Numero 1(81)
La nuova dimensione delle relazioni internazionali:
dalle alleanze alle coalizioni
Ogni anno diventa sempre più evidente l’obsolescenza e l’inefficienza di una rete di alleanze internazionali tra l’America e i suoi alleati europei e del Pacifico, alleanze create dopo la Seconda guerra mondiale. Questi organismi hanno perso autorità in seguito al cambiamento della mutata congiuntura politica e di tutto il sistema delle relazioni internazionali, e non solo all’ aggressività dell’ attuale amministrazione degli USA. Parlando in modo generico, ciò è dovuto alla scomparsa della minaccia sovietica e alla comparsa di nuove sfide, variabili e meno grandiose, per la sicurezza nazionale dei Paesi occidentali.
Nel prossimo futuro gli USA continueranno a rimanere l’unica superpotenza, la quale ostacolerà in ogni modo l’apparizione di qualsiasi avversario che possa tentare di uguagliarsi a loro, foss’ anche la Cina, od anche l’Unione Europea. Questo concetto è stato reso pubblico dalla Casa Bianca già nel 2002 nell’ambito della nuova Strategia della sicurezza nazionale. Come ha detto dopo l’11 settembre 2001 Donald Rumsfeld, il Ministro della difesa statunitense, “d’ora in poi saranno le missioni a predefinire le coalizioni”. Le alleanze strategiche a lungo termine non hanno più quel ruolo importante che avevano nel corso della “guerra fredda”. Ora l’essenziale è realizzare missioni e campagne concrete. Il fatto è che alla minaccia continua da parte della superpotenza URSS sono ormai subentrate minacce nuove, di dimensioni varie, che partono da diversi punti del mondo: è possibile prevenirle solo collaborando direttamente con i Governi locali. Quanto all’Europa, in complesso ha smesso di essere l’area principale della tutela e del controllo americano.
Il passaggio dal sistema di rapporti che si basava su alleanze internazionali alle relazioni, fondate sulle coalizioni e i patti motivati dalla situazione, è un fenomeno che non riguarda solo gli Stati Uniti: anche gli altri Paesi del mondo costruiscono la loro politica estera in modo identico. Lo dimostra in modo palese ad esempio l’Ucraina. Nonostante che l’intervento in Iraq non sia stato approvato né dall’ONU, né dalla NATO, l’Ucraina ha preso la decisione necessaria agli USA, di inviare il suo contingente in Iraq. Tale decisione non solo ha avuto subito un effetto positivo sul rapporto americano-ucraino, ma ha segnato un altro passo del Paese verso l’adesione alla NATO e verso l’ottenimento del proprio spazio nello scenario politico internazionale. Ogni volta poi che l’Ucraina comincia ad avere problemi nel rapporto bilaterale con la Russia (ad esempio il problema dello stretto di Kerè) essa intensifica la cooperazione con i Paesi occidentali. Anche i membri attuali e futuri dell’Unione Europea, costruendo la loro politica estera, non puntano sulla politica di Bruxelles, ma sulla protezione dei propri interessi mediante una partenership bilaterale con la superpotenza (non va dimenticato che l’Ucraina è un Paese che ha detto addio alle armi nucleari, e che si trova in mezzo a Paesi che rappresentano diversi sistemi e diverse strategie militari). In via di principio, la sicurezza nazionale dell’Ucraina non si basa sul potenziale difensivo e sulle notevoli possibilità finanziarie e tecnologiche, ma sull’assenza momentanea di un avversario reale. Scegliendo poi una struttura militare ottimale, Kiev non ha che due alternative: la Nato o l’Organizzazione del Trattato sulla sicurezza collettiva dei Paesi della CSI. Ma tenendo conto della tendenza dichiarata dall’Ucraina verso l’integrazione europea, è evidente la priorità dell’alleanza Atlantica che continua ad essere la base del sistema europeo della sicurezza. Ne è seguita, fra l’altro, la scissione dell’Europa in due: quella “vecchia” e quella “nuova”.
Considerato quindi che il nuovo vettore della formazione delle coalizioni provvisorie è un trend universale, non sarebbe giusto attendersi qualche cambiamento dopo le elezioni presidenziali negli USA. La nuova amministrazione, anche se cambia il partito governante, non tornerà al multilateralismo promosso dall’America in misura maggiore o minore dal 1941 (Dichiarazione atlantica e Pearl-Harbour) fino al 2001 (investitura di George Bush e attentati terroristici dell’11 settembre). E mentre l’unilateralismo coerente degli USA nel prossimo futuro è ormai una realtà indubbia, le dimensioni dell’espansione americana, o viceversa il passaggio all’isolazionismo, dipenderanno dallo sviluppo di situazioni nei punti caldi del mondo. Se la “trasformazione” del Medio Oriente richiederà troppe spese politiche, finanziarie ed umane, il Governo americano può riadattarsi, passando dalla costruzione nazionale degli Stati problematici, al mantenimento della propria sicurezza nazionale, abbandonando i propri impegni internazionali.
A sentire maggiormente il peso di tutti questi mutamenti è stata la NATO, l’alleanza più vecchia e potente. A più di cinquant’anni dalla nascita non esegue più le sue funzioni iniziali, militari e difensive. I bombardamenti del Kosovo sono stati la prima e l’unica campagna militare della NATO. Nel 2001, i membri dell’alleanza hanno voluto applicare per la prima volta l’articolo V dello Statuto della NATO, secondo il quale in caso di aggressione esterna contro uno dei suoi membri tutti gli altri devono dare un contributo, nei limiti del possibile, alla difesa collettiva. Ma gli USA non hanno usato l’aiuto dell’Alleanza, mentre la stessa NATO non ha potuto dimostrare il suo potenziale difensivo. Anche in futuro, considerato che i militari americani rappresentano solo l’8% delle forze armate della NATO, le future campagne militari, realizzate prevalentemente dall’esercito statunitense, saranno comandate dagli stati maggiori americani e non quelli della NATO. La NATO allora svolge sempre più spesso le mansioni di un’organizzazione regionale, realizzando missioni pacifiche nell’area balcanica e in Afganistan.
Magari, il ruolo più importante fra quelli veramente svolti dalla NATO è stato quello dell’incentivazione delle riforme democratiche nei Paesi dell’ex alleanza sovietica. I criteri in base ai quali si decide se un Paese è più o meno pronto a diventare membro della NATO, fissati nei documenti del vertice di Washington del 1999, non concernono solo la soluzione dei problemi nel settore militare, ma anche la conformità agli standards nelle sfere civili, cioè, nell’economia e nella politica.
A parte l’adesione ai valori democratici, le condizioni della membership alla Nato richiedono dai Paesi una cooperzione stretta e la standardizzazione del complesso bellico industriale e di forze armate. Così, i Paesi Baltici, la Slovacchia e la Slovenia che entreranno nella NATO nel corso di quest’anno, hanno dovuto superare una strada alquanto complicata. Ma in futuro essi dovranno affrontare la continuazione delle riforme. I Governi, ad esempio, dovranno ridurre la durata del servizio di leva nell’esercito nazionale, oppure renderlo completamente professionale, per mobilitare le proprie risorse abbastanza scarse alla preparazione di un esercito professionale capace di partecipare alle operazioni della NATO. La Slovacchia, ad esempio, ha intenzione di ridurre la durata del servizio di leva da 9 a 6 mesi, mentre la Repubblica Ceca ha in programma di abolire il servizio di leva.
Queste due funzioni svolte dalla NATO sono solo una parte della missione inizialmente affidata all’alleanza. Per quanto riguarda invece le aree che oggi sono più pericolose sia per la sicurezza regionale, sia per quella internazionale, cioè la crisi irachena e quella palestinese, nonché il rischio del conflitto aperto con l’Iran e con la Corea del Nord, le operazioni d’intermediazione pacifica e il mantenimento dell’ ordine vi sono realizzati prevalentemente per mezzo delle strutture che non c’entrano con la NATO.
La partenership strategica fra i pesi massimi del mondo, la Cina, la Russia, gli USA e l’UE, si costruisce principalmente in forma bilaterale e non nell’ambito della NATO o di altre organizzazioni internazionali. D’altra parte, la NATO non è all’avanguardia della campagna antiterroristica globale.
Tutte le campagne strategicamente importanti, relative alla composizione delle crisi, ad esempio, in Africa, o la promozione di iniziative pacifiche in Medio Oriente, si realizzano con coalizioni costruite separatamente, senza la partecipazione di organizzazioni internazionali esistenti da molto tempo. Nel 2004 poi, sullo sfondo delle elezioni presidenziali negli USA, la marginalizzazione delle principali alleanze internazionali diventerà ancora più evidente.
Per quanto riguarda invece il problema della sicurezza nazionale, un numero sempre maggiore di esperti ucraini accetta la necessità di includere l’Ucraina in una struttura internazionale di sicurezza collettiva. Nel mondo di oggi anche gli Stati potenti dal punto di vista economico e tecnico-militare non possono provvedere autonomamente alla sicurezza dei loro interessi nazionali. Si tratta insomma, di un cammino veramente lungo, anche se non si prende in considerazione il fattore russo e le imminenti elezioni presidenziali in Russia.
Va ricordato poi che la NATO non implica solo standard comuni nel settore difensivo. Oggi la direzione dell’Alleanza non sembra molto ottimistica a proposito dell’Ucraina. Così, a detta di lord Robertson, il segretario generale della NATO, “Non esiste un esame, un test da superare per aderire alla NATO. Si tratta piuttosto della capacità di integrare le proprie forze armate nella struttura militare della NATO, nonché di garantire la presenza degli standard della democrazia ad un livello quale quello che esiste nei Paesi della NATO: la libertà d’espressione, l’indipendenza del potere giudiziario, elezioni libere e giuste, una situazione politica interna tranquilla. La decisione definitiva sarà presa da 26 Paesi membri della NATO”.
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