Numero 1(46)
Il primo giorno di pace
Dopo la conclusione della fase attiva delle azioni di guerra in Afganistan, gli USA stanno pian piano mandando a
casa le proprie truppe.
Oggi in Afganistan rimangono solo piccoli reparti dei marines americani impegnati nella caccia a Usama bin Laden, accompagnati
da circa 5000 “pacificatori” provenienti da vari Paesi. Da diversi luoghi giungono notizie circa la morte o l’arresto dei
dirigenti dei “Taleban” e dell’organizzazione terroristica “Al Quaida”. I marines statunitensi hanno arrestato in Afganistan,
in tutto, 50 dirigenti talebani e guerriglieri di Al Quaida. Inoltre, 139 guerriglieri di Al Quaida, cittadini di diversi
Paesi arabi, arrestati mentre attraversavano la frontiera pakistana, saranno trasferiti dalla prigione Kohat di Peshawar
(Pakistan) in un centro speciale per interrogatori, allestito all’aeroporto di Kandahar da agenti dei servizi segreti statunitensi.
Saranno trasportati a gruppi per via aerea. L’ex ambasciatore dei talebani a Islamabad, mullah Abdul Salam Zaef, ha chiesto
asilo politico in Pakistan, ma è stato estradato agli americani. Non si è riusciti però a raggiungere lo scopo principale
delle ricerche, il capo dei talebani, mullah Omar e Usama bin Laden. Sono in circolazione le voci più fantasiose sulla loro
sorte, come, del resto, su quella della maggior parte dei talebani. La più fantastica è forse questa: i talebani sarebbero
disposti ad estradare il loro leader mullah Omar in cambio della cessazione dei rinnovati bombardamenti americani, mentre bin
Laden sarebbe ferito o addirittura morto in seguito ad uno di tali bombardamenti.
I talebani sostengono che i loro leader sono nascosti in un “posto sicuro”; quanto a loro stessi, avrebbero potuto mantenere
il proprio potenziale da guerra e minacciano i Paesi vicini all’Afganistan di “prendere delle misure durissime” contro di essi,
qualora estradino qualche dirigente talebano negli Stati Uniti. L’avverarsi di questa minaccia, del resto, è poco probabile,
dato che in realtà le forze dei talebani sono assai scarse, in quanto quasi tutti i capi delle tribù, che prima si schieravano
con loro, sono passati al nemico.
Attualmente, dopo la caduta delle fortificazioni a Torah-Borah, l’arena principale delle azioni di guerra si è spostata verso
il massiccio montuoso di Bagran a nord della provincia Gilmend, dove, secondo alcune informazioni, si nasconderebbe il mullah
Omar. E’ stata repressa, inoltre, la rivolta degli ismailiti, durata sei settimane, a Dara-i-Kaian, nella provincia di Baglan.
Nel Paese, massacrato dalle guerre, la vita sta riacquistando pian piano il suo aspetto normale. A Kabul e a Kandahar è vietato
girare armati. Da oggi ciò è lecito solo alla polizia. In questo modo gli afgani sperano di impedire ai comandanti della
guerriglia di dividere le città nelle zone della loro influenza. Il 22 dicembre si è svolta la cerimonia ufficiale
dell’insediamento del nuovo primo ministro afgano Hamid Karzai. Il Paese sarà governato da 11 pastuni, 8 tagichi, 3 uzbechi
e 3 rappresentanti di altre minoranze etniche. I rappresentanti dell’Alleanza del Nord, in conformità alle loro richieste,
hanno avuto il portafoglio di ministro della difesa, degli interni e degli esteri.
Il nuovo capo del ministero della difesa è Mohammad Kassem Fahim. I ministri degli interni e degli esteri sono quelli di
prima: Junis Kanuni e Abdulla Abdullo occupavano i relativi posti anche nel governo d’opposizione dei “nordisti”. Per la prima
volta nel governo afgano ci sarà una donna. Gli impegni di Sima Samar saranno, del resto, piuttosto simbolici: le hanno affidato
il dicastero per gli affari delle donne.
Va detto che i partecipanti alla conferenza di Bonn hanno avuto un atteggiamento molto premuroso nella distribuzione delle
competenze. Un dicastero particolare, ad esempio, s’impegnerà negli affari dei pellegrinaggi e delle “vakuf” (terre pubbliche).
Così com’è, il governo afgano lavorerà nel corso di sei mesi. In seguito, dovrà convocare l’assemblea tradizionale afgana degli
anziani “Loya Girga”, di circa 1000 rappresentanti, ed essa, a sua volta, definirà l’organico del governo di transizione per i
prossimi diciotto mesi. E il terzo, definitivo, governo afgano sarà eletto alle elezioni generali. La nuova amministrazione,
nell’ambito della politica della conciliazione nazionale, ha iniziato a liberare i talebani semplici che non sono stati coinvolti
in alcun reato.
Nonostante la presenza di numerose guardie, compresi i paracadutisti britannici, il giuramento collettivo del nuovo governo sul
Corano per poco non è andato a monte. Nell’est dell’Afganistan gli aerei americani hanno centrato una colonna di automezzi che,
come è venuto fuori più tardi, si avviava alla cerimonia d’insediamento del nuovo governo afgano. Gli aerei militari statunitensi
hanno colpito una carovana che comprendeva gli anziani delle tribù pastune e i comandanti della coalizione antitalebana,
prendendoli per una colonna di talebani in fuga. In seguito all’attacco aereo sono morte 65 persone. Naturalmente, quest’incidente
non ha fatto avere alla nuova amministrazione afgana altri amici o maggiore autorevolezza. I sostenitori di Karzai, a parte tutto
il resto, temono che le grandi potenze, dopo aver risolto i loro problemi attuali, dimenticheranno l’Afganistan. Questi timori
sono assai fondati. I partecipanti al convegno internazionale dei donatori, riunitisi a Bruxelles, hanno reagito in modo freddissimo
alla notizia che per ricostruire l’economia e la vita afgana ci vorranno, come minimo, 9 miliardi di dollari USA, e hanno
accettato a malincuore di stanziare solo circa 600 milioni di dollari per tre anni e circa 200 mila tonnellate di prodotti
alimentari che aiuteranno gli afgani a sopravvivere all’inverno e consentiranno agli imprenditori agricoli occidentali di
ingrassare i loro portafogli diventati un po’ troppo magri. Gli USA, invece, hanno mandato in Afganistan le prime partite di
nuovissime bombe a puntamento automatico, capaci di provocare esplosioni potentissime nelle grotte o nei tunnel, continuando
ad usare il disgraziato Paese come un poligono per le prove degli armamenti nuovissimi (come la Russia fa in Cecenia). In questo
modo, l’Afganistan rischia ancora di essere abbandonato a sé stesso ed essere occupato da un’ennesima cricca, per l’eliminazione
della quale si dovrà di nuovo riunire una coalizione mondiale. Se qualcuno ne vorrà far parte...
Gleb Ijulskiy
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