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Numero 1(65)
Bush e’ pronto!

    Con gran dispiacere dell’aministrazione statunitense, il gruppo di ispettori dell’ONU diretto da Hans Blix che lavora in Iraq da due mesi non è ancora riuscito a trovare prove inconfutabili dello sviluppo di armi dello sterminio di massa da parte dell’Iraq. Gli esponenti più altolocati dell’amministrazione americana, di fronte a ogni nuova relazione degli ispettori, per tutta risposta, dicono che Saddam Hussein semplicemente nasconde le riserve delle armi dello sterminio di massa con molta abilità. Ma tali dichiarazioni, che devono avere un certo effetto sugli americani, difficilmente appariranno convincenti ai membri costanti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, tanto che possano approvare una mozione che favorisca l’intervento statunitense in Iraq. Infatti anche Kofi Annan, il Segretario Generale dell’ONU, che ha un atteggiamentto molto scettico nei confronti del regime di Baghdad, ha affermato di non vedere motivi per assestare un colpo all’Iraq, dato che Baghdad non ha ostacolato l’attività degli ispettori internazionali. Inoltre, la maggior parte dei membri costanti del Consiglio di Sicurezza (Russia, Francia, Cina) fanno capire di essere scontenti del fatto che, secondo loro, gli USA esercitino una pressione inammissibile sugli ispettori ONU. L’entusiasmo degli stessi tre Paesi, riguardo alla situazione irachena, non è certamente aumentato anche dopo la dichiarazione di A. Chalabi, il dirigente del Congresso nazionale iracheno in opposizione, secondo la quale tutti i contratti stipulati da Hussein nel periodo dal quale sono in vigore le sanzioni dell’ONU (si tratta prevalentemente dei contratti con aziende russe, francesi e cinesi) sarebbero illegali e saranno annullati. E quando il Segretario di Stato degli USA Colin Powell ha detto che dopo la caduta di Hussein, le aziende petrolifere dell’Iraq saranno gestite “nell’interesse del popolo iracheno”, ciò non ha fatto che gettare benzina sul fuoco.
    Non sembra più realizzabile anche la speranza degli USA di organizzare una larga coalizione antiterroristica. Gli alleati europei degli States non sembrano molto entusiasti di quanto succede, mentre la Francia e la Germania, dopo che il ministro della difesa degli USA Donald Ramsfeld li ha definiti pubblicamente “Paesi problematici”, ponendoli, in questo modo, in una posizione solo di un gradino più alta dell’”asse del male”, sembrano vicini a rompere il rapporto d’alleanza con gli Stati Uniti.
    Anche l’alleato più fedele degli USA, il premier britannico Tony Blair, ha esitato, dicendo che gli ispettori dell’ONU devono lavorare in Iraq per un periodo più lungo. Il primo ministro dell’Italia Silvio Berlusconi ha emesso una dichiarazione, nella quale ha fatto capire che l’Italia avrebbe partecipato alle azioni di guerra contro l’Iraq solo se l’ONU approvasse la mozione relativa all’inizio dell’operazione militare. Il ministro degli esteri della Germania Joska Fischer ha reso evidente un forte scontento nei confronti della posizione statunitense, che regna in Europa, raccomandando a Washington di “darsi una calmata”. Il suo collega russo Igor Ivanov ha rilevato: “la Russia ritiene che non esista nessuna prova che giustifichi la guerra in Iraq”. Anche quasi tutti gli Stati musulmani si sono schierati contro la guerra in Iraq. E’ particolarmente attivo in questo schieramento il primo ministro turco A. Guhl, che ha visitato Arabia Saudita, Siria, Egitto, Giordania e Iran dichiarando ovunque l’inammissibilità della nuova guerra nella regione. Il governo turco, inoltre, rifiuta di mettere a disposizione degli USA le basi per collocarvi gli 80000 soldati che dovrebbero colpire l’Iraq dal Nord. Ora i turchi sono d’accordo solo di ospitare solo 15 mila soldati americani: numero che sarà certamente insufficiente per qualsiasi attacco.
    Cercando di ottenere la buona disposizione degli arabi, gli USA compiono manovre poco graziose, mirate al riconoscimento della “Palestina indipendente”, il che potrebbe comportare un brusco raffreddamento con l’Israele, alleato tradizionale degli USA in Medio Oriente.
    Sono pure vicini al crollo i tentativi di organizzare in Iraq qualcosa sullo stampo dell’afgana Alleanza del Nord. I curdi che controllano la maggior parte dell’Iraq settentrionale hanno rifiutato di schierarsi contro il governo di Baghdad prima che non sia data loro una ferma garanzia di autonomia nell’Iraq “post-Saddam”. Inoltre, le indiscrezioni apparse sui giornali sulle trattative degli americani con i curdi che sognano di annettere le province turche dell’est, rischiano di rovinare definitivamente i rapporti fra gli USA e la Turchia. Anche i turcomanni che abitano al nord dell’Iraq chiedono l’autonomia. Gli oppositori di Hussein che si trovano all’estero, non sono riusciti a mettersi d’accordo. Come se non bastasse tutto questo, al nord dell’Iraq è sorto lo pseudo-Stato islamico di Ansar Al-Islam, il cui capo, un certo mullah Hasan, ha minacciato di applicare, contro gli americani, sostanze avvelenanti qualora essi osino mettere piede nel suo paese. Di recente, poi, alcuni teologi curdi hanno reso pubblico il comandamento di svolgere una jihad contro l’esercito statunitense qualora esso irrompa in Iraq.
    Ciò, del resto, non impedisce ai militardi americani altolocati di riportare regolarmente il conseguimento di nuovi gradi, sempre più elevati di preparazione all’operazione in Iraq. Nel Golfo Persico, infatti, sono ormai concentrati più di 100 mila soldati americani, e secondo varie indiscrezioni, il Presidente Bush avrebbe già firmato il piano relativo all’amministrazione postbellica dell’Iraq. I funzionari americani altolocati, ma anche lo stesso Bush, pronunciano quasi ogni giorno duri discorsi antiracheni. Gli aerei da guerra statunitensi fanno cadere sul territorio iracheno volantini con l’invito di abbattere Saddam, mentre i militari iracheni che hanno un indirizzo di e-mail ricevono simili messaggi per posta elettronica. Da parte loro, le autorità irachene svolgono ostentatamente manovre militari, come per far capire agli USA che dovranno prendere d’assedio ogni città, subendo perdite notevoli.
    Ma più si tira per le lunghe l’operazione interventista, più forti diventano nel mondo (ma anche negli USA) le manifestazioni dei contrari a questa guerra. Tra loro ci sono sia pacifisti convinti, sia avversari politici di Bush e degli USA. Anche dall’élite imprenditoriale americana giungono ammonizioni sempre più numerose: la guerra che non sarà pagata da nessun altro tranne che dagli stessi USA, a differenza della “Tempesta nel deserto”, e le successive spese necessarie per ricostruire l’Iraq e la sua industria petroliera (Saddam Hussein potrebbe, in caso di emergenza, ordinare di accendere tutti i pozzi petroliferi iracheni), porteranno alla recessione dell’economia americana. Proprio per questo, i rappresentanti degli USA hanno affrontato un atteggiamento assai scettico al Forum di Davos, al quale si riuniscono appunto gli imprenditori di spicco.

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