Numero 1(46)
Argentina in crisi
All’inizio, ma anche alla fine degli anni ’90, tra le riforme economiche riuscite, condotte secondo le ricette del FMI, le prime
ad essere indicate come esempio per la Russia, sono state quelle argentine, il cosiddetto “comitato valutario”.
Questo modello, elaborato dall’economista Domingo Cavallo, prevedeva l’aggancio del peso argentino al dollaro con il cambio 1:1,
mentre alla Banca Centrale dell’Argentina era vietato emettere peso “superflui”, non coperti cioè dalle riserve valutarie. Ciò ha
consentito di vincere in alcuni mesi l’inflazione galoppante e ha reso Cavallo l’eroe nazionale dell’Argentina. Nel 1998, dopo la
benedetta crisi finanziaria di agosto, c’era addirittura chi proponeva di usare simile modello anche in Russia. Ma ciò non è stato
fatto, e ora possiamo osservare gli sviluppi della situazione, estrapolandola sulla realtà russa, anzi cercando di indovinare cosa
succederà domani.
Il miracolo economico argentino ha avuto un rovescio: il brusco calo della competitività delle merci argentine rispetto alle merci
prodotte dai Paesi vicini, e la crescita della disoccupazione. Ma finché il FMI rilasciava i crediti, mentre il governo stanziava
i prestiti sul mercato internazionale, tutto andava bene. La crisi asiatica del 1997 e l’insolvenza russa del 1998 hanno
compromesso il desiderio degli investitori di investire soldi nelle obbligazioni dei Paesi in via di sviluppo, e il FMI ha smesso
di rilasciare all’Argentina i poco costosi prestiti di decine miliardi di dollari. Da quel momento tutta l’attività delle autorità
argentine è stata orientata verso il pagamento dell’enorme debito di 132 miliardi di dollari. A differenza della Russia l’Argentina
aveva intenzione di pagare i debiti senza dichiararsi insolvente. Per conseguirlo, il governo ha deciso innanzitutto di sequestrare
tutte le voci del budget e di cercare nuovi prestiti che avrebbero consentito di pagare i debiti di prima.
Tutto ciò ha avuto un effetto assai negativo sulla popolazione del Paese, appena abituatasi all’aumento del tenore di vita. La
situazione si è inasprita particolarmente in autunno dell’anno scorso, quando si sono diffuse le voci circa l’imminente
svalutazione del peso. In Argentina si è ripetuta, tale e quale, la situazione della Russia dopo la crisi. Migliaia di argentini
sono corsi a togliere i loro risparmi dalle banche e a cambiarli con i dollari. In risposta, Domingo Cavallo, che a differenza
delle autorità russe non si è deciso a rinunciare ai propri principi, ha vietato alle banche di concedere in soluzione unica più
di 250 peso in contanti, raccomandando alla popolazione di usare le carte di credito, il che, invece di calmare gli uomini, non
ha fatto che fomentare il panico. Il 18 dicembre il governo ha dichiarato il ribasso dello stipendio di tutti gli operai e
impiegati, dipendenti degli enti pubblici. Ciò ha fatto perdere le staffe alla popolazione. In molte città e innanzitutto nella
capitale, Buenos Aires, nella notte del 20 dicembre sono scoppiati disordini di massa. Inizialmente, il Presidente Fernando de
la Rua sperava di combattere la crisi da solo. Ha silurato Cavallo, ha introdotto nel Paese lo stato di emergenza e ha fatto
scendere in piazza la polizia a disperdere i manifestanti con manganelli e pallottole di gomma che hanno ucciso almeno 20 persone.
Tuttavia, né le misure drastiche, né la situazione di emergenza, accompagnata da numerosi arresti (in Argentina sono stati
arrestati circa 2000 persone) hanno salvato il Presidente dalla caduta. Il contrasto sociale è solo aumentato. A Buenos Aires
i manifestanti che opponevano resistenza attiva alla polizia, hanno dato fuoco alle sedi del Ministero della finanza e di due
banche centrali del Paese. Il Presidente ha praticamente perso il controllo della capitale. Ha proposto di formare un governo di
unità nazionale, ma il partito Peronista all’opposizione, che controlla il congresso (anche questo ricorda molto la Russia del
1998), gli ha naturalmente detto di no.
Il 20 dicembre de la Rua si è dimesso. E’ stato inoltre licenziato il governo e alcuni alti funzionari della polizia. Per alcune
ore, il Presidente provvisorio dell’Argentina è stato il capo del Senato Ramon Puerta. Il giorno dopo il posto di Presidente
provvisorio è stato affidato all’ex governatore della provincia di San-Luis, Adolfo Rodrigues Saa. La sua comparsa sulla vetta
del potere argentino può essere paragonata alla seconda premiership di Viktor Cernomyrdin, diventato primo ministro russo
nell’agosto 1998. Ma l’uomo politico argentino, come il suo collega russo, non è riuscito a mantenere il potere, dimettendosi
due giorni dopo la nomina. Nel suo discorso televisivo Adolfo Rodrigues Saa ha detto che la sua richiesta non poteva essere
respinta, e che le sue dimissioni entravano in vigore subito. Ha precisato che le sue dimissioni erano motivate dallo scarso
appoggio del partito peronista.
Il giorno prima, a Buenos Aires erano scoppiati di nuovo i comizi antigovernativi contro il nuovo Presidente, e la prevista
riunione con i governatori peronisti era stata di fatto mandata a monte. Del resto, anche in un tempo così breve, Saa è riuscito
a fare parecchie cose. Le norme più dure della situazione d’emergenza erano state abolite già da Fernando de la Rua prima che si
dimettesse. Adolfo Saa ha abolito definitivamente la situazione d’emergenza. E’ stato deciso di chiudere i mercati valutari nel
Paese, sono stati praticamente congelati i depositi bancari della popolazione ed è stato annunciato che era in corso una
preparazione accelerata al passaggio verso la nuova valuta nazionale, chiamata, in ossequio al nome del Paese, “argentino” e
coperto dai beni pubblici dell’Argentina. Le dichiarazioni del Presidente statunitense Bush che ha invitato l’Argentina a
“prendere delle misure drastiche, necessarie per la protezione dei creditori, compreso il FMI”, il che avrebbe dovuto consentire
al Fondo di finanziare a tutto andare la ricostruzione dell’economia argentina, sono state ignorate. E, prima di dimettersi, Saa
ha fatto una dichiarazione in cui non escludeva la possibilità di un’insolvenza sovrana statale, simile a quella russa. Del resto
non c’era altro da fare, visto che non sono più rimaste riserve per tagliare e risparmiare. Qualsiasi ribasso delle spese sociali
avrebbe provocato un’esplosione sociale così forte che tutta l’élite argentina ne sarebbe stata spazzata via.
Nel contempo, è stato dato inizio alle indagini relative all’eventuale partecipazione dei più alti pubblici ufficiali del Paese
alle misure troppo dure, prese dalla polizia nel corso dei recenti disordini. Fra poco, queste indagini saranno probabilmente
integrate da quelle circa la legittimità delle riforme economiche. Ad alcuni di coloro che si erano dimessi, compreso l’ex
Presidente de la Rua e Domingo Cavallo, è stato vietato di lasciare il Paese. E’ assai probabile che da qui a poco essi
diventeranno imputati, cui si potranno addebitare tutti i fallimenti e tutte le lacune degli ultimi anni.
Saa è stato seguito ancora una volta da Ramon Puerta che si è dimesso immediatamente, portando come scusa il suo cuore malato.
Il successivo Presidente provvisorio è stato Eduardo Camano, capo della Camera dei deputati. Ed infine, il 1 gennaio, il
Congresso d’Argentina ha eletto il quinto Presidente nelle ultime due settimane, il senatore del partito peronista, il
sessantenne Eduardo Dualde. Hanno votato “sì” 262 elettori, 21 sono stati contrari e 18 si sono astenuti. Prima Dualde era
stato governatore della provincia Buenos Aires, e vi era stato eletto due volte. Nei primi anni ’90 Dualde era stato vice
Presidente d’Argentina.
In questo modo, i peronisti sono riusciti a riprendere nel Paese il potere, che avevano perso dopo la brillante vittoria del
Presidente de la Rua alle elezioni del 1999.
Le malelingue dicevano addirittura che sarebbe stata proprio l’opposizione, esaminata l’esperienza russa del 1998, a provocare
tutti quei tumulti, per tornare al potere. Anche se fosse così, hanno avuto tra le mani un patrimonio assai deplorevole.
Il cambio ufficioso del peso argentino, ufficialmente agganciato al dollaro nel corso dell’ultimo decennio in rapporto 1:1, è
caduto fino a 1,4 peso per un dollaro USA. Molti spiegano il ribasso del corso del peso con il fatto che gli argentini, in
attesa della svalutazione, si sarebbero messi a comprare dollari. Il governo provvisorio dell’Argentina ha pubblicato un decreto
circa la chiusura dei mercati valutari, ma sul mercato nero le operazioni continuano. I prezzi nel Paese crescono, giorno dopo
giorno. In alcuni ospedali sono esaurire le scorte delle medicine, e si deve portarle urgentemente dal Brasile.
La maggior parte degli economisti ritiene che la nuova valuta argentina, l’ “argentino”, fra poco diventerà nel Paese l’unica
valuta e indicherà l’entità della svalutazione. In questo modo, l’Argentina sarà costretta a ripetere l’esperienza del gabinetto
di Kirienko nel 1998. Del resto, a volte si ha l’impressione che i nuovi dirigenti argentini non facciano altro che usare, come
una specie di direttive, le soluzioni russe di tre anni fa. Il Presidente Dualde ha già dichiarato una rilevante svalutazione del
peso, che deve rendere le merci argentine competitive. Sarà eliminato anche l’aggancio al dollaro: da oggi il peso si aggancia
ad un paniere intero di valute. Il Presidente ha anche invitato gli argentini a comprare le merci nazionali e ad usare i servizi
nazionali. In altre parole, come sottolineano gli analisti, le due tesi principali del potere sono queste: svalutazione e
protezionismo. Nel contempo, l’Argentina ha dichiarato di fatto un’insolvenza sovrana, rifiutandosi di pagare le obbligazioni
in lire italiane con il termine d’estinzione nel 2007. E’ assai probabile che il Paese dovrà uscire dalla crisi usando una strada
tutta sua, mentre i suoi creditori saranno costretti ad aspettare per molto tempo la possibilità di farsi restituire i propri
soldi. Il modello FMI di riforme economiche dovrà essere aggiornato, o morire. Al FMI non resterà altro che ammettere che ogni
Paese ha la sua via unica per uscire da una crisi economica.
Non tutti, intanto, hanno preso con entusiasmo l’elezione di Dualde. Circa 4 mila persone sono scese in piazza a Buenos Aires
dopo che era stato fatto prestare giuramento al nuovo Presidente. Molti argentini ritengono che il Presidente debba essere
eletto tramite suffragio universale. Quindi è possibile che il Paese possa essere coinvolto anche in un conflitto politico e
vi può comparire un certo Putin “all’argentina”, al quale spetterà sgomberare tutta la gran massa di problemi.
Semion Ciarnij
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