Numero 1(81)
Le mosse di Fini destabilizzano la maggioranza
STUDIANDO DA PREMIER
Il Vicepremier si avvicina all’UDC e si allontana da Bossi
C’è un partito, e soprattutto un uomo, che gli analisti italiani tengono sotto osservazione: AN e Gianfranco Fini. Dove vuole puntare il Vicepresidente del Consiglio? E’ evidente che dietro le sue mosse c’è una precisa strategia, ma dire quale sia costringe a fare congetture che potrebbero anche rivelarsi sbagliate.
La prima mossa a sorpresa del leader di Alleanza Nazionale fu quella di proporre alla pubblica opinione la necessità di una legge che desse il voto amministrativo agli immigrati. Una rottura netta soprattutto con Bossi, tanto più sorprendente se si pensa che proprio con il Segretario della Lega Nord aveva firmato la legge che regola l’immigrazione, tanto che la legge stessa passa sotto il nome di Bossi-Fini. Cosa è cambiato da allora? se non solo Fini attacca sul terreno dell’immigrazione, ma poi frena anche su quello del federalismo; cavallo di battaglia storico e imprescindibile per Bossi e i suoi? C’è che forse Fini studia da Premier. Attualmente è sì Vicepresidente del Consiglio dei Ministri, ma non ha dicasteri, non ha poteri effettivi, non sente di “contare” come vorrebbe, e sente anche che il suo partito, che nell’alleanza è il secondo per peso elettorale, non lo è poi nell’azione di governo.
GOVERNO OSTAGGIO DI REGOLE ELETTORALI SBAGLIATE, LO DICE BERLUSCONI
Strategie che non rendono felice Berlusconi, tant’è che il Premier ha messo sotto accusa il sistema “in cui -ha spiegato- Forza Italia rappresenta il sessanta per cento della maggioranza, ma oggi come oggi un partito che ha il 2% conta tanto quanto chi ha il sessanta”.
Fini, dal canto suo, guarda avanti ai possibili scenari futuri. Berlusconi potrebbe -ma ormai sembra sempre più improbabile- tentare la scalata alla Presidenza della Repubblica, oppure potrebbe essere costretto ad “abdicare” se la pressione giudiziaria dovesse diventare incompatibile con il suo ruolo governativo. E se la prima ipotesi sembra essere ormai remota, perché a Berlusconi interesserebbe andare al Quirinale solo se l’Italia diventasse una Repubblica presidenzialista o quantomeno semi-presidenzialista, cosa in questo momento assai lontana dal poter essere; la seconda si fa invece minacciosa. La corte Costituzionale, infatti, ha bocciato il cosiddetto Lodo Schifani, la legge che sospendeva per la durata dell’incarico i processi a carico delle cinque più alte cariche istituzionali dello Stato. Oggi come oggi quindi Silvio Berlusconi è nuovamente processabile, e Fini vuole, vorrebbe assicurarsi la pole position in caso di rimpasto all’interno della maggioranza. Se quindi Berlusconi dovesse dimettersi, e non si dovesse ricorrere alle urne, Fini vorrebbe essere certo di potersi giocare le sue carte per arrivare a Palazzo Chigi.
FINI O CASINI, CHI POTREBBE AMBIRE A SUCCEDERE A BERLUSCONI A PALAZZO CHIGI?
L’avversario da cui, in questo senso si è sempre guardato, è l’amico-nemico Pierferdinando Casini che in campagna elettorale sembrava destinato ad essere vice-premier né più né meno come lui, e che invece gli ha lasciato la carica in esclusiva per andare alla Presidenza della Camera dei Deputati. Ma se Casini è l’avversario diretto l’avversario politico è l’asse Tremonti-Lega Nord, quello che Fini ha cercato di destabilizzare sollevando la questione voto agli immigrati e quella sul federalismo. Sempre in questa ottica Fini a novembre scorso si recò in Israele con l’intento di chiudere una pagina del suo passato politico: AN, infatti nasce dal MSI che, a sua volta, risentiva di forti nostalgie neo fasciste, ed è fuor di dubbio che molti fascisti di allora votino ancor oggi per lui. Andare in Israele, essere accettato, significava chiudere quella pagina, in modo che, un domani non si possa dire che, se Fini davvero riuscisse a diventare Presidente del Consiglio, che l’Italia ha un premier fascista o, ancor peggio, antisemita. Fini però, in Israele, è andato oltre, e parlando del passato fascista ha parlato del “male assoluto”; frasi che gli hanno inimicato parte della stessa base e costretto Alessandra Mussolini a stracciare la tessera del partito annunciando che alle prossime europee avrebbe aderito al MS-Fiamma Tricolore che Pino Rauti fondò dopo la svolta di Fiuggi quando Fini mise la parola fine all’MSI per far nascere Alleanza Nazionale. La domanda legittima è quanti elettori lasceranno AN dopo la questione immigrati e dopo le affermazioni in Israele che molti hanno sentito come offensive della propria storia? A cominciare da Storace, Governatore del Lazio, che ha minacciato addirittura uno strappo se “il partito resta quello che penso”.
GLI EX AMICI BOSSI E FINI ORA SI QUASI AVVERSARI
Avversari interni ed avversari esterni: Bossi. C’è chi vuole la verifica, e chi vuole le riforme. Fini ha detto che “AN non è disposta a trasigere” su concetti come quello di Roma capitale e dell’unità dello Stato, e che non ci sarà nessun “federalismo a doppia velocità, parente stretto anche se mascherato del secessionismo”. Bossi gli ha risposto dicendo che “Fini e gli ex-DC ora hanno gettato la devolution nel pantano con la scusa dell’interesse nazionale, e Berlusconi lo sapeva. Se il Governo non fa le riforme è meglio che ognuno se ne vada per la sua strada”. E qui, forse, sta il secondo obbiettivo di Fini, costringere Bossi a rompere o a ridimensionarsi. Se Bossi non ottiene la devolution per lui non ha senso stare in un Governo in cui, più o meno scherzando, ha detto “sono in prigione, non vedete che sono un ostaggio? Io ho sempre le valige pronte…”, ma se va, se rompe per la seconda volta il patto con Berlusconi per lui in qualche misura è finita. Certo recupererà parte di quell’elettorato che lo ha abbandonato al momento nel nuovo accordo con Forza Italia, ma rimarrà un partito di nicchia, mai più una forza di Governo, a meno che non si andassero a cercare improbabili intese con il centrosinistra. Ecco allora Fini frenare su un federalismo che pure fa parte dei patti elettorali e accelerare sul voto agli immigrati che dei patti non fa parte e sul quale si è detto consapevole di non poter pretendere i voti della coalizione, ma di essere certi di trovarli in aula. Difficile che la base di destra possa seguirlo su questa strada, perché se è vero che il popolo di AN è per l’unità nazionale, e che quindi non si scandalizza sulla ‘guerra’ al federalismo di Bossi non c’è dubbio che invece stia proprio con il ‘Senatur’ quando si parla di immigrazione, e che ‘NON’ stia con Fini quando questi parla come ha parlato in Israele. Bossi dunque prigioniero perché lui con Berlusconi non vuole rompere, anche perché con il Cavaliere mai le cose sono andate bene come ora, ma costretto ad alzare la voce e minacciare per difendere il federalismo. Fini potrebbe puntare quindi ad un Bossi costretto a sbattere la porta, o a rimanere con le ali spezzate, avvenga questo attraverso la legge sul voto agli immigrati o con l’accantonamento della devolution. Ed il primo risultato potrebbe essere qul famoso rimpasto che da tempo il leader di AN chiede ed il cui primo obbiettivo sarebbe un depotenziamento di Giulio Tremonti, potentissimo superministro economico, e fedele alleato di Bossi e della Lega Nord, tanto che Bossi stesso non si stanca di ripetere che quando “c’è Tremonti la Lega è rappresentata”.
VERTICI SEPARATI A CASA BERLUSCONI
Berlusconi, che di politca ne sa, ha prima convocato due vertici: uno con Bossi, Tremonti, Urbani (altro ministro Forzista che fu con Tremonti ‘pontiere’ della nuova alleanza con la Lega) e Brancher (fido braccio destro sia di Tremonti che di Bossi, di cui è Sottosegretario); ed un secondo con Fini, Gasparri, Follini e Buttiglione in rappresentanza delle altre forze di Governo (AN e UDC). Il concetto che è possibile che il Premier abbia cercato di fare intendere ai suoi alleati che non solo chi rompe resta solo, ma che anche ci costringe gli altri a rompere rischia la stessa fine. E dopo questo primo tentativo ne ha fatto un secondo con due incontri privati proprio con Fini e Bossi. Fini insomma, non può scientificamente mettere all’angolo Bossi senza correre rischi a sua volta. In vista delle europee si era parlato infatti di lista unica, poi sia l’UDC che la Lega hanno detto di preferire liste proprie, e se anche AN dovesse correre da sola, oggi come oggi Fini sarebbe così sicuro del proprio risultato elettorale? Perché è chiaro che le proporzioni che usciranno dalle urne avranno riflessi anche sugli equilibri interni della maggioranza. Se tutti corrono da soli e qualcuno segna il passo è ovvio che poi sarà costretto ad abbassare il livello delle proprie pretese, sia questo Fini come Bossi.
Sta di fatto che la situazione è sembrata ammorbidirsi, che La Russa, Coordinatore Nazionale di AN, ha detto che il suo partito voterà le riforme “non perché le vuole Bossi, ma perché siamo convinti di fare uno Stato migliore ”, e che a partire dal Senato si comincerà a discutere in aula il nuovo assetto del nostro paese. Senato dove il Gruppo di AN ha come Presidente Domenico Nania, uno dei saggi che quest’estate sulle montagne bellunesi cercarono e trovarono l’accordo proprio sulle riforme. Nania con D’Onofrio, che è invece Presidente del Gruppo dell’UDC, Calderoli per la Lega, Pastore per Forza Italia, alla presenza di Tremonti in tutte le foto ufficiali e Bossi che dormiva in un albergo a due passi da lì.
La corda è ancora tesa, Tremonti e Bossi da una parte, Fini e Follini dall’altra. Potrebbero rimanere in stallo, una delle due squadre potrebbe vincere portando l’altra alla rovina, oppure Berlusconi, come ha fatto fin’ora, potrebbe convincere i contendenti a non tirare più del necessario.
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