Numero 3(48)
Chi sarà il prossimo?
Dopo la conclusione dell’operazione in Afganistan, gli USA e i loro alleati si domandano quale sarà il prossimo obiettivo nel corso dell’operazione antiterroristica.
Naturalmente, si fanno diverse ipotesi sui Paesi che potrebbero essere scelti come tali. Gli israeliani, ad esempio, preferirebbero che come prossimo obiettivo fosse scelto il Libano e l’organizzazione “Hezbollah” che tante noie ha procurato all’Israele. Non per caso, infatti, ultimamente si stanno diffondendo con insistenza voci, secondo le quali i terroristi dell’Al Quaida, cercherebbero di trasferire i propri campi d’addestramento e basi dall’Afganistan al Libano.
D’altra parte, le autorità del Kenya e dell’Etiopia si pronunciano a favore del trasferimento dell’operazione antiterroristica sul territorio della Somalia, straziata dall’anarchia. In Kenya sono già sbarcati i soldati del Bundeswer, mentre i marines americani svolgono manovre congiunte con l’esercito kenyano.
Ma i più probabili obiettivi da colpire sono sempre i tre Paesi definiti da Bush, nel suo discorso alla nazione, “l’asse del male”: l’Iraq, l’Iran e la Corea del Nord. L’ultimo dei Paesi elencati, del resto, difficilmente potrebbe venir colpito, dato che già dopo i primi attacchi, l’enorme esercito nordcoreano attraverserebbe la frontiera con la Corea del Sud e la conquisterebbe in quattro e quattr’otto. Inoltre, sarebbero contrari a tali colpi la Russia, la Cina ed il Giappone, senza parlare degli stessi coreani. E’ più probabile una mossa contro l’Iran, con il quale gli USA da più di 20 anni hanno rapporti assai tesi. Da parte sua, Teheran ha invitato Washington a dare una mano nella ricerca e nell’arresto dei membri dell’Al Quaida, che probabilmente sono riusciti ad infiltrarsi sul territorio iraniano. E il ministro degli esteri dell’Iran, Kamal Harrazi, ha smentito duramente le accuse secondo le quali Teheran avrebbe collaborato con i membri del “Taleban” e dell’Al Quaida. “Invece di svolgere una propaganda negativa, gli USA dovrebbero fornirci le informazioni di cui dispongono sui terroristi, per consentirci di cercarli con maggiore efficienza qui in Iran”, ha detto Harrazi. Altri rappresentanti dell’Iran, con una certa malizia, hanno ricordato agli USA che l’Iran si schierò contro i talebani anche quando gli americani erano disposti a riconoscerli unico governo legittimo dell’Afganistan.
Si dice che l’Iraq sia il più probabile bersaglio degli USA. Il primo ministro della Turchia, Bulent Egevit, ha inviato a Hussein una lettera, avvisandolo che il suo Paese è un probabile bersaglio dell’operazione militare degli USA. “Se la situazione non fosse così seria, non richiamerei la sua attenzione a questi fatti”, ha accennato diplomaticamente il dirigente del Paese membro della NATO, le cui parole sono riportate dalla stampa turca. A sua volta, il giornale inglese Sunday Times ha scritto che gli esperti del Pentagono hanno già messo sulla scrivania del presidente statunitense un piano dettagliato sull’operazione in Iraq. Secondo questo piano, inizialmente andrebbero rasi al suolo gli impianti militari (ciò è necessario, in particolare, per non consentire all’Iraq di vendicarsi su Israele) e poi sul territorio dell’Iraq entrerebbero i reparti terrestri, che insieme agli iracheni schierati con gli americani “concluderebbero la questione con una marcia vittoriosa su Baghdad”. Cercando di prevenire che l’operazione diventi effettiva, il dittatore iracheno Saddam Hussein ha addirittura inviato un messaggio al Segretario generale dell’ONU, Kofy Annan, in cui dichiara la sua disponibilità di ripristinare il dialogo senza qualsiasi condizione preliminare, sperando che le trattative con l’ONU lo difendano dall’intervento statunitense.
Sembra che gli americani, del resto, non avessero intenzione di lasciarsi coinvolgere in una grande guerra con nessuno dei tre Paesi, visto che, a differenza dell’Afganistan, ciò comporterebbe enormi perdite dalla parte degli attaccanti. Una forte opposizione, poi, cui affidare tutto il “lavoro sporco” sul terreno, in questi Paesi, non ce n’è (tutte le ipotesi del passaggio di iraniani, di iracheni e di coreani dalla parte degli interventisti sono di carattere piuttosto astratto). Quanto al tentativo di corrompere i generali di Kim Gen Ir, di Hussein o gli ayatollah iraniani, è ancora più speculativo, dato che gli agenti dei servizi segreti che stanno loro appiccicati controllano ogni loro passo. Inoltre, tutti e tre i regimi hanno armi di sterminio di massa, e potrebbero usarle, arrecando notevoli danni sia all’esercito americano, sia alla popolazione dei Paesi vicini. Quindi, probabilmente, gli USA cercano di cogliere l’occasione per intimidire un po’ i regimi riottosi e di costringerli a concessioni maggiori. E il nuovo colpo, se sarà inflitto, si rovescerà su qualcuno “più debole”. Del resto, gli israeliani che, in caso di conflitto con l’Iran o con l’Iraq, dovranno subire un colpo di risposta, per ogni eventualità vi si stanno già preparando.
C’è, però, anche un’altra ipotesi: quella che prevede la lotta contro gruppi islamici in tutto il mondo. Così, in particolare, nelle Filippine, gli americani assistono efficientemente le autorità locali nella lotta con il gruppo “Abu Saiaf”, che ha acquistato cattiva fama dopo aver preso come ostaggi turisti stranieri. Uno degli obiettivi non dichiarati dei militari americani, secondo gli esperti, sarebbe quello di liberare appunto alcuni ostaggi sempre tenuti da reparti in rivolta.
La domanda “chi sarà il prossimo” rimane aperta…
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