Numero 1(92)
Bilancio 2004: INVOLUZIONE
Politica interna russa inintellegibile. Inquietudini e perplessità all’estero, e timore del “ritorno dell’Impero”, mentre gli investitori battono prudentemente in ritirata.
Negli ultimi mesi, gran parte dei mass media occidentali si sono scagliati sulla politica russa e sui cambiamenti che si stanno verificando in Russia.
Ciò è dovuto non tanto al fatto che questi siano in contrasto con i principi della democrazia, quanto al fatto che gli osservatori stranieri non riescono piú a capire quale linea politica venga seguita dalle autorità russe.
Nel corso del primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, i partner esteri di quest’ultimo avevano finalmente intravisto la possibilità di instaurare dei rapporti solidi con un Governo stabile e affidabile, cosa che era stata impossibile all’epoca di Eltsin. Il nuovo Presidente aveva proposto ai colleghi occidentali una partnership politica che aiutasse a risolvere molte questioni, e in particolare, la lotta contro il terrorismo; il che, all’inizio della guerra in Iraq si era rivelato di vitale importanza per i Paesi partecipanti alla coalizione antiterroristica. In cambio, i Paesi industrializzati manifestavano una certa indulgenza nei confronti dell’irrigidimento del potere statale in Russia, necessario per il ripristino dell’ordine. Ma gli eventi del 2004, cioè del primo anno del secondo mandato del Presidente russo indicano una notevole trasformazione della politica russa.
Nomina dei governatori
La tragedia di Beslan ha comportato un inatteso cambiamento di rotta al Cremlino. Poco dopo la drammatica conclusione dell’evento, Vladimir Putin ha presentato un programma di lotta al terrorismo imperniantesi su un nuovo sistema di nomine dei governatori regionali effettuate da parte del centro federale. Anche se nel programma formalmente il principio di eliggibilità viene in parte rispettato (in particolare, la candidatura di un governatore dovrà essere confermata dal potere legislativo locale), i cittadini potranno votare per i politici solo in occasione di elezioni federali e municipali. Da una parte, è comprensibile il desiderio da parte delle autorità di risparmiare, anche perché, come dimostrano le affluenze, alle elezioni partecipa solo la metà della popolazione. Ma dall’altra parte, essendo le scarse affluenze alle urne cartina al tornasole della delusione dei cittadini e della mancanza di fiducia nella propria importanza per quanto riguarda l’andamento della politica in Russia, la decisione di nominare i governatori comporta un indebolimento di quella democrazia che è prerogativa di ogni società civile.
La rimozione dell’eleggibilità dei governatori, dal punto di vista dei politici e degli osservatori occidentali è un abbandono dei principi democratici e un tentativo di ricostruire una macchina burocratica simile a quella che permetteva di dirigere il Paese all’epoca dell’Unione Sovietica. In questo modo, la decisione del Cremlino è stata avvertita all’estero come un passo verso la ricostruzione di un apparato statale poco efficiente, che potrebbe, in futuro, compromettere le basi della crescita economica in Russia.
Pretese fiscali
Un altro punto importante della serie di incomprensioni insorte è la faccenda della Vympelkom, società dell’Alfa-group che è stata recentemente oggetto di nuove pretese fiscali nel dicembre del 2004. Fino a quel momento, la comunità internazionale considerava la situazione della Yukos come l’evoluzione di un conflitto interno tra un grosso gruppo imprenditoriale e il potere. Il punto di vista, secondo il quale Mikhail Khodorkovskij avrebbe pagato nel modo che sappiamo per le sue amibizioni politiche dominava incontrastato nella stampa estera. Ma l’operato degli organi fiscali negli ultimi mesi ha messo in forse la validità di questa teoria.
Le pretese nei confronti dell’Alfa-group, che non ha mai manifestato ambizioni politiche, rimanendo estranea a partecipazioni dirette alle dinamiche del potere fanno pensare ad un tentativo da parte dell’apparato statale di risolvere con l’uso della forza un conflitto di natura imprenditoriale. In particolare, secondo molti, la presentazione delle pretese fiscali sarebbe dovuta ai problemi sorti tra gli azionisti dell’Alfa e le strutture legate a Leonid Reiman, il Ministro per le Tecnologie informatiche e le Comunicazioni. Se cosi realmente fosse, significherebbe che lo Stato non è arbitro e osservatore imparziale rispetto ai gruppi imprenditoriali, ma piuttosto un partecipante attivo che persegue i propri interessi nel campo del business, una cosa inammissibile in un’economia di mercato.
Un altro caso significativo si è verificato nel 2004 con la società Mechel, alla vigilia della privatizzazione del 24% delle azioni del Complesso siderurgico di Magnitogorsk. La Mechel intendeva acquistarle, ma proprio in quell’occasione le sono state avanzate pretese fiscali relative agli anni precedenti, il che ha ribaltato il rapporto di forze esistente prima dell’asta e probabilmente ha costretto la Mechel ad uscire dal capitale dello Stabilimento di Magnitogorsk. E anche se più tardi è venuto fuori che gli impiegati del fisco non avevano alcun titolo per esigere tasse inerenti agli anni precedenti dalla Mechel, l’episodio rimane indicativo di quale ruolo giochino gli organi fiscali nella soluzione delle dispute economiche.
La vendita di Yuganskneftegaz
Anche l’asta relativa alla vendita del 77% della compagnia petrolifera Yuganskneftegaz è stata interpretata dall’opinione pubblica internazionale come un segnale allarmante. Sebbene da settembre la compagnia stesse già gradualmente saldando il proprio debito fiscale, le autorità non hanno accettato di discutere in merito ad un progetto di estinzione piú articolato e si sono affrettate a mettere gli attivi della compagnia all’asta. Per gli investitori stranieri, l’unico motivo di tanta fretta poteva essere quello di voler ottenere gli attivi stessi e non il denaro.
Contrariamente a quanto si temeva, lo Stato non ha permesso la vendita della compagnia estraente per un tozzo di pane. Il prezzo pagato per gli attivi corrispondeva del tutto a quello del loro effettivo costo sul mercato, tenendo conto di tutti i debiti fiscali. Acquistando una società che aveva contratto debiti fiscali, il compratore, a parte versare la somma di 9 miliardi di dollari, pagati all’asta, si assumeva di fatto anche gli impegni relativi all’estinzione del debito per gli altri 6-7 miliardi di dollari. Alquanto singolare però, l’iter del passaggio di proprietà della Yuganskneftegaz, prima venduta a una società assolutamente ignota, per passare solo in un secondo tempo in mano alla Rosneft. A proposito, il passaggio di proprietà della Yuganskneftegaz proprio alla Rosneft, una delle compagnie petrolifere meno efficienti, suggerisce prospettive non rosee per l’acquisita, la quale in futuro potrebbe essere gravemente danneggiata dal cambio di proprietario.
Ucraina
Esiste un’opinione, secondo la quale i politici occidentali potrebbero anche chiudere un occhio sulla mancata corrispondenza fra la politica interna russa e gli obiettivi ufficialmente dichiarati, se non esistesse una realtà che si chiama Ucraina. La Russia e i Paesi industrializzati intendono il termine “partnership in politica estera” in maniera diversa, e proprio la crisi politica in Ucraina ha messo in luce questa discrepanza interpretativa.
La partenership nella politica estera era vista dai politici russi come una delimitazione delle zone di influenza nel mondo. La Russia non si intromette nella zona di interessi americani, non commentando, in particolare, quanto succede in Iraq, e non criticando la politica degli USA in questa regione. In cambio, anche gli USA non avrebbero dovuto intromettersi nella zona d’interessi russa, la quale comprende, senz’altro, secondo la Russia, i Paesi della CSI e specialmente l’Ucraina.
I Paesi industrializzati vedevano la partnership all’interno della coalizione antiterroristica in modo diverso. Contavano sul supporto della Russia nella missione di ripristino della democrazia in Ucraina e non si aspettavano che in occasione delle elezioni ucraine potessero insorgere tali contrasti. Proprio dopo gli eventi ucraini i rapporti tra gli USA e la Russia si sono visibilmente raffreddati. Vladimir Putin ha dichiarato possibile la cooperazione con la Cina nell’incremento degli attivi petroliferi della Yuganskneftegaz, il che era una frecciata all’amministrazione di Bush. In risposta, Condoleeza Rice, il nuovo Segretario di Stato degli USA, ha espresso scontento per i cambiamenti che si stanno verificando in Russia.
Si dice “nazionalizzazione”, ma si intende “ridistribuzione della proprietà”?
La nuova immagine che hanno i giornali occidentali della Russia, è quella di uno Stato che ha intenzione di appropriarsi di attivi in precedenza privatizzati, che limita la proprietà privata ed è disposto a ricostruire un Paese simile all’URSS, con uguali ambizioni imperiali. La stampa straniera mette in guardia rispetto ad un’eventuale nazionalizzazione, il che spinge gli investitori stranieri a ridurre gli investimenti in Russia.
Tale interpretazione però ha poco a che vedere con ciò che succede in Russia in realtà. La monetizzazione delle agevolazioni sociali, la riforma della pubblica istruzione e del servizio medico sono riforme molto più dure e socialmente gravose di quelle introdotte dall’équipe di Eltsin. Usando il linguaggio economico, con Eltsin è stata effettuata una privatizzazione dei redditi, cioè sono stati distribuiti gli attivi che producevano profitti, ma lo Stato allora aveva continuato a farsi carico di tutti gli impegni sociali. Con Putin, lo Stato ha cominciato una privatizzazione dei poteri relativi alle spese di bilancio, cioè gli impegni dello Stato d’ora in poi saranno scaricati sui cittadini, e verranno pagati da loro.
Tale politica non avrebbe senso, se lo Stato mirasse alla nazionalizzazione. L’idea della nazionalizzazione è smentita anche del comportamento delle aziende pubbliche: la centralità gestionale che le caratterizza non è diventata negli ultimi anni né più coordinata né più precisa.
Ciò che sta succedendo in Russia può essere considerato una nuova ridistribuzione della proprietà. La situazione è diversa da quella degli anni ‘90, perché allora a giocare un ruolo chiave erano stati i soldi, cioè la ridistribuzione si svolgeva a favore del capitale finanziario concentrato. Dopo la crisi del 1998 e soprattutto dopo la crescita del prezzo del petrolio, in Russia è comparso molto denaro, mentre gli attivi attraenti erano sempre pochissimi, e quindi il possesso dei soldi ha smesso di essere un fattore determinante. Invece dei soldi, ora è importante la possibilità di usare l’apparato statale come uno strumento di lotta per le nicchie di mercato o per gli attivi.
Il motivo della ridistribuzione iniziata poco fa, ha anche radici politiche. Sebbene molti siano inclini a spiegare l’acquisto della Yuganskneftegaz in termini puramente finanziari (chiunque vorrebbe avere una vacca da mungere che dia 3-4 miliardi di dollari, per finanziare i propri progetti), quest’operazione potrebbe nascondere anche un interesse politico. Appartenendo alla Rosneft, la Yuganskneftegaz potrebbe acquistare a tutti gli effetti importanza politica e diventare appunto una vacca da mungere per il finanziamento delle elezioni del 2008. Potrà apparire paradossale, ma proprio la Yukos, con la sua istanza presentata alla corte di Houston, ha costretto le compagnie pubbliche russe a cimentarsi per l’acquisto della Yuganskneftegaz in un’operazione complicata, in seguito alla quale la società è andata alla Rosneft e non alla Gazprom, come si prevedeva inizialmente. Se fosse stata acquisita ufficialmente dalla Gazprom, sarebbe stato assai più difficile poi utilizzare le sue finanze per obiettivi politici.
|