrati incapaci di organizzarsi per dare un sostegno significativo a favore di qualsiasi iniziativa del Presidente.
    Può darsi che i tumulti di gennaio costringano il potere ad aprire un po’ quel pugno in cui tiene attualmente il Paese. E i leader di queste manifestazioni di protesta (naturalmente, se sono giovani) potrebbero diventare quella nuova generazione di politici d’opposizione, la cui comparsa si attende ormai da alcuni anni.

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