Numero 4(84)
Si riaccende il caso Sofri:
la querelle sulla concessione della grazia si trasforma in conflitto istituzionale
Si riapre la polemica intorno alla concessione della grazia per Adriano Sofri, la cui vicenda giudiziaria è stata definita da molti come il “Caso Dreyfus” italiano. La sinistra si schiera compatta dietro il Presidente dell Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, che con una lettera inviata al Ministro di Grazia e Giustizia Roberto Castelli, chiede notizie sui dossier sull’ex leader di Lotta Continua: dossier che in conformitá a quanto previsto dall´art. 681 del codice di procedura penale prevede l´avvio delle pratiche per la possibile concessione della grazia. Il ministero di via Arenula in un primo momento nega la ricezione di tale lettera - “Non è mai stato chiesto un fascicolo particolare. Non ci sono novità”- ma dopo la pubblicazione della richiesta in questione sulle pagine del quotidiano La Repubblicca, il ministro Castelli è costretto ha una immediata rettifica: “Noto che è la prima volta che su questo tema viene resa pubblica una missiva tra il ministero della Giustizia e il Quirinale. In ogni caso tornando oggi ho trovato questa lettera, quindi confermo il fatto di averla ricevuta”. In effetti si tratta di un fatto piuttosto irrituale che la corrispondenza tra Presidenza della Repubblica e Ministero della Giustizia venga resa pubblica. Ed è proprio questa la scintilla che fa riesplodere la polemica. Con un´altra lettera indirizzata al segretario generale della presidenza della Repubblica Gaetano Gifuni, il capo di gabinetto del ministero della Giustizia, Settembrino Nebbioso, chiede se la diffusione della lettera di Ciampi, sia stata “conseguenza di una spiacevole fuga di notizie ovvero di una scelta voluta”. Castelli ha sua volta assicura che in realtá non vi siano “scontri con il Quirinale”. Ma la miccia è stata accesa e lo schieramento dei contrari alla grazia per Sofri si scatena. Roberto Calderoli esprime a chiare lettere e senza giri di parole la posizione della Lega Nord: “Sofri deve restare in carcere con buona pace del presidente e dei digiunatori di turno (con chiaro riferimento allo sciopero della sete proclamato all’inizio del mese dal leader radicale marco pannella, ndr.) “. Nettamente contrario alla grazia anche il Ministro delle Comunicazioni Maurizo Gasparri di Alleanza Nazionale: “Un perdono dello Stato senza la richiesta del condannato apparirebbe come una grave, inaccettabile e incostituzionale offesa verso tutte le vittime del terrorismo”.
Ma andiamo con ordine. Per comprendere appieno il “Caso Dreyfus” italiano bisogna infatti fare un salto indietro nel tempo, addirittura fino al 1969. In realtá il protagonista di questa vicenda giuridica poco ha a che fare con il povero ufficiale francese di origine ebraica ingiustamente accusato di spionaggio, essendo Adriano Sofri l´ex leader nel moviemento di estrema sinistra Lotta Continua, attivo nella prima metá degli anni settanta. Il 12 dicembre di 35 anni fa una bomba devastó la sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, nel pieno centro di Milano, uccidendo 16 persone. Polizia, carabinieri e governo incolparono dell´attentato i gruppi di estrema sinistra. Dopo varie indagini, fu convocato in questura un esponente dell’anarchia milanese, Giuseppe Pinelli, sospettato di essere il presunto colpevole. Pinelli fu interrogato quasi ininterrottamente per tre giorni, ma nel corso della terza notte cadde misteriosamente da una finestra, sfracellandosi nel cortile della questura. Fu aperta un inchiesta per accertare eventuali responsabilitá, ma l´estrema sinistra non aveva dubbi: il responsabile dell´accaduto era il il commissario Calabresi. Lotta Continua scatenò contro il commissario una violenta campagna di propaganda che sfoció nel 1971 con una querela dello stesso Calabresi contro il gruppo guidato da Sofri. Nel frattempo, proprio mentre l´inchiesta volgeva al termine, al giudice istruttore fu tolta la causa poiché l’avvocato di Calabresi sostenne di averlo sentito dichiarare di essere convinto della colpevolezza del commissario. Il clima attorno a questa vicenda si fece ancor piú incadescente. La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Calabresi venne assasinato con due colpi di pistola di fronte alla propria abitazione a Milano. Gli esponenti di Lotta Continua vennero immediatamente additti come i mandanti e nel 1975 il gruppo viene condannato per aver diffamato il commissario Calabresi, scagionato da ogni responsabilitá per la morte di Pinelli. Nel 1988 la procura di Milano ordina l’arresto di Adriano Sofri, Giorgio Pietrostefani, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino, accusati per l´assassinio di Calabresi. L’arresto nasce dalla confessione dello stesso Marino, che raccontò ai giudici di essere stato una delle due persone che sedici anni prima avevano ucciso Calabresi davanti alla sua casa di Milano. Marino disse che a sparare al commissario era stato Ovidio Bompressi e che i due avevano ricevuto l’ordine di compiere l’omicidio Giorgioe Pietrostefani e da Adriano Sofri. Quest’ultimo viene descritto come il “cattivo maestro” del gruppo, colui che avrebbe traviato le coscienze e influenzato i suoi adepti con teorie sbagliate.
Durante il processo iniziato nel 1990, la storia raccontata da Marino, alla prova di fatti e confronti, cadde da subito tra moltissime contraddizioni, incongruenze, smentite e rettifiche, tanto da spingere nel 1992 le Sezioni Unite della Cassazione a ritenere del tutto inattendibile la sua confessione. Inoltre, sempre durante il processo, emerse casualmente che Marino aveva intrattenuto colloqui notturni e non verbalizzati con i carabinieri molti giorni prima della sua presunta ‘spontanea´ confessione. Nonostante ció, dopo una infinita sequela di dibattimenti, la linea difensiva della difesa uscí sconfitta e Sofri, Bompressi e Pietrostefani furono condannati a 22 anni di carcere, mentre Marino ad 11. Il lungo iter giuridico della loro vicenda tuttavia non è che all´inizio. Nel 1993 un processo d’appello ha assolto tutti gli imputati. Ma la sentenza, stilata in modo incongruo, viene annullata. Tre anni dopo, durante un altro processo, da un’indagine della procura di Brescia emergono pressioni e abusi del presidente della corte per ottenere la condanna degli imputati. Tuttavia nel gennaio del 1997 Sofri, Bompressi e Pietrostefani hanno subito una condanna definitiva e sono entrati in carcere a Pisa. Il reato di Marino va tuttavia in prescrizione, il reo-confesso non sconta neanche un di carcere.Nel 1999, a Venezia, viene avviato un processo di revisione in seguito allácquisizione nuove prove sulla falsità dell’accusa e i tre vengono liberati, dopo due anni e sette mesi di prigione. La difesa riesce a dimostrare il torbido percorso della “confessione” di Marino, l’estraneità di Bompressi e l´inconsistenza di alcune prove su cui si sono basate le precedenti sentenze di condanna. Malgrado ció i giudici veneziani, a ventotto anni di distanza dai fatti contestati, decidono di riconfermare le condanne.
Nel frattempo, nell´opinione pubblica, prende corpo un movimento sempre piú vasto che supporta la tesi dell´innocenza di Sofri, o se non altro la necessita´ di concedergli la grazia. Sofri inizia a comparire sempre piú spesso in trasmissioni televisive in prima e seconda serata, conquistandosi il riconoscimento di “unico intellettuale libero col corpo prigioniero”. Si moltiplicano anche le iniziative di protesta come quella organizzata dal comitato “Un digiuno contro l’oblio” che ha raccolto oltre 500 adesioni, tra cui Marco Boato, Maura Cossutta, Gad Lerner. “Ma almeno il 70 per cento delle adesioni”, osserva Silvio Di Francia, uno degli organizzatori “arriva da persone che nulla hanno a che vedere con gli anni settanta”. Nel marzo 2002 due interrogazioni parlamentari presentate al Senato sia da esponenti della maggioranza chee dell’opposizione, viene chiesto al ministro della Giustizia “di concludere positivamente l’istruttoria sulla grazia a Sofri, perché il capo dello Stato possa decidere nella sua sovranità” e dalle pagine del `Foglio´ Giuliano Ferrara si augura che”Prima o poi il dossier di questa detenzione assurda e ingiusta arriverà sul tavolo del Capo dello Stato e si deciderà per il meglio”. E Ciampi giá da luglio fa capire di essere pronto a firmare il provvedimento, sottolineando peró come sia necessario anche l´avallo del ministro della Giustizia. Se infatti l’art. 87 della Costituzione attribuisce al presidente della Repubblica il potere di concedere la grazia e commutare le pene, il successivo art. 89 stabilisce che nessun atto del presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. E il ministro di Giustizia Roberto Castelli rende subito eplicita la propria posizione: “Io non firmo”.
La situazione sembra sbolccarsi l´8 novembre 2002, in una lettera pubblicata dallo stesso quotidiano, il presidente del Consiglio SilvioBerlusconi scrive di ritenere che “sia matura una decisione favorevole alla grazia” per Sofri. Pochi giorni dopo, il 4 dicembre approda in commissione Affari costituzionali della Camera la proposta di legge di Marco Boato, appoggiata da parlamentari di diverse posizioni politiche, che affida al solo presidente della Repubblica la facoltà di concedere la grazia e faciliterebbe la concessione della grazia a Sofri.
Anche il leader del Carroccio Umberto Bossi sembra disponibile a questa soluzione: “La Lega è disponibile alla proposta Boato. Poi deciderà il Parlamento”.
Ma un nuovo intoppo rimette tutto in discussione. Il 17 marzo di questa’anno, l’Aula di Montecitorio, a causa dei voti di Lega e Alleanza Nazionale sopprime il punto centrale della proposta di legge Boato in tema di grazia che dava la possibilità al capo dello Stato di concederla autonomamente. “Il nostro emendamento non era altro che un servizio alle istituzioni perché elimina la possibilitá che il presidente della Repubblica si trovasse con il peso di proporre una grazia e di doverla poi dare. Se ne prenda atto, senza movimenti troppo scomposti” afferma il coordinatore di Alleanza nazionale, Ignazio La Russa. Ma il capogruppo dei deputati dello Sdi Ugo Intini ribatte: “Nella maggioranza convivono due tradizioni: quella liberale da una parte, quella fascista e autoritaria dall’altra, rappresentata soprattutto da An e Lega. Purtroppo, oggi, è prevalsa la tradizione autoritaria”.
Per An e la Lega, la questione sembra essere tuttavia soprattutto un problema di principi. “Deve essere lui, l’ex leader di Lotta Continua condannato per l’omicidio del commissario Calabresi, a fare il primo passo. Non lo Stato, che deve tenere a mente il dolore e il rispetto per le vittime di quell’azione”, spiega il ministro delle Comunicazioni Gasparri, di Alleanza Nazionale. La legge Boato, secondo An e la Lega, rischia inoltre di divenire un provvedimento ad-personam, legato esclusivamente alla scarcerazione di Adriano Sofri. La recente querelle tra Castelli e Ciampi sembra in realtá riproporre il tema del conflitto delle competenze giuridico-istituzionali. Secondo l’art. 681 del codice di procedura penale il fatto che Sofri non abbia mai fatto richiesta in prima persona della grazia sembra essere un ostacolo superabile. L’articolo in questione prevede infatti la possibilità di concedere il provvedimento non solo quando vi sia domanda o proposta, ma pure in assenza di queste. Nelle settimane prossime per evitare l’acutirsi dello strappo istituzionale creatosi tra Presidenza della repubblica e, nel caso specifico, ministro di Giustizia sará dunque necessario riproporre una nuova `Legge Boato´ condivisa da entrmabi gli schieramenti., o trovare un altro tipo di soluzione come porospettato dal presidente della Consulta, Gustavo Zagrebelsky, secondo il quale “la questione potrebbe giungere alla Corte Costituzionale in sede di conflitto di attribuzione. Saprò quale è la soluzione giuridica solo dopo che la Corte si sarà eventualmente pronunciata”. Intanto il Quirinale diffonde un comunicato di Ciampi, indirizzato a leader del partito Radicale Pannella, in cui assicura che al procedura per la concessione della grazia a Sofri seguirá il suo corso: “Il presidente della Repubblica ha sempre avuto a cuore, come Marco Pannella, l’attuazione integrale del dettato costituzionale. In merito all’istituto della Grazia, il presidente Ciampi, come già pubblicamente noto, ha avviato una procedura con l’intento di proseguirla fino al chiarimento definitivo”.
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