Numero 18(63)
Qualcuno ci giudicherà Putin ha difeso i media dai deputati
Il 25 novembre, il Presidente della Russia ha ricevuto al Cremlino i dirigenti dei media più importanti.
Vladimir Putin ha annunciato, durante l’incontro con i direttori responsabili, di aver usato il diritto di veto nei riguardi degli emendamenti introdotti alle Leggi sui mass media e sulla lotta al terrore. Gli emendamenti erano stati approvati sia dalla Duma di Stato, sia dal Consiglio della Federazione. I deputati non hanno dato retta alle esortazioni dei giornalisti che chiedevano almeno di discutere gli emendamenti che davano ai funzionari di diversi ranghi il diritto di decidere quale media “ostacola lo svolgimento di operazioni antiterroristiche”. L’atteggiamento dei parlamentari è comprensibile: gli emendamenti sono stati approvati subito dopo che era stato preso d’assalto il teatro in via Dubrovka, quando il potere “rianimava” la sua immagine per l’opinione pubblica e cercava in ogni maniera di evitare domande poco comode.
I legislatori, evidentemente, se la sono presa soprattutto con le televisioni. Gli eventi della Dubrovka sono stati diffusi in diretta praticamente da tutti i canali della TV, ma anche dalla radio “Eco di Mosca”, l’unica radiotrasmittente a fornire tale servizio ai suoi ascoltatori. Lo scontento, del resto, poteva avere motivi ben fondati.
Già nelle prime ore dopo il blitz dei terroristi, le televisioni facevano vedere come gli ostaggi, riusciti a nascondersi nei locali ausiliari del Centro teatrale, venivano portati in libertà dalle teste di cuoio. Gli ex ostaggi esultanti si mettevano subito a raccontare in diretta dove si nascondevano e quali percorsi segreti potevano usare per lasciare l’edificio. Alcune televisioni hanno comunicato addirittura dove si trovavano alcune altre persone che mancavano nella sala nel momento della presa di ostaggi. Anche gli spostamenti delle teste di cuoio, della polizia e perfino degli autobus di linea, fatti arrivare nei pressi della stazione della metro “Proletarskaia”, non sono sfuggiti alle attenzioni dei giornalisti. Anzi, la notte precedente all’assalto, nessuno dei telegiornalisti c’aveva pensato due volte prima di mandare in onda le immagini delle teste di cuoio che cominciavano ad avanzare verso l’edificio occupato.
Un’attività così elevata dei lavoratori mediatici è comprensibile. Ogni giornalista avrebbe voluto trovarsi nei panni della corrispondente della CNN che copriva in diretta, stando sul tetto, il bombardamento della Casa Bianca nell’ottobre del 1993. E l’attacco del teatro Dubrovka concedeva una chance del genere a un centinaio di giornalisti. Ma le loro azioni hanno veramente messo a repentaglio la vita di parecchie persone. I terroristi avevano i cellulari che usavano per avere una descrizione esatta di quanto succedeva fuori dell’edificio: e inoltre potevano guardare la TV.
L’irritazione delle autorità è stata suscitata anche da numerose domande fatte dai media durante e dopo la tragedia. Inoltre, alcuni giornalisti “si permettevano” digressioni nella storia del conflitto ceceno, dimostrandone, intenzionalmente o meno, l’inutilità. Il vaso della pazienza è traboccato, e i deputati hanno mostrato un’altra volta a tutti cosa voglia dire “democrazia controllata”.
A meno di una settimana dall’assalto del teatro di “Nord-Ost”, i parlamentari hanno approvato gli emendamenti a due leggi: sui mass media e sulla lotta al terrore. Per amore di giustizia, va detto che più di cento deputati erano contrari all’approvazione degli emendamenti. Ma con 231 voti favorevoli sono stati approvati gli emendamenti che hanno vietato ai media di diffondere le informazioni che “ostacolano lo svolgimento di un’operazione antiterroristica e mette in repentaglio la vita e la salute degli uomini”. Dal testo degli emendamenti, poi, si deduce che i mass media non devono diffondere affermazioni mirate ad impedire le operazioni antiterroristiche oppure a propagandare o a giustificare la resistenza a tali operazioni. È proibito svelare dati personali relativi agli agenti dei reparti speciali e dei membri del centro operativo per lo svolgimento di un’operazione antiterroristica, nonché comunicare informazioni personali sulle persone che li aiutino senza un consenso esplicito di tutte queste persone.
Gli emendamenti sono stati urgentemente convalidati dal Consiglio della Federazione, nonostante l’evidente vaghezza delle formule. A questo punto bastava che il Presidente mettesse la propria firma. Ma aspettandoselo i deputati hanno sbagliato un po’ nelle previsioni.
Nonostante che finora Putin non avesse mai attaccato direttamente la stampa, negli anni del suo governo ha fornito più di un motivo per credere che, a differenza di Eltsin, non ami la stampa e che non abbia intenzione di farla passar liscia ai giornalisti. Certamente, i deputati contavano che anche questa volta alla stampa si sarebbe fatta abbassare la cresta.
Ma i dirigenti dei media più importanti hanno dato una chance al Presidente non solo di mettere a posto il rapporto con la stampa, ma anche di mostrarsi, almeno per una volta, un propugnatore della libertà di parola. Il Comitato industriale, composto dall’Unione dei media, l’Unione dei giornalisti della Russia, l’Associazione nazionale delle teletrasmettenti, il Fondo della salvaguardia della glasnost e una serie di altre organizzazioni dei giornalisti hanno scritto una lettera aperta al Presidente, in cui gli chiedevano di non firmare gli emendamenti approvati dalle due Camere.
Non usare questa possibilità sarebbe stata per il Presidente una mossa imperdonabile. Putin ha invitato i giornalisti di spicco al Cremlino, dove ha spiegato loro la colpa che avevano avuto i media nei confronti del potere, ha rimproverato loro il desiderio di aumentare il proprio indice di gradimento alle spese di qualcuno che aveva subìto una vera e propria disgrazia, e poi ha annunciato di aver respinto gli emendamenti usando il diritto di veto. Sembra, cioè, che abbia concesso ai media una specie di credito, visto che per ora essi ovviamente non meritano la fiducia del Presidente.
Già il giorno dopo, il 26 novembre, quesi tutte le agenzie di tampa occidentali più importanti hanno scritto che i giornalisti russi hanno tirato un sospiro di sollievo: c’è allora nel mondo la verità e la giustizia. I testardi deputati sono stati sconfitti, la libertà d’espressione è stata difesa un’altra volta. E ci si dimenticherà presto che tutti i percorsi dei giornalisti per i corridoi del potere e l’appello al garante della Costituzione ricordavano molto una famosa riga della poesia di Nekrassov: “Ecco, arriverà il nostro gran padrone e ci giudicherà...”. E’ arrivato, ha giudicato, tutti sono contenti.
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