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Numero 11(91)
I russi diventano più ricchi o più poveri?
In Russia le statistiche segnalano una crescita delle entrate procapite. È realmente cosi?


    Le statistiche ufficiali russe continuanto a riferire di aumenti degli stipendi reali e della crescita del benessere della popolazione. Di fronte a tali statistiche molte compagnie straniere cominciano a chiedersi se la manodopera in Russia sia veramente così a buon mercato, dato che lo stipendio reale medio aumenta ogni anno del 10-15%.
    Tuttavia, in Russia tutti sanno anche che le statistiche sono una cosa, e la vita reale un’altra.
    Dopo la crisi del 1998 una parte consistente degli stipendi è rimasta legata al dollaro. Secondo le statistiche il 30% degli stipendi viene corrisposto “in nero” e si stima che nelle grandi compagnie ancora il 15-20% dello stipendio base viene corrisposto facendo riferimento al dollaro. Anche se, secondo le statistiche la maggior parte delle aziende paga lo stipendio in rubli, lo fa partendo da uno stipendio fisso espresso in dollari, convertendolo poi in rubli secondo il corso contingente del dollaro. Fino al 2003 questo sistema incontrava il favore sia dei datori di lavoro che dei collaboratori. Il rublo rispetto al dollaro si indeboliva, e il valore nominale dello stipendio cresceva. È vero, cresceva più lentamente del carovita, e questo avvantaggiava i datori di lavoro, dato che il costo reale del personale non aumentava. D’altra parte, lo stipendio comunque aumentava, e cio’ soddisfava il personale.
    Ma due anni fa, in conseguenza della pressione economica generate da due fattori, ovvero l’alto prezzo del petrolio e il rafforzamento della valuta europea, il rublo ha iniziato a guadagnare punti sul dollaro. Nel corso del 2003 si è rafforzato del 7% e ancora del 4% quest’anno. Questo significa che una parte consistente di popolazione ha subito una riduzione nominale delle proprie entrate. Contemporaneamente, il ritmo di crescita dei prezzi non rallenta. Nonostante i tentativi del governo di frenare l’inflazione, testimoniati nel bilancio del 2004 dalle previsioni sui ritmi di crescita dei prezzi fissate al 10%, i funzionari statali sono ora costretti a riconoscere che tale cifra toccherà l’11 o il 12%. In pratica lo stesso ritmo di crescita fissato per il 2003. Come risultato, l’11% di riduzione delle entrate nominali sommato al 25% della crescita percentuale del costo della vita nel 2003 e nel 2004 ha portato ad una perdita di potere d’acquisto da parte di una gran parte della popolazione pari al 35% negli ultimi due anni.
    Le prospettive per i prossimi anni non sono molto incoraggianti. Sono presenti diversi fattori che porterebbero l’inflazione a raggiungere nel 2005 livelli ancora più alti. Innanzitutto, c’è la questione della cosiddetta monetizzazione delle agevolazioni, ovvero la compensazione economica di quelle agevolazioni sociali che al momento vengono dispensate in servizi, ad esempio l’utilizzo gratuito dei mezzi di trasporto pubblici. Il valore complessivo di queste compensazioni nel 2005 corrisponderebbe al 15% del denaro contante in circolazione, e questo porterebbe ad una consistente accelerazione della crescita dei prezzi dei beni di consumo. Oltre a cio’, i monopoli naturali continuano ad alzare le tariffe. Gasprom ha ottenuto l’autorizzazione all’aumento per il 2005 delle proprie tariffe del 23%, sebbene nel 2004 le avesse alzate in tutto del 20%. Seguono la Gasprom le società fornitrici di servizi quali la corrente elettrica, il riscaldamento etc; come risultato continuerà anche l’aumento degli affitti e degli altri servizi comunali. Infine, un fattore particolarmente importante è l’aumento del prezzo della benzina. Il costo del petrolio sui mercati mondiali influisce sul quello dei mercati nazionali, che fino ad ora ha portato ad un innalzamento dei costi di produzione industriale (il 25% dall’inizio del 2004). Nel 2005 l’aumento di tali costi gradualmente verrà a ripercuotersi anche sui prezzi praticati all’utente finale.
    Tale situazione è conseguenza della linea politica adottata dal governo, che cerca di avere sempre maggiore controllo sull’economia del paese. Invece di sostenere e rafforzare nei propri collaboratori uno spirito corporativo di compartecipazione, come avviene nei paesi più avanzati, il business russo cerca di massimizzare i profitti immediati ed inasprisce le condizioni lavorative dei dipendenti. La mancanza di organismi sindacali realmente solidi ed efficaci rende il personale completamente soggetto alle normative stabilite dalla dirigenza. E il datore di lavoro, a sua volta subisce sia pressioni da parte del governo, che tenta di ottenere sempre maggiori “profitti” fiscali dal business, sia pressioni da parte dei vari funzionari, il cui favore o nullaosta è spesso necessario comprare con tangenti e bustarelle. Come risultato, tutto ricade sul lavoratore.
    Il paradosso statistico, che registra la crescita delle reali entrate della popolazione si spiega in maniera abbastanza semplice. Da una parte, avviene una costante indicizzazione salariale delle entrate dei dipendenti statali, e il settore statale continua ad avere un ruolo importante nella creazione di posti di lavoro; in Russia circa il 20% della forza lavoro è impiegata presso imprese statali o parastatali.
    Dall’altra, non bisogna dimenticare che alcune aziende portano avanti il processo di ufficializzazione contrattuale delle posizioni di molti lavoratori impiegati presso di loro “in nero”. L’aumento degli stipendi in questa situazione ha natura quindi puramente statistica, e non puo’ essere interpretato come reale indicatore del costo della manodopera in Russia.

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