Numero 2(94)
SOLIDARIETA’ IN PARLAMENTO
GUERRA IN PERIFERIA
I CASI E LE CONTRADDIZIONI DELLA POLITICA ITALIANA
Caso Sgrena: maggioranza e opposizione hanno collaborato per cercare la soluzione al rapimento della giornalista de “il Manifesto”.
Al punto che in un discorso parlamentare il Presidente del Consiglio dei Ministri Silvio Berlusconi è arrivato a dire “magari ci fossero spesso momenti come questi” con chiaro riferimento all’atmosfera respirata in aula e non certo alla tragica morte del funzionario dei servizi segreti Nicola Calipari, colpito in modo mortale ad un posto di blocco da una pallottola sparata da militari statunitensi. Maggioranza e opposizione hanno condiviso sotto l’ala mediatrice del Sottosegretario Gianni Letta tutte le fasi del sequestro, e anche la decisione di evitare un blitz delle teste di cuoio per non rischiare di mettere in pericolo la vita dell’ostaggio.
Un clima di unità, di solidarietà nazionale incrinato, se non spezzato, dalla morte di Lipari, dalle risposte da dare e da chiedere all’alleato americano, dalle procedure adottate per ottenetre il rilascio stesso.
La maggioranza, prima per bocca del Guardasigilli Roberto Castelli, quindi attraverso il Vicepremier Gianfranco Fini e quindi anche con lo stesso Berlusconi, ha negato di aver pagato quel riscatto di cui, invece, i quotidiani conservatori statunitensi continuano ad accusare il Governo Italiano. Eppure si è perfino fatta la cifra: lotto milioni di euro, e l’ex Presidente del Consiglio Giulio Andreotti, grande vecchio della politica nazionale, ha ricordato come anche ai tempi del sequestro Moro lo Stato avesse cercato di salvare il rapito pagando, solo che all’epoca il contatto si rivelò inutile, se non addirittura fasullo, ma, se per Andreotti “è doloroso dare denaro a malviventi e forse anche rischiare di incoraggiarli, il bene superiore è la vita umana”. E sul possibile riscatto ha fatto leva anche Giuliano Amato (colui che ha dovuto cedere il passo a Palazzo Chigi a Berlusconi), affermando di non sapere “se sia stato pagato un riscatto, forse no, ma parliamone senza veli: la politica dei riscatti può inquinare la trasparenza e la necessaria lealtà con altri Stati: e può mettere a repentaglio la sicurezza di altri italiani, in qualsiasi parte del mondo operino delle cellule terroristiche”.
Quindi i primi contrasti, lo Stato avrà pagato o meno per liberare la giornalista? averlo eventualmente fatto sarebbe stato condivisibile oppure no? e poi la posizione nei confronti degli americani, apprezzando da parte dell’opposizione la fermezza con cui il Governo ha chiesto agli USA di fare luce sull’accaduto istituendo una Commissione d’inchiesta di cui fanno parte anche rappresentanti dell’intelligence italiana, ma trovando nell’accaduto -almeno per parte della sinistra- nuove ragioni per chiedere un immediato ritiro delle truppe italiane impegnate in Iraq a Nassirya.
E poi le polemiche sulla stessa Giuliana Sgrena: grande emozione da parte di tutti al momento della notizia del rilascio, grande commozione da parte ancora di tutti alla notizia della morte di Lipari e del ferimento della stessa Sgrena e dell’altro funzionario dei servizi che la accompagnava. E poi grandi polemiche innescate dalle dichiarazioni della Sgrena stessa e del suo compagno: dalla voce poi rivelatasi destituita di ogni fondamento di una vettura crivellata da tre/quattrocento colpi (che non si capiva nemmeno come fosse potuta uscirne viva!!!) all’ipotizzare si fosse trattato di un agguato appositamente ideato per impedire alla donna di svelare ciò che lei sapeva, dai filmati in cui piangeva disperata al dichiarare che i rapitori non l’avevano trattata male e che mai li aveva sentiti nemici. Una serie di dichiarazioni, precisazioni, smentite che ha innescato un clima di nervosismo e un sentimento di delusione per la poca gratitudine espressa dalla rapita nei confronti dello Stato che pur aveva, ha messo in campo ogni sua risorsa politica e di intelligence per liberarla, la stessa accusa rivolta tempo addietro a Simona Pari e Simona Torretta, la cui liberazione, per altro, non aveva avuto gli strasichi tragici e drammatici di quella di Giuliana Sgrena. Ed ancora le dichiarazioni proprio delle due Simone sulla loro liberazione, attribuita non più alla mediazione del Commissario della Croce Rossa Scelli ma al compianto Nicola Calipari con immediata e piccata smentita di Scelli e magistratura quindi costretta a convocarle per fare chiarezza.
Un quadro nazionale complesso, con Fausto Bertinotti che al congresso di PRC -partito del quale ha accettato un ultimo mandato da Segretario Nazionale- dichiara che non oggi, ma in un futuro quanto più vicino possibile, verrà il tempo di rimettere in discussione il concetto di proprietà privata allarmando l’alleanza prodiana di cui fa parte e nella cui agenda questo tema non c’è, non vi può entrare nè ora nè mai.
E in mezzo a tutto questo il “caso” Venezia, consumato proprio nei giorni del congresso bertinottiano svoltosi proprio a...Venezia, e che ha portato nel capoluogo lagunare tutti i leaders del centrosinistra.
Cinque anni fa, quando Massimo Cacciari si dimise da Sindaco di Venezia per tentare inutilmente la conquista del Governo del Veneto venne eletto suo successore Paolo Costa, già Rettore dell’Università Cà Foscari, Ministro ed oggi Europarlamentare. Già allora per vincere corsero in tre, Costa, l’allora come oggi Vicesindaco rosso-verde Gianfranco Bettin e l’allora come oggi Europarlamentare di Forza Italia Renato Brunetta. La divisione in due del centrosinistra diede la vittoria al primo turno all’oggi anche Consigliere Economico di Palazzo Chigi Brunetta poi sconfitto in un ballottaggio in cui si saldò l’asse Costa-Bettin. Costa ha deciso di rimanere Europarlamentare e ha rinunciato alla guida della città. Lo si sa da mesi, da sempre, ma la coalizione non ha saputo esprimere un successore. Gli ex amici Cacciari e Costa sono diventati nemici che hanno proposto ciascuno il proprio pupillo ponendo il veto su quello dell’altro, e tutto questo in casa Margherita. Bettin aveva deciso quindi di ricandidarsi, come accadde un lustro orsono, contro il prescelto di centro. Poi, all’improvviso, con Piero Fassino (Segretario Nazionale dei DS) in laguna, dal cappello a cilindro salta fuori il nome di Felice Casson, magistrato proprio a Venezia. Francesco Rutelli (Presidente della Margherita), anche lui a Venezia ospite di Bertinotti e dell’assise rifondarola, cade dalle nuvole, definisce il metodo della designazione di Casson inaccettabile e chi estrae dal cappello a cilindro? l’oggi Preside di Filosofia dell’Università San Raffaele di Milano Massimo Cacciari!!! Quindi scontro fra titani fra centro del centrosinistra e sinistra dello stesso centrosinistra, con Prodi che cerca di ironizzare su un litigio che ci voleva, come dire...? l’eccezione che conferma la regola (della convivenza pacifica dei partiti della coalizione).
Finita qui? ma perchè mai....il CSM, organo superiore della Magistratura così politcizzato e così poco amato dalla Casa delle Libertà cosa fa? censura Casson, o quasi! e la Casa delle Libertà? cosa fa? corre per fare intanto, così come riuscì a Brunetta, un ottimo risultato al primo turno? e no.. c’è un candidato per Forza Italia e UDC, uno per la Lega Nord, uno per AN, e una lista civica la ispirazione è chiaramente di centrodestra che candida sotto il simbolo di “Uno di noi” l’ex Caporedattore del TG 3 Maurizio Crovato, un po’ sedotto ed un po’ (molto, ndr) abbandonato dai partiti nazionali.
Last but not least in questo marasma Carlo Ripa di Meana, già Portavoce Nazionale dei Verdi ai tempi del loro ingresso nel Governo Prodi, Ministro e poi Commissario Europeo che si candida alla guida di Venezia con l’apporto di alcune liste fra cui una che, come simbolo, ha scelto il volto di Che Guevara...
Via,... un bel ballottaggio Crovato-Ripa di Meana... e i grandi partiti fuori da tutto. Cattiva idea? forse i partiti se lo meriterebbero proprio, o forse i veneziani si meritavano uno spettacolino della politica un po’ meno indecente.
|