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Numero 1(81)
La crisi dell' Alitalia
Da fiore all’occhiello a spina nel fianco del ‘sistema Italia’

    Come se il panorama economico-industriale italiano non fosse già sufficientemente irrequieto, ora anche la crisi dell’Alitalia contribuisce ad agitare le acque, imponendo un seria riflessione sulla necessità di riorganizzazione dell’intero comparto del trasporto aereo nazionale. Alcune cifre possono dare l’idea della situazione: 410 milioni di Euro di deficit alla fine del 2003, una diminuzione dei ricavi di quasi il 5% rispetto all’anno procedente, calo del traffico passeggeri del 7%, attività tagliate del 18% (specialmente voli a lungo raggio).
    Una situazione grave, a cui il management della compagnia tenta di rispondere con un Piano di risanamento, che fra le varie misure di contenimento dei costi gestionali prevede la terziarizzazione di numerosi servizi e il taglio di 2.700 posti di lavoro, 1.200 dei quali saranno ricollocati nelle attività esternalizzate. Gli altri 1.500 dipendenti saranno invece dichiarati in esubero. Ciò è stato sufficiente per scatenare la reazione dei sindacati di categoria: dal novembre scorso manifestazioni spontanee, blocco delle funzioni aeroportuali, sit-in di fronte a Ministeri e sedi istituzionali si susseguono ininterrottamente quasi ogni settimana. Il culmine è stato raggiunto lo scorso 19 gennaio, quando a causa dello sciopero nazionale del trasporto aereo indetto dai sindacati, ben 364 voli sono stati soppressi solo all’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, lasciando a terra almeno 18 mila passeggeri.
    La radicalizzazione della vertenza non facilita certo i tentativi del Governo, finora risultati vani, di mediare fra i vertici dell’Alitalia e i sindacati, ciascuno arroccato sulla propria posizione. I primi reputano il Piano industriale come l’unica via d’uscita per ridare ossigeno all’azienda: “L’Alitalia - ha detto l’amministratore delegato Francesco Mengozzi al termine del consiglio di amministrazione che lo scorso settembre ha approvato le linee guida del Piano - “soffre di una crisi settoriale senza precedenti” alla quale bisogna reagire “con un protocollo di cura per i prossimi anni e con una medicina immediata che passa per una decisa riorganizzazione...Perché - ha aggiunto Mengozzi - non ci sono alternative e non c’è spazio per esitazioni”.
    Da parte loro i sindacati promettono iniziative di protesta ad oltranza se non verranno prese in considerazione misure alternative che non vadano a toccare i posti di lavoro.  “La perdita nel corrente esercizio di circa 410 milioni di euro da parte di Alitalia – affermano i segretari generali di Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti, Fabrizio Solari, Claudio Claudiani e Sandro Degni – è il risultato delle scelte sbagliate compiute dal management di Alitalia negli ultimi due anni, che hanno determinato il ridimensionamento della compagnia, la perdita di mercati e il conto economico attuale. Ma dopo gli errori del passato si ripropongono soluzioni che prevedono ancora tagli insostenibili, con effetti devastanti sul versante del lavoro. Noi non siamo disposti a trattare con l’azienda un Piano, fondato esclusivamente su tagli ed esuberi”.
    Il Piano Mengozzi prevede anche una ridefinizione delle alleanze internazionali del gruppo dell’ambito di Sky Team, che diventerà la seconda alleanza a livello mondiale. L’Alitalia ha già annunciato la propria imminente fusione con Air France e Klm e la futura creazione di una holding di diritto francese, all’interno della quale i tre vettori manterranno comunque la loro autonomia. Tuttavia, anche questa prospettiva non convince i sindacati: “Manca – aggiungono Claudiani e Degni - una cornice strategica per questo Piano, che appare costruito con il fine di consegnare Alitalia ad una alleanza internazionale in termini di totale subalternità. Una prospettiva che va integralmente rivista, esplorando tutte le possibili alternative presenti sul mercato mondiale”. 
    Nella complicata situazione si inserisce inoltre la posizione assunta da Comune e Provincia di Roma, guidate dal centro sinistra, e dalla Regione Lazio, la cui amministrazione è in mano al centrodestra. Con una inedita alleanza, le tre istituzioni locali si sono schierate a fianco dei dipendenti Alitalia a maggior rischio, ovvero il personale di terra dell’aeroporto di Roma-Fiumicino e i dipendenti impiegati presso il Centro direzionale di Roma. Il ‘Piano Mengozzi’ prevede infatti una forte riduzione delle attività aeroportuali del Leonardo da Vinci, a favore dello scalo della Malpensa, a Milano. Quest’ultimo dovrebbe infatti essere potenziato fino ad diventare un hub in grado di competere con gli altri importanti nodi di scambio aereo europei. Ad esserne danneggiata ne risulterebbe l’intera economia regionale, ad iniziare dal settore turistico. Secondo le organizzazioni di categoria almeno altri 20.000 lavoratori dell’indotto pagheranno le conseguenze del ridimensionamento dello scalo romano.
    Quella dell’Alitalia appare dunque essere una situazione tanto delicata quanto urgente. Le origini della crisi hanno tuttavia radici lontane, che affondano negli Anni ’90, o addirittura negli Anni ’80. Al di là delle ragioni e posizioni rispettive nella conflittualità odierna, i fattori di squilibrio si sono accumulati nel tempo generando un meccanismo perverso, che non poteva che condurre sull’orlo della rottura. Forse un giorno qualcuno ricostruirà e scriverà la storia dell’Alitalia, dell’ascesa, dello sviluppo e poi del declino di un’azienda che è stata per molti anni uno dei fiori all’occhiello del ‘sistema Italia’ del passato. Saranno messi in luce quegli errori di gestione e di strategia che anche altre Compagnie aeree hanno commesso, pagandone lo scotto (anche con il fallimento), ma che alcune hanno saputo evitare traendo anzi vantaggio (come quasi sempre accade) dalle disgrazie altrui. E tenendo sempre naturalmente nel debito conto le circostanze ambientali, soprattutto in ambito internazionale particolarmente influenti data la natura dell’attività del trasporto aereo.
    Qualche esempio di punti di debolezza. L’enorme ritardo nella realizzazione della Malpensa che doveva costituire il punto di concentrazione/smistamento del traffico aereo euro/mediterraneo ed euro/intercontinentale (Hub) situato nel Nord Italia, in concorrenza con i poli di Francoforte, Amsterdam, Parigi ed altri, già pienamente funzionali ed in crescita fin dagli Anni ’70: su questi hanno costruito gran parte del loro successo le rispettive Compagnie ivi basate, avvantaggiandosi con largo anticipo in previsione dell’apertura dei mercati europei alla libera concorrenza, iniziata negli Anni ’80. L’Hub del Nord Italia è stato infine realizzato, ma troppo tardi, quando ormai l’Alitalia era fuori gioco, con una rete intercontinentale sempre più limitata e scarsamente competitiva.
    Altro esempio. L’eccessiva diversificazione della flotta: troppi tipi di aeromobile, diversi modelli di diversi fornitori, che hanno fatto lievitare i costi di manutenzione, non solo, ma hanno anche provocato spese troppo elevate per l’addestramento degli equipaggi, con conseguente rigidità d’impiego, essendo impegnati frequentemente e per lunghi intervalli in attività di training per il passaggio da un tipo all’altro di aeromobile. E ancora. Si sa che il trasporto aereo è un settore economico soggetto più di molti altri alle altalene congiunturali, e quindi esposto a crisi dovute a pause di recessione, e anche a fattori emotivi di massa (i recenti conflitti armati riaccendono anche la sopita paura di viaggiare e volare): per questo molte compagnie hanno diversificato i loro investimenti ed impegni a maggior protezione dell’equilibrio del risultato aziendale in attività in settori contigui: la manutenzione e l’assistenza tecnica, l’assistenza aeroportuale, i sistemi informativi etc., settori di per sé capaci di generare profitti e meno esposti a violenti sbalzi congiunturali. Potevano essere altre opportunità : alcune tentate, ma poi abbandonate.
    L’elenco potrebbe continuare: tante omissioni, errori, coperture e interventi estemporanei, iniziative abortite, che considerate una per una appaiono forse essere di scarso peso, ma nel loro insieme si sono rivelate dannose se non devastanti. Si sa che ad un certo punto i nodi vengono al pettine: ora l’Alitalia è virtualmente ridimensionata, non è più un fiore all’occhiello ma una spina nel fianco; un’azienda che ha perso slancio i cui amministratori realisticamente cercano di riequilibrare: ancora ha una testa troppo grossa rispetto ad un corpo che non sembra in condizione di riprendere a crescere, in un quadro globale economico e normativo che non consente più protezioni. E quindi non resta che ridimensionare, ridurre questa testa: è doloroso, costa ‘lacrime e sangue’, ma qual è l’alternativa?

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