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Numero 6(70)
La lunga strada per l’Italia
Riceviamo e pubblichiamo


    Buongiorno “Espresso” ! Vorrei raccontarvi della mia esperienza infelice nel contattare con il Consolato italiano a Mosca. Mia moglie ed io abbiamo deciso di andare in Italia per le feste di Maggio - il mio capo, un italiano, ci ha invitato a venire da lui.
    Tutto cominciava da una chiamata al “numero verde” a pagamento, creato per l’iniziativa dell’Ambasciata dell”Italia a Mosca”, come mi ha informato la segreteria telefonica. Il costo di un minuto di conversazione con l’operatore è 62 rubli (a proposito, è più caro di una chiamata in America o Africa!). Il discorso era lungo: prima mi elencavano I documenti necessari, poi io richiamavo e specificato essi stessi… Tutto sommato, le conversazioni con l’operatore del “centro” mi hanno costato 500 rubli (15 Euro), ma non c’era un’altra via d’uscita- non si può prendere l’appuntamento al consolato in qualche altro modo.
    “Com’è fortunato il proprietario di quel numero a pagamento,- ho pensato,- fa soldi a palate, tutto cade nella sua tasca (la segreteria telefonica mi ha avvertito che “tutti I mezzi finanziari ricevuti dai clienti sono la proprietà dell’azienda”), e l’azienda è proprio sommersa dai clienti…”
    Dopo la chiamata al “centro informazione”, come modestamente si chiama questa società commerciale, raccolti tutti I 10 documenti (l’invito, la fotocopia del passaporto della persona che mi invita, un certificato dal posto di lavoro, I biglietti di andata e ritorno, il certificato del cambio valuta, il questionario su 4 fogli, il mio passaporto, la fotocopia del passaporto, la foto e finalmente l’assicurazione), io assieme a mia moglie mi sono presentato al consolato al termine fissato, per consegnare I documenti per il visto.
    Un giovane, ma affaticato italiano dall’aria scontenta (mi sono ricordato subito dei nostri burocrati communisti) ha sfogliato, schifato, I nostri documenti e ci ha chiesto, a che scopo e da chi andavamo in Italia. “Andiamo dal mio capo, per turismo, per vedere la bella Italia,”- ho risposto, ma egli non mi ha creduto. Chiestomi di farmi da parte dallo sportello, interrogava mia moglie a lungo, perché andava in Italia e poi, chiamatomi di nuovo, mi ha sbalordito con una domanda: come possiamo provare che l’italiano, da cui andiamo, si trova in Italia. “È un italiano appunto per vivere in Italia,”- ho cercato di spiegare, ma il debole argomento non era stato sentito. Sommato tutto, fra una mezzora di persuasioni ed umilitazioni mia moglie era riuscita a convincerlo ad accettare I nostri documenti. Io mi ero già astratto dal discorso perché ero in stato di shock e avevo paura di rispondere male o fare qualcosa del tutto irreparabile. Accettati I documenti, l’impiegato ci ha communicato che fra tre giorni potevamo già venire a ritirare I visti, pagando per essi oggi- ancora 50 Euro per due persone. “Urra! Finalmente quest’ incubo è finito, fra tre giorni ritiro I passaporti e buongiorno l’Italia!” – esultavo io, uscendo dal consolato… Invece no! L’indomani mi hanno telefonato alla ditta italiana dove lavoro e mi hanno invitato ad un altro colloquio. Ho dovuto fare ancora una levataccia ed andare al consolato.
    Quella volta ci ha ricevuto una signora molto gentile, che non sapeva lei stessa perché ci hanno fatti venire – ha sfogliato I documenti, ha chiesto se eravamo stati in Italia e ci ha lasciato andare con pace. “Mi sono chiesto un permesso di assentarmi dal lavoro, ed era tutto in vano!”- mi arrabiavo, uscendo.
    Fra un giorno, chiestici un permesso al lavoro ancora una volta, siamo andati a ritirare I visti. Dopo aver fatto la fila fuori per ben 40 minuti- la guardia lasciava entrare solo 5 persone alla volta- ne abbiamo fatta ancora una, allo sportello. Abbiamo teso le nostre bollette ad una signorina triste, che cercava di assomigliare ad un’italiana; si chiamava Anna.
    “I visti non sono ancora pronti, venite domani,”- ci ha detto con una voce indifferente.
    Venuti il giorno seguente, abbiamo fatto la coda due volte ed abbiamo sentito la stessa risposta. Mentre facevo la fila ho capito che ad alcuni impiegati del consolato,- sia agli italiani, che ai russi,- piace fare la gente piangere o avere una crisi isterica. In fine, 3 giorni dopo la scadenza del termine, dopo aver fatto le code davanti al consolato per ben 5 ore, esausti fino al limite, abbiamo ricevuto I nostri passaporti con I visti. Il mio visto era valido per gli altri giorni di un altro mese: aprile al posto di maggio, dal 13 fino al 21 al posto di 1- 10… Alla domanda di mia moglie “Ma che fare adesso?” la stessa Anna, la cui non sopportavo dalla settimana precedente, ha detto la sua frase “pezzo forte” con una calma olimpica: “Non ho idea!”
    Era ovvio, che lei faceva parte di quegli impiegati del consolato che godono moltissimo anche di un minimo potere sulla gente. Ho cercato di litigare, chiedere che venga il Console, ma certamente tutto era inutile. L’unica cosa che sono riuscito ad ottenere era che gli impiegati hanno stancamente acconsentito a riprendere il mio passaporto per correggere il proprio sbaglio.
    Ho dovuto chiedermi il permesso di assentarmi dal lavoro di nuovo, fare tutte le code per ricevere il “patito” visto italiano fra due settimane. Naturalmente nessuno mi ha chiesto scusa. Anna, che sogna di asomigliare ad una italiana, mi ha teso senza aver detto una parola il mio passaporto dove, proprio sul visto, c’era scritto con il biro: “valido dal… fino al…”
    A proposito, mentre facevo la fila “di correzione” ho capito che non ero solo: molti di quelli che avevo visto nelle code al consolato infinite, hanno ricevuto dei visti sbagliati. Lì, nella fila, sono venuto a sapere che il consolato italiano è considerato il più orribile e che non ci si può fare niente.
    Allora ho deciso di scrivere una lettera al giornale italiano e di raccontare di questo incubo - forse almeno questo farà agli impiegati italiani ricondurre alla ragione?
Distinti saluti, Mark Brussilovski

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