Numero 5(104)
URSS: 15 anni dopo
È passato quasi inosservato il 21 agosto il 15-mo anniversario dei fatti del 1991 che hanno praticamente segnato la fine dell’esistenza dell’Urss. Questa data è risultata tra le più facilmente dimenticabili. Secondo il sondaggio, svolto dal Centro Levada, il 15% della popolazione confonde gli eventi dell’agosto 1991 e quelli dell’ottobre 1993, che conclusero la fase violenta della “rivoluzione borghese” russa dei primi anni ’90. E il sondaggio realizzato dalla Fondazione “Obshestvennoe mnenie” (Opinione pubblica, ndt.) ha dimostrato che oltre la metà degli interrogati (il 55%) non ricordava nessun episodio concreto della “rivoluzione di agosto”, nonostante fossero tutti stati trasmessi quasi in diretta televisiva.
I cittadini della Russia non solo hanno la memoria corta: aumenta presso la popolazione un atteggiamento negativo nei confronti di quei giorni. Soltanto un 13% considera le vicende del 19/21 agosto 1991 come il simbolo della vittoria della rivoluzione democratica, mentre il 39% le ritiene il solito scontro per il potere tra i gruppi dell’élite governativa, e secondo il 36% sarebbero addirittura state tragiche e perniciose per il Paese.
A che cosa è dovuto allora tale pessimismo? Anzittutto alla persistente nostalgia dell’URSS e della sicurezza di quei tempi, nonché alla convinzione che la caduta dell’Unione Sovietica sia stata in realtà favorita da certe “forze straniere”, senza l’intromissione delle quali sarebbe stato probabilmente possibile evitare il calo del tenore di vita della popolazione e il crollo dello Stato. Da tempo si è dimenticato che proprio dopo quelle vicende la popolazione ha acquisito molti di quei diritti che oggi sono visti come assolutamente legittimi, ma la nostalgia dell’“impero temuto e rispettato da tutti” è rimasta. Ai risultati dei sondaggi hanno contribuito anche le aspettative esagerate – e poi deluse - di quel periodo (“vivremo come in America e lavoreremo come siamo abituati”). Da parte sua, l’attuale élite di governo, che per la maggior parte oggi consta di funzionari della “tarda” Unione Sovietica, ama ricordare quei tempi come una vera “età dell’oro”, e cerca di far apparire gli anni ’90 – durante i quali fu estromessa da parte dell’élite nuova, a partire dal 1991 -, come un “fiasco”. E naturalmente non ha intenzione di spiegare che la scissione dell’URSS, a causa delle contraddizioni accumulatesi, era inevitabile, e il tenore di vita sarebbe comunque calato, dato che verso il 1991 erano già state esaurite tutte le riserve e scorte che permettevano al regime di tenersi a galla. Né di ricordare che il ritorno al razionamento non era stato voluto dalla stessa popolazione. Per quanto riguarda i golpisti, presentati oggi come eroi, sono stati proprio loro a dare una spinta ulteriore alla già vacillante Urss: subito dopo il fiasco del golpe infatti, le repubbliche che fino a quel momento avevano cercato di rimanere unite, se ne sono andate ognuna per conto proprio.
Abbiamo a che fare, tutto sommato, con un tipico caso di nostalgia postrivoluzionaria del “vecchio regime”, fenomeno sperimentato sia dall’Inghilterra del Seicento, sia dalla Francia degli inizi dell’Ottocento (in entrambi i casi ciò comportò il restauro delle previe dinastie), e anche dall’URSS poststaliniana, che aveva assunto alcune caratteristiche del regime zarista. Ripercorrendo questi casi storici dobbiamo ricordare che nonostante tutta la nostalgia, i tentativi di restaurare “il vecchio ordinamento” non comportano che “l’approfondimento” della rivoluzione. Gli Stuart e i Borboni, tornati rispettivamente in Inghilterra e in Francia, dopo una generazione furono abbattuti, mentre l’imitazione dei “vecchi tempi” nella tarda epoca staliniana suscitò una destalinizzazione e un completo distacco da tutto il retaggio staliniano sotto Kruscev. La stessa sorte toccherà fra qualche tempo anche a questo attuale mito nostalgico. E forse allora il 21 agosto si festeggerà di nuovo come ricorrenza nazionale, proprio come il giorno della presa della Bastiglia in Francia.
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